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Martedì, 17 Febbraio 2015 23:41

Sermone del 17 febbraio 2015

Testo della predicazione: Giovanni 15,12–17

«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri»

Sermone

Il 17 febbraio ricordiamo l’ottenimento dei diritti civili nel 1848. L’Editto di emancipazione ci riconobbe come parte integrante della comunità nazionale italiana, non ancora costituita in tutta la penisola, ma che ci si preparava a fare con il Risorgimento. Fu l’ottenimento della libertà, cui seguì, pochi giorni dopo, quella degli ebrei italiani e solo dopo, il 6 marzo, fu promulgato lo Statuto, che fu la prima costituzione italiana per 100 anni, fino a quella repubblicana del 1948. Sappiamo che non si trattò di una libertà a tutto tondo: ne era esclusa la libertà di religione al di fuori del ghetto alpino, questa l’abbiamo conquistata faticosamente col tempo.

Dopo secoli di sofferenza e ghettizzazione, non si trattava di prendersi alcuna rivincita, non si trattava di rendere male per male, oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, "benedire" (I Pietro 3,9). Che cosa significava "benedire" per quella generazione? Significava adoperarsi per portare, in quella che poi sarebbe diventata l’Italia, un progetto liberatore da un cristianesimo oscurantista e autoritario. Un cristianesimo da sostituire con un altro, fondato sulla responsabile libertà evangelica fondata sulla Scrittura. In questi 167 anni molte cose sono cambiate, alcune delle visioni di quella generazione si sono realizzate, altre no. Ma quelle visioni restano in fondo anche le nostre, per essere benedizione per questo Paese, e goderne i frutti. Questa era e resta la nostra missione in questo Paese, il motivo misterioso per il quale Dio ci ha posto qui e non altrove.

Ma noi non siamo un’organizzazione umanitaria, educativa, di promozione umana e sociale. Siamo una chiesa cristiana, e quindi impegnarci ancora oggi per proporre ai nostri concittadini una libertà responsabile e solidale, significa radicarla e nutrirla nella Scrittura, che annuncia la buona notizia dell’amore incondizionato di Dio in Gesù Cristo, per tutte le creature, buona notizia che noi siamo chiamati ad annunciare ancora oggi, come ci ricorda Gesù (Giov. 15,16). Capiamo quanto ciò sia urgente nei tempi difficili in cui ci troviamo a vivere, tra la crisi economica e sociale che continua a frustrare le speranze degli europei, e degli italiani in particolare, e il risorgente virus dei fondamentalismi (antisemitismo, nazionalismo, xenofobia, omofobia, pregiudizio…) a cui si aggiungono purtroppo anche attentati sanguinosi. Su di noi, uomini e donne di fede, più che su altri, ricade il compito di vigilare e contrastare questo virus sempre risorgente perché distrugge il seme della Buona Notizia che noi, umilmente, cerchiamo di spargere.

Ecco perché Dio ci ha posti qui, in Italia: per compiere il nostro servizio di umili testimoni e annunciatori della Buona Notizia della grazia incondizionata di Dio in Gesù Cristo per l’umanità di oggi, e siamo resi forti e fiduciosi dal sostegno dello Spirito Santo

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