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Domenica, 15 Dicembre 2019 19:01

Sermone di domenica 15 dicembre 2019 (Matteo 11,2-10)

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Testo della predicazione: Matteo 11,2-10

Giovanni, avendo nella prigione udito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?» Gesù rispose loro: «Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunciato ai poveri. Beato colui che non si sarà scandalizzato di me!» Mentre essi se ne andavano, Gesù cominciò a parlare di Giovanni alla folla: «Che cosa andaste a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? Ma che cosa andaste a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Quelli che portano delle vesti morbide stanno nei palazzi dei re. Ma perché andaste? Per vedere un profeta? Sì, vi dico, e più che profeta. Egli è colui del quale è scritto: "Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero per preparare la tua via davanti a te"».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, oggi è la terza domenica di Avvento, e questa ci ricorda che siamo in attesa; che la Chiesa di Cristo è in attesa della venuta del Signore. Questo è il messaggio del Natale: che Cristo viene, viene per riscattarci, per pagare, cioè, un riscatto per liberarci dalla nostra schiavitù del peccato con il suo perdono, della condanna con la sua assoluzione, delle nostre tenebre con la sua luce, di noi stessi e della nostra incredulità con la forza della sua Parola che agisce attraverso il dono dello Spirito.

Domando sempre alle mie classi di catechismo cosa sia per loro il Natale, le risposte in genere sono davvero vaghe: «Natale è una festa, si mangia insieme, si gioca a tombola, ci si scambia i regali». Eh, qualcosa di più? «Sì, sì, è una festa religiosa». In effetti, nel nostro mondo cristiano, l’Avvento è il tempo in cui ci si prepara a comprare i regali da aprire a Natale, giorno in cui bisogna essere buoni, o, quantomeno, non arrabbiarsi. Ci si rallegra se riceviamo un regalo che abbiamo desiderato e ci serve davvero, se no, è pur sempre un regalo.

La tradizione dei doni che ci si scambia, proviene dal messaggio del Natale stesso: Natale è un dono di Dio, anzi è il dono di Dio stesso che si fa essere umano, che viene tra noi, uno di noi, come noi, per stare con noi e vivere nel nostro mondo di gioie e dolori, bene e male, debolezza, limitatezze, privazioni. Dio viene per amarci nella nostra fragilità, viene per farsi dono per noi a ognuno e ognuna di noi.

 La Bibbia ci parla dell’attesa quando ci racconta del percorso storico di Israele che vive l’attesa in modo trepidante: l’attesa di consolazione, di liberazione, di riscatto da schiavitù, da angosce, paure, incertezze, debolezze, malattie, morte.

È questa la storia dell’Avvento: Israele è in attesa del Messia, il liberatore. È in questo clima che nasce Giovanni il battista, in una famiglia il cui padre era sacerdote, Zaccaria che, con la moglie Elisabetta, attendono «la consolazione d’Israele».

Il racconto biblico di oggi, narra che Giovanni è incarcerato per aver denunciato alcune delle illegalità commesse dal re, Giovanni è ora è nella fortezza di Macheronte in una zona desertica della Palestina. Si trova nel deserto.

Il deserto, per Giovanni, ha rappresentato il luogo della libertà; è nel deserto che egli aveva maturato la riflessione in vista della predicazione sulla venuta del Messia. Ora, quello stesso deserto, diventa la sua prigione.

«Sei tu colui che deve venire o ne dobbiamo aspettare un altro?», manda a dire a Gesù attraverso i propri discepoli.

          Giovanni è in dubbio per la sua vita, ed è in attesa che il Messia compia la sua opera di liberazione. Ma si domanda: «Perché non giunge il momento della resa dei conti? Perché Gesù non entra in azione liberando i prigionieri e bruciando le opere malvagie dei potenti?».

Gesù compiva senz’altro opere mirabili, ma ora doveva arrivare il giudizio. Giovanni aveva fatto la parte dell’umile servo del Messia, non si reputava degno «neppure di portargli i sandali», ma ora Gesù, come Messia, è troppo umile, è defilato, fermo.

Gesù risponde con una parola profetica: «Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunciato ai poveri».

«Andate a riferire quello che udite e vedete»: udire e vedere. Sì, perché Gesù è il Messia della Parola che possiamo ascoltare e delle opere che possiamo vedere; un Messia che parla e che agisce. Non c’è solo un parlare a vuoto, un ciarlare, non solo una riflessione profondamente teologica e un messaggio accattivante; e non c’è solo la guarigione fisica, ma anche la Buona Notizia rivelata ai poveri, agli emarginati, a coloro che non contano, e dei quali si pensa che Dio non si interessi.

Alla domanda “Sei tu…?”, Gesù non risponde “Sono io”, ma indica gli altri: “i ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, i morti, i poveri” indica tutti noi a cui succede qualcosa: si tratta di persone che sperimentano la presenza di Dio, la sua vicinanza, il suo amore traboccante, non dato col contagocce. Gesù cita le antiche profezie per annunciare il Regno del nuovo mondo di Dio, un mondo, sì, senza malattie, affanni, tristezza, paura, morte, ma anche un mondo di pace senza corruzione, ingiustizie, persecuzioni, povertà, disumanità.

Questo è Gesù!

Questa è la sua missione: Gesù non si presenta a capo di un esercito, sul suo destriero bianco, con la spada sguainata in mano, pronto per fare una rivolta contro l’oppressore di turno. Questa è una trappola, dice Gesù, è una falsa possibilità che porta fuori strada, che ci fa perdere. Gesù porta con sé grandi speranze, ma anche grandi delusioni per chi pensava a una rivolta armata. E questo non l’abbiamo capito neppure oggi, neppure quando i nazisti hanno ucciso milioni di ebrei e non solo: «Dov’è Dio che distrugge a morte l’oppressore e salva l’oppresso?». La trappola dell’odio, della guerra, della maledizione del prossimo è distrutta dall’amore di Dio che non rinnegherà mai se stesso, ma fa risorgere il bene dalle ceneri del nostro fuoco dell’odio, dell’inimicizia e dell’intolleranza.

Questo brano ci parla dell’attesa, della nostra costante attesa, del nostro cammino di fede sempre vissuto come quello dell’Avvento. Lo era per Israele che attendeva la consolazione, lo era per i protagonisti dei Vangeli che attendevano una guarigione, lo era per le persone che Gesù incontrava e che attendevano la sua Parola che cambiasse la loro vita, lo è stato per la Chiesa a Pentecoste che attendeva il dono dello Spirito, lo è per noi oggi che attendiamo di sentire il Signore vicino a noi nei momenti più difficili, che attendiamo da lui una risposta, un risanamento, una trasformazione per cui ancora preghiamo: “Venga il tuo regno”.

Dio si manifesta non sempre come noi vorremmo; Dio sceglie le cose deboli del mondo. Questo è il senso del Messia che nasce in una stalla di Betlemme: povero, emarginato, ignorato, minacciato di morte dal re Erode.

Nel racconto di oggi emerge il messaggio del Dio che capovolge la nostra logica e ci chiede di guardare con gli occhi della fede, che sa vedere oltre noi stessi, oltre le nostre sofferenze, il nostro piccolo orizzonte, i nostri limiti, oltre ciò che ci sembra logico; ci chiede di guardare ciò che è meno appariscente, ma ciò che veramente conta: i segni del Regno di Dio, un Regno che germoglia e cresce nel silenzio, nell’oscurità, nel nascondimento.

«Fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce». Il Regno di Dio cresce, viene, e nessuno lo sente, perché non è evidente ai nostri occhi umani, ma solo con quelli della fede, con il nostro cuore.

La nostra vocazione è quella di seminare nei cuori il fermento dell’attesa attiva, vigile, feconda, di saper individuare i segni del nuovo presenti nel nostro oggi, in mezzo a noi come una benedizione che non dobbiamo perderci per sbadati o indifferenti: sono segni che anticipano ciò ci attende, ciò che sta davanti a noi, ma che possiamo vivere e condividere già nell’oggi e che ci da un futuro di speranza.

Dunque, quest’anno, con i regali di natale che faremo, trasmettiamo anche il regalo più grande che Dio fa all’umanità venendo nel mondo: con le nostre parole, la nostra gioia e il nostro agire annunciamo il Dio che è sempre vicino a noi, che ci ama e ci sostiene qualunque prova ci riservi la vita. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

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