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Domenica, 29 Aprile 2018 20:04

Sermone di domenica 29 aprile 2018 (Atti 16,22-34)

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Testo della predicazione: Atti 16,22-34

Presero Paolo e Sila e comandarono che fossero battuti con le verghe. E, dopo aver dato loro molte vergate, li cacciarono in prigione, comandando al carceriere di sorvegliarli attentamente. Ricevuto tale ordine, egli li rinchiuse nella parte più interna del carcere e mise dei ceppi ai loro piedi. Verso la mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano. A un tratto, vi fu un gran terremoto, la prigione fu scossa dalle fondamenta; e in quell'istante tutte le porte si aprirono, e le catene di tutti si spezzarono. Il carceriere si svegliò e, vedute tutte le porte del carcere spalancate, sguainò la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. Ma Paolo gli gridò ad alta voce: «Non farti del male, perché siamo tutti qui». Il carceriere, chiesto un lume, balzò dentro e, tutto tremante, si gettò ai piedi di Paolo e di Sila; poi li condusse fuori e disse: «Signori, che debbo fare per essere salvato?» Ed essi risposero: «Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia». Poi annunciarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua. Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte, lavò le loro piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi. Poi li fece salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola, e si rallegrava con tutta la sua famiglia, perché aveva creduto in Dio.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, vi sarà, senz’altro, capitato tante volte di trovarvi a pregare, senza neppure rendervene conto, a motivo di una sofferenza, un dolore, vostri o di altre persone che vi sono care. Accade tante volte che una gioia, una felicità per un evento che avete vissuto o per un pericolo scampato produca un profondo “Alleluia” dall’anima, oppure un “grazie Signore”, o semplicemente un “sia ringraziato il cielo”. Sì, tante volte. Altre volte ci si trova a canticchiare piano o forte, una bella canzone o un inno che esprimono la nostra contentezza, e non ce ne accorgiamo neppure.

All’apostolo Paolo e al suo compagno missionario, Sila, era capitata, invece, una brutta avventura che non era destinata a risolversi facilmente. Erano in Macedonia, e Paolo aveva guarito una serva che aveva uno spirito indovino che procurava molti guadagni ai suoi padroni, così, a motivo di quella liberazione, la popolazione si era ribellata denunciandogli apostoli che sconvolgevano la città annunciando tradizioni e riti diversi da quelli consentiti. In realtà erano i loro guadagni che erano compromessi non la loro fede.

Così gli apostoli sono condotti in carcere, in catene e con ceppi ai piedi. Erano, cioè, pericolosi, potevano avere dei poteri con i quali liberarsi; meglio neutralizzare i loro poteri e rendere impossibile la loro liberazione.

Ma l’annuncio della Parola di Dio è l’annuncio della liberazione e non saranno i ceppi e le catene a rendere prigionieri i credenti.

Il racconto rivela come tante persone che sono libere, lo sono solo in apparenza, perché in fondo sono schiave. I padroni della serva sono liberi, eppure sono schiavi del loro denaro; si può essere schiavi del proprio egoismo e dei propri averi. Il carceriere, uomo libero, è invece schiavo di chi sta sopra di lui e di una legge che gli affidava la responsabilità dei carcerati, pena la morte se fossero fuggiti; per questo sguaina la spada pronto ad uccidersi. No, non è libero, ma lo diventerà a seguito della sua domanda: «Che devo fare per essere salvato?». Spesso, chi crede di essere libero, resta schiavo di se stesso e di un sistema che esclude e minaccia. Così, Paolo e Sila, da liberatori diventano prigionieri.

Ma vi fu un gran un terremoto.

Non sono le sbarre di ferro a fare una prigione. Perciò i prigionieri, già liberi nel cuore e nello spirito, cantano. La fede è liberazione per coloro che credono, Paolo e Sila lo sanno e cantano.

«Verso mezzanotte vi fu un gran terremoto». È la stessa ora in cui Israele è liberato dal giogo egiziano (Esodo 11,4), il terremoto in carcere porta con sé il messaggio che ogni liberazione è un dono di Dio, così come un terremoto devastante, è giunta l’ultima piaga d’Egitto che portò la liberazione degli schiavi condotti da Mosè; la libertà è quella volontà di Dio che diventa promessa per tutto il genere umano, creato a sua immagine e somiglianza, cioè libero.

La prigione è il luogo della schiavitù, dell’oppressione, non solo del corpo, ma anche dell’anima, la violenza sulla coscienza, il luogo della privazione della condivisione della propria umanità.

Ma la prigione non è il luogo in cui la fede è annientata, non sono le catene a far venir meno la fede e non sono i ceppi ai piedi che impediscono di far correre il pensiero verso Dio, di far volare lontano la propria anima sulle ali della preghiera.

Nessuno può incatenare la preghiera, possono incatenare il corpo, ma non il cuore; possono rendere prigioniera la mente, ma non l’anima e lo spirito. E tu, puoi arrivare al punto in cui non riuscirai più a esprimere con le parole ciò che provi, il tuo stato d’animo, il tuo dolore, la tua sofferenza o anche la tua gioia incontenibile, allora ti trovi a cantare perché ci sono dei sentimenti, delle passioni, delle condizioni umane che non si possono esprimere, che vanno oltre ciò che può essere descritto con le parole.

Ecco, il canto dà voce al senso profondo di gratitudine, al dolore, all’amore stesso.

Dove le parole finiscono, comincia la musica, il canto, l’espressione dell’anima. È il canto della fede ed è la fede che ti fa cantare, che ti rende libero/a interiormente e lotta per la libertà fisica e la dignità dell’essere. La fede canta perché prega, il canto è la preghiera dell’anima ed è comunione, con Dio e con chi ascolta il tuo canto.

Il canto dell’anima raggiunge chi ascolta e arriva nel profondo della sua anima e del suo cuore, come accade con il carceriere.

Gli altri, nella prigione, ascoltano il canto degli apostoli, il loro canto diventa forza, resistenza, sopportazione, lotta, libertà. Il canto scuote la prigione dalle fondamenta, le porte si aprono, le catene si spezzano, i ceppi si rompono. Il terremoto viene per tutti, non solo per Paolo e Sila, tutti sono liberati, anche il carceriere che si convertirà e sarà battezzato con la sua famiglia.

Così, allo stesso modo, cantavano gli schiavi d’America e nasceva il canto Gospel, che vuol dire “Vangelo”, essi daranno, attraverso il canto, le ali al loro cuore e alla loro anima, daranno volto alla preghiera, all’espressione alla loro fede libera che nessuno ha potuto mai imprigionare. Essi troveranno nel canto la forza per resistere, per lottare e attendere il giorno in cui saranno riconosciuti i loro diritti e la loro dignità di esseri umani, come proclamava Martin Luther King, pastore battista, ucciso esattamente 50 anni fa.

Così pure canteranno i neri oppressi dell’Apartheid in Sudafrica e saranno imprigionati come Paolo e Sila, come Nelson Mandela per 27 anni, e tanti altri, e canteranno “Nkosi sikelel'iAfrica”, Dio benedica l’Africa, canteranno “Freedom is coming. Jesus is coming. Yes I know!: la libertà è vicina sta per venire, Gesù viene, lo so viene a liberarmi. Il canto della fede è la verità della nostra anima che prega e gioisce anche nelle prove più dure.

Dalla sofferenza nasce la preghiera, chi canta può essere messo a tacere, ma non il suo canto, il canto della fede che non potrà mai essere strappato via da nessuno. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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