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Mercoledì, 05 Marzo 2014 21:04

Ermanno Genre: Fine vita, rispettare la centralità della persona umana

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a cura di Luca Baratto

Roma (NEV), 5 marzo 2014 – All'inizio di questa settimana è entrata in vigore in Belgio una legge che estende l'eutanasia ai bambini. Su questo testo controverso e, più in generale, sulle questioni etiche legate al tema dell'eutanasia, abbiamo sentito il professor Ermanno Genre, docente emerito di teologia pratica alla Facoltà valdese di teologia di Roma, già membro della Commissione sulla bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi italiane. Genre ha recentemente pubblicato con l'editrice Claudiana il volume “Introduzione alla bioetica. Bioetica e teologia pastorale in dialogo”.

In Belgio è appena entrata in vigore una controversa legge che estende l'eutanasia ai bambini. Qual è la sua opinione?

La decisione belga non può, ovviamente, che suscitare dibattito. Per quanto mi concerne, la questione non è sì o no all'eutanasia, bensì come affrontare delle situazioni tragiche, quando una giovane vita viene progressivamente devastata da un male aggressivo che non lascia vie d'uscita, se non la morte. Quali forme di accompagnamento al morire (perché di questo si tratta)? Come si interviene per far fronte alla disperazione e all'angoscia dei malati e dei loro familiari? L'estensione ai minori della legge sull'eutanasia in vigore in Belgio richiede “capacità di discernimento”. Che cosa significhi qui “discernimento” è questione difficile da investigare. Ma ci si può legittimamente domandare se di fronte ad una malattia inguaribile che provoca dolore e sofferenza insopportabili, ci sia veramente un diverso grado di “discernimento” tra un adulto e un bambino. Chi lo può dire? La questione di fondo non è dunque “legge si o legge no” sull'eutanasia ma la responsabilità che una società si deve assumere quando deve affrontare, nelle sue leggi, i gravi casi di malattie inguaribili e dolorose, nella consapevolezza che non tutti gli esseri umani sono uguali. Come si fa a restare umani - dunque non-onnipotenti, pur con tutta la scienza medica disponibile -, alle richieste di aiuto nei casi di malattie devastanti?

In Europa ci sono paesi come il Belgio in cui si parla di eutanasia ai bambini, mentre in altri, come l'Italia, il problema è ancora tabù; così come ancora poco sviluppate sono le cure palliative. Perché questa disparità?

Mi è capitato fra le mani poco tempo fa un libro di Gian Domenico Borasio, un medico italiano che insegna medicina palliativa all'università di Monaco di Baviera (dove si è formato) e a Losanna. Un tascabile sul tema del morire (Ueber das Sterben) ricco di casi esemplari. La sua concezione della medicina palliativa - assai convincente - si pone come tentativo di risposta ai problemi del morire con dignità al di là delle facili contrapposizioni. Il fatto stesso che le cure palliative abbiano trovato spazio nell'insegnamento universitario è un segno di come in altri paesi si sia preso sul serio la medicina palliativa, che è in grado, quando è praticata seriamente, di venire incontro e comunque di accettare la sfida di fronte a situazioni esistenziali drammatiche, accompagnando e sostenendo malati e familiari. In Italia la medicina palliativa esiste ma è ancora lontana dai livelli europei. Molte persone che vivono il dramma di un male inguaribile, ma che sono lucide e vedono avvicinarsi con angoscia il momento della morte o della perdita della propria coscienza, cercano disperatamente delle vie d'uscita che le leggi italiane non considerano. Che fare? Andare a morire in Svizzera? Lasciarsi cadere dal balcone? E' tempo di finirla, in Italia, con la “confessionalizzazione” dei problemi etici e bioetici legati alla malattia e alla morte. Una società moderna deve essere in grado di indicare delle linee guida semplici e chiare per tutti i cittadini, nel rispetto della coscienza di ognuno.

La chiesa cattolica si è spesso opposta a una discussione sull'eutanasia in nome del valore non negoziabile della difesa della vita a ogni costo. Qual è invece la posizione protestante, se ne esiste una, nell'affrontare i problemi etici legati all'eutanasia?

Le Chiese protestanti sono normalmente contrarie ad una legge sull'eutanasia, perché ritengono che il desiderio del malato di poter morire con dignità debba essere rispettato nell'ambito dei trattamenti medici. E', per esempio, quanto hanno recentemente sostenuto i protestanti francesi, pur mantenendo aperti diversi fronti di riflessione sull'argomento. Fra i vari documenti proposti all'attenzione vi è quello delle diaconesse di Reuilly, in cui si afferma, fra l'altro, che “attutire la sofferenza è un dovere prima di essere un diritto”. Nel mondo protestante dunque la questione è dibattuta, coinvolge le chiese locali e non si teme di far emergere i diversi punti di vista. Per citare un altro esempio, il mensile delle Chiese protestanti svizzere di lingua tedesca “Reformiert” affronta in prima pagina questo tema ponendolo all'attenzione dei suoi lettori. Siamo lontani mille miglia dall'idea di “valori non-negoziabili” che strangolano in partenza la discussione e il confronto.

Nei dibattiti, tutti sembrano aver qualcosa da dire, ma la voce dei pazienti, delle persone sofferenti, è spesso assente. Quanto conta il valore dell'autodeterminazione della persona rispetto al peso delle autorità scientifiche, religiose e morali che ne invadono il campo?

Questo è il punto fondamentale, la centralità della persona umana, da rispettare nell'unicità della propria esistenza. E' una questione che ho affrontato, pur brevemente, nel mio testo di introduzione alla bioetica, portando l'attenzione, in particolare, su chi non è più in grado di prendere una decisione sulla propria vita ed altri lo devono fare in vece sua. E' la questione, dibattuta, sul significato delle “decisioni anticipate di trattamento” che ci si augura possano essere presto introdotte con una legge nel nostro paese (in questo senso si è espresso anche il Sinodo valdese). Il professor Borasio, nel libro sopra citato, spiega l'importanza di queste “dichiarazioni anticipate” che sono a tutto vantaggio del paziente e anche del medico, e ricorda un fatto personale legato ai suoi genitori, entrambi residenti in Germania. Mentre la madre non ha avuto esitazioni a sottoscrivere la dichiarazione, il padre invece, da buon cattolico osservante, ha preferito seguire le indicazioni del magistero. Un chiaro esempio della libertà di scelta che la legge tedesca permette e che in Italia ancora non esiste. Autodeterminazione non è una minaccia alla propria identità o alla propria coscienza, ma è la condizione in cui una persona viene a trovarsi quando la rete relazionale del dialogo e dell'informazione ha funzionato correttamente e pone il singolo nella condizione di assumere la propria decisione nella libertà e con responsabilità.

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