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Venerdì, 05 Ottobre 2018 00:52

Sermone di domenica 31 settembre 2018 (Giacomo 2,1-13)

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Testo della predicazione: Giacomo 2,1-13

«Fratelli miei, la vostra fede nel nostro Signore Gesù Cristo, il Signore della gloria, sia immune da favoritismi. Infatti, se nella vostra adunanza entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, e vi entra pure un povero vestito malamente, e voi avete riguardo a quello che veste elegantemente e gli dite: «Tu, siedi qui al posto d’onore»; e al povero dite: «Tu, stattene là in piedi», o «siedi in terra accanto al mio sgabello», non state forse usando un trattamento diverso e giudicando in base a ragionamenti malvagi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi quelli che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi quelli che bestemmiano il buon nome che è stato invocato su di voi? Certo, se adempite la legge regale, come dice la Scrittura: «Ama il tuo prossimo come te stesso», fate bene; ma se avete riguardi personali, voi commettete un peccato e siete condannati dalla legge quali trasgressori. Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti. Poiché colui che ha detto: «Non commettere adulterio», ha detto anche: «Non uccidere». Quindi, se tu non commetti adulterio ma uccidi, sei trasgressore della legge. Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo la legge di libertà. Perché il giudizio è senza misericordia contro chi non ha usato misericordia. La misericordia invece trionfa sul giudizio.».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, il brano biblico della lettera di Giacomo alla nostra attenzione, affronta il tema legato ai nostri rapporti con il prossimo, in modo particolare al nostro giudizio verso gli altri.

Sebbene la nostra sensibilità di protestanti è quella di un’etica della responsabilità che ha come conseguenza la libertà di vivere ed operare in base a scelte che facciamo a partire dalla propria coscienza e coerenza con la fede, tuttavia il nostro modo di vivere non è esente dal rapportarci con gli altri avendo di loro un nostro proprio giudizio.

La comunità a cui si rivolge Giacomo, era chiamata a esprimere dei giudizi che però non erano fondati su criteri corretti di eguaglianza e di misericordia. L’autore fa degli esempi di situazioni che denotano un atteggiamento dei credenti, messo da lui in discussione, perché non è rapportato alla fede, ma ancora di più non ha come base la misericordia di Dio per noi che ci chiama a metterla in pratica: «Se durante i vostri incontri entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, e vi entra pure un povero vestito malamente, e voi avete riguardo a quello che veste elegantemente e non al povero, non state forse usando un trattamento diverso?».

In effetti, ognuno di noi ha la tentazione di usare pesi e misure diverse nei confronti delle persone. Ebbene, questo trattare le persone in modo diverso, per l’autore biblico è una discriminazione, è una mancanza di misericordia. Perciò può accadere che, per istinto, riserviamo tutti gli onori a una persona ragguardevole e non ci accorgiamo di una persona indigente che passa o siede accanto a noi senza riservare lo stesso onore di quello di prima.

Eppure, sono proprio i poveri che Dio ha scelto, sono loro gli “eletti”, lo sono proprio per la loro impotenza e mancanza di qualità da far valere in un mondo in cui è il ricco che conta e detiene il potere, prendendo, così, il posto di Dio.

La scelta etica che i credenti sono chiamati a compiere è quella di Dio: accogliere senza discriminazioni.

Dunque, l’autore biblico ci invita a guardare Dio stesso quale esempio, considerando le scelte di Dio, i criteri di Dio: la Chiesa è chiamata a un impegno efficace nella società con l’azione concreta della fede che, in sostanza, si traduce in azioni di misericordia, frutto dell’amore di Dio che ci impegna ad amare in modo autentico.

Dunque non ci è chiesto di trattare bene i poveri e gli indigenti e di trattare male i ricchi e chi ha potere. No!

Ci è chiesto di essere imparziali nell’amore.

Questo è difficile!

L’amore sì, l’amore è imparziale, siamo noi che non lo siamo. Per noi amare può significare accattivarsi il favore della persona che si ama, ammiccare, mettersi dalla parte di qualcuno influente. In realtà l’amore non nasconde il male, ma lo denuncia, per sconfiggerlo e superarlo, perché ci si possa ravvedere e cambiare.

Questo permette l’amore, un cambiamento. Ecco perché l’amore è imparziale.

L’autore della lettera di Giacomo, considera anche il fatto che la Parola di Dio insegna che tutta la legge antica, quella di Mosè e la parola dei Profeti, si può tradurre in una frase unica e semplice, ma non banale: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Nel senso che l’amore, passa attraverso noi stessi, ma si rivolge agli altri: questo è l’essenziale della fede, è un atteggiamento della vita che si orienta verso gli altri e trova, nell’amore per il prossimo, il senso della propria esistenza.

Tutto il resto è superfluo, è secondario, quando la misericordia, che viene dall’amore, è la pratica della nostra fede.

La fede, infatti, non è un’opinione, ma una relazione, con Dio e con il prossimo, e porta frutto ogni giorno: getta ponti, costruisce relazioni, strade, perdona, riconcilia, si mostra solidale, condivide quello che ha, in sostanza, porta frutti di misericordia. Che significa portare frutti di misericordia? Significa apertura, non chiusura mentale e sociale, significa capacità di comprensione degli altri, di ascolto per capire meglio, imparare, conoscere, significa usare intelligenza nel considerare la storia degli altri, il loro posto nel mondo e nella società e imparare a relazionarci correttamente con quelli, cioè con misericordia.

La misericordia mette in discussione il nostro senso di preminenza. La dimensione della misericordia è quella del dono di sé: «Io sono un dono del Signore, lo sono non solo per me stesso/stessa, ma anche per le altre persone attorno a me».

Il senso vero della vita, possiamo trovarlo nella dimensione del dono: «Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo» dice la prima lettera di Giovanni. Ci è data, cioè, la capacità di andare oltre noi stessi, il nostro egoismo, i nostri giudizi e imparare ad essere, con l’aiuto dell’amore di Dio e dello Spirito, delle persone che si adoperano a vivere nella dimensione della misericordia.

È così: il comandamento dell’amore non è una semplice indicazione o un appello sentimentale, ma richiede obbedienza che non può tradursi in un codice di precetti. Ma il comandamento dell’amore, invece si fonda su una “legge di libertà” dice Giacomo, nel senso che l’amore non può essere imbalsamato e fatto diventare una caricatura legalistica.

Perciò il nostro amore può solo provenire dalla libertà di rispondere all’amore di Dio, un Dio che si è fatto concreto nella nostra vita e la rende disponibile a diventare concreta per gli altri.

Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

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