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Domenica, 27 Maggio 2018 18:25

Sermone di domenica 27 maggio 2018 (Efesini 1,3-14)

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Testo della predicazione: Efesini 1,3-14

«Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci ogni sorta di sapienza e d'intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà, per essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, oggi, prima domenica dopo Pentecoste, è la Domenica della Trinità, e il nostro lezionario “Un giorno, una Parola” propone questo testo, densissimo di contenuti e con una alta concentrazione teologica, non facile neppure agli «addetti ai lavori» soprattutto perché tratta diversi temi tutti legati da un filo rosso che è la grazia di Dio.

Innanzitutto, bisogna dire che il brano è un Inno e un capolavoro letterario che non teme paragoni con la letteratura greca antica; è un Inno che, invocando la benedizione del Signore, introduce, con una grande solennità, il tema della grazia infinita di Dio. È una solenne confessione di fede, un catechismo condensato che tocca tutti gli elementi essenziali della fede. È il minimo comune denominatore, irrinunciabile, della fede cristiana a cui tutti i credenti si rifanno.

I destinatari della lettera sono credenti cristiani di Efeso convertitesi dal paganesimo, essi sono invitati ad aprirsi al futuro contando sulla guida dello Spirito Santo. L’autore scrive in un’epoca in cui la chiesa non è per niente omogenea e dove diverse teologie e approcci teologici tenevano, spesso, i credenti lontani tra loro, in particolare cristiani giudei e cristiani provenienti dal paganesimo, la fraternità era spesso compromessa.

Il brano che oggi è alla nostra attenzione è il tentativo, ben riuscito, di promuovere l’unità della chiesa, di spiegare che, nonostante le diversità, tutti siamo uniti dalla unica grazia di Dio, proprio perché Cristo è morto per tutti e tutte.

Anche per noi oggi, questa Confessione di fede ha un grande senso e un grande valore ecumenico.

Quindi, l’Inno prosegue nei suoi propositi, permettendo la possibilità di scoprire qual è la propria identità nella fede. Il credente si sente amato da Dio, un amore che è benedizione, e allo stesso tempo, questo amore gli conferisce dignità, il credente avverte di ricevere un compito da svolgere: l’amore di Dio e la sua benedizione impegnano i credenti a essere testimoni verso il prossimo perché l’amore di Dio e la conseguente benedizione non vanno tenute solo per sé, ma condivise.

Questo tema della benedizione, assume un ritmo incalzante nel testo: il senso infatti è che se Dio ci ha benedetti, questo significa che noi possiamo benedire Dio; ed essere benedetti significa che Dio, nella sua libertà, in modo gratuito, ci rende suoi figli.

“Ci ha predestinati nel suo amore ad essere adottati come suoi figli” dice l’autore della lettera, ciò significa che essere figli è un atto d’amore di Dio. Sì, significa che Dio permette la nostra redenzione che non ha solo un valore spirituale, ma globale, universale, perché è una redenzione sociale contro ogni potere che tende a schiavizzare l’essere umano, a calpestare la sua dignità e a limitare la sua libertà: la grazia di Dio non si esaurisce nel rapporto con Dio, ma questa grazia crea nuovi rapporti tra le persone e con il creato. La grazia di Dio solo qualcosa di spirituale, o la salvezza nell’aldilà, ma riguarda il nostro qui e ora. La grazia di Dio getta ponti, costruisce un mondo più giusto e più umano.

Qui è proposto un orizzonte tutto nuovo: Cristo non è solo capo della chiesa, ma dell’umanità intera, è il “pantokrator”, di ogni realtà vivente.

In questa prospettiva noi credenti abbiamo tutti un compito da portare avanti, l’autore lo ritiene un “essere a lode della sua gloria” cioè essere credenti consapevoli di essere stati chiamati a esercitare una vocazione che è quella di testimoniare l’amore di Dio che permette una redenzione sociale contro ogni potere che annulla, schiavizza, impoverisce, discrimina, distrugge la dignità umana.

I profeti dell’Antico testamento sono stati molto chiari rispetto a questa vocazione: “Io disprezzo le vostre feste, non prendo piacere nelle vostre solenni celebrazioni” (Amos 5,21) e quando pregate mi giro la faccia… perché “vendete il giusto per denaro e il povero a causa di un paio di sandali (Amos 2,6).

La vocazione che Dio affida, quando dona il suo Spirito, è innanzitutto quella di aver cura dei “deboli, dell’orfano, della vedova e dello straniero”, di chi riceve ingiustizia o è respinto, di chi è vittima della violenza e dell’aggressività; è la vocazione di vigilare per la legalità, e per “il bene della città” (Ger. 29,7).

     La Bibbia, nel libro della Genesi, si apre con il Dio che benedice l’umanità (Gen. 1,27) e si chiude con la promessa dei nuovi cieli e la nuova terra (Apoc. 21,1-7), tra questi due poli c’è il viaggio dei credenti, antichi e moderni, contemporanei che si muovono nell’attuazione del compito che Dio affida loro.

È un compito che Dio si rinnova ogni giorno, Dio ha compiuto il primo passo benedicendoci, questo, nell’economia biblica significa, ricevere la capacità di essere strumenti di benedizione, utili per il disegno del Signore per l’umanità. Un disegno di una umanità fraterna.

     A questo siamo chiamati, fratelli e sorelle, ciascuno con i doni che Dio gli affida: con le parole, con atti concreti, con la testimonianza, con la diaconia, con la propria coerenza… Questo siamo chiamati a essere non da soli, ma inseriti all’interno di una comunità di credenti che risponde all’incarico che il Signore le affida consapevole che lo Spirito del Signore la sosterrà in questo percorso.

                                           Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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