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Domenica, 06 Agosto 2017 17:44

Sermone di domenica 6 agosto 2017 (Isaia 2,3-5)

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Testo della predicazione: Isaia 2,3-5

«Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri. Da Sion, infatti, uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l'arbitro fra molti popoli; ed essi trasformeranno le loro spade in vomeri d'aratro, e le loro lance, in falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra, e non impareranno più la guerra. Casa di Giacobbe, venite, e camminiamo alla luce del Signore!».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, chi non ha un sogno nel cassetto? Un sogno che spera, prima o poi, si realizzi? Un sogno che si attende come una promessa che prima o poi verrà onorata. Alle volte quel sogno può essere una vanità personale, altre volte può essere l'unica speranza a cui aggrapparsi. Il sogno può essere quello di poter comprare finalmente una casa, un'auto o una moto, oppure il sogno di fare un viaggio, di andare lontano, o di trovare la persona giusta a cui legarsi per la vita.

Ma ci sono anche altri tipi di sogni, possiamo dire, esistenziali, come per esempio quello di poter coltivare la propria terra che è stata minata durante una guerra, oppure di ricongiungersi con la propria famiglia dopo anni di separazione a causa dell'essere profughi, perseguitati, o semplicemente perché in cerca di un lavoro; il sogno potrebbe anche essere quello di ricevere finalmente la liberazione dalla schiavitù della povertà, di ricevere finalmente l’istruzione prima negata. Il sogno di poter essere considerate persone come gli altri e non discriminati a motivo della propria religione, sesso, condizione sociale o colore della pelle. Ci sono persone che vorrebbero anche solo pregare, in pace, nella loro chiesa, e non possono.

Ricordate il sogno di Martin Luther King, il pastore nero americano? «Ho fatto un sogno… Ho sognato che un giorno gli uomini si alzeranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli e sorelle. Ho il sogno che un giorno ogni (…) persona di colore in tutto il mondo, sarà giudicata sulla base del suo carattere piuttosto che su quella del colore della sua pelle, e ognuno rispetterà la dignità e il valore della persona… Ho ancora il sogno che un giorno la giustizia scorrerà come l'acqua e la rettitudine come una corrente poderosa… Ho ancora il sogno oggi che un giorno la guerra cesserà, che gli uomini muteranno le loro spade in aratri e le nazioni non insorgeranno più contro altre nazioni, e la guerra non sarà più neppure oggetto di studio».

Anche il profeta Isaia ha un sogno, Isaia riceve la sua vocazione di profeta nel periodo in cui gli Assiri raggiungono il Mediterraneo occupando la Filistea, distruggendo il Regno di Israele e la Siria radendo al suolo Damasco (siamo nel 732 a.C.). E più tardi, quando il Regno di Giuda si alleerà con l'Egitto per contrastare l'Assiria, Sennacherib circonda e assedia Gerusalemme e dice del suo re: «Ho racchiuso Ezechia come un uccello in gabbia» (701 a.C.).

Il ministero del profeta Isaia si svolge all'interno di queste vicende politiche a cui egli prende parte attiva cercando di dare il suo contributo come interprete della storia.

Ma è chiaro il suo ruolo, la sua lotta, il suo obiettivo, è chiaro il suo sogno: «Il Signore giudicherà tra nazione e nazione, egli sarà l'arbitro tra i popoli» e quando questo accadrà verrà stabilita una pace internazionale, un governo giusto e quanto più intensamente sognato: il disarmo.

Isaia non dice: «Il Signore distruggerà e ucciderà col fuoco tutti gli Assiri». Il sogno di Isaia non è un’altra guerra che generi altre vittime, Isaia sa bene che Dio è il Dio della vita e può fare molto di più che vincere una guerra. Dio può fare che gli strumenti di guerra non siano oleati e affilati per combattere, ma trasformati per uno scopo diverso. Isaia vede Dio come colui che trasforma le nostre armi e attrezzature belliche in attrezzi del progresso pacifico: «Trasformeranno le loro spade in vomeri di aratro e le loro lance in falci, una nazione non alzerà più la spada contro un'altra e non impareranno più la guerra». Impareranno a condividere, piuttosto, il frutto della terra che Dio ha donato a ogni essere umano per vivere in pace. È quando si vuole accaparrare per sé quella terra e sfruttare i suoi abitanti che il sogno di Dio stesso è infranto, e con quello di Dio, il sogno del profeta e quello di coloro che levano il proprio grido di dolore.

Il profeta mitiga l’aggressività e la violenza umana riducendo il fare umano a una partita tra due squadre che hanno bisogno di un arbitro per giocare. Dio è, dunque, l’arbitro, a lui soltanto spetta il giudizio. Esso non appartiene a noi, noi siamo chiamati a incontrarci per confrontarci, a discutere, a capire l’altro, le sue ragioni, anche a litigare, ma innanzitutto a camminare nei sentieri che Dio ci indica, dice il profeta, perché sono sentieri di pace e non di guerra. Così egli dice: «Egli ci insegnerà le sue vie e noi cammineremo nei suoi sentieri. Venite, camminiamo alla luce del Signore». È un po’ come dire che non dobbiamo mai prenderci troppo sul serio, noi, la vita, la storia, gli eventi che determinano le nostre scelte. Il profeta introduce un modo di vivere così, sportivamente, sostenendo quasi, come diremmo oggi, che il fine della partita «non è vincere, ma partecipare».

Ciò vale per tutte le sfere della vita, non solo per i grandi conflitti internazionali, ma per ciascuno di noi che vive a contatto con il prossimo all’interno di una storia costellata di dialogo o conflitto, litigi o ripicche, aggressività o ostilità, prepotenza o calma, ferite o serenità, etc… Il profeta inserisce un elemento che spesso non riusciamo ad accettare: Dio è l’arbitro. Noi non abbiamo cioè da esprimere nessun giudizio contro o a favore, ma cercare di capire gli altri e le loro ragioni, convivendo insieme nella fraternità, nel confronto e nel dialogo sempre sereni.

Ecco, tutti siamo invitati a sognare così, cioè a vedere il futuro che sta davanti a noi come un futuro di speranza, ad allargare i nostri orizzonti per vedere le situazioni di disagio di tanti fratelli e sorelle che anche qui, da noi, sono vittime della guerra, delle ingiustizie sociali, del razzismo, dell’aggressività e della violenza.

Ciascuno di noi è chiamato a impegnarsi concretamente sostenendo chi è vittima, mostrando solidarietà, condividendo, denunciando il male, affinché si realizzi il sogno di Isaia, ma anche quello di Martin Luther King, e il nostro sogno.

Il Signore è sempre Colui che si impegna attraverso la nostra lotta, attraverso il nostro lavoro, la nostra testimonianza, la nostra diaconia personale. Ogni credente diventa, così, strumento di giustizia, di pace, di consolazione, di riconciliazione, di attenzione nei confronti di coloro che hanno perso anche la speranza e il sogno di un futuro migliore.

Questa è una trasformazione di cui parla la Bibbia, ad ogni pagina. Isaia ci insegna che essa diventa un sentiero di luce e di pace lungo il quale camminare, sempre, non da soli, ma con il sostegno e l’aiuto del Signore. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

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