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Martedì, 06 Settembre 2016 12:10

Sermone di domenica 4 settembre 2016 (1 Pietro 5,5c-11)

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Testo della predicazione: 1 Pietro 5,5c-11

«Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi innalzi a suo tempo; gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo. Or il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. A lui sia la potenza, nei secoli dei secoli. Amen».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera di Pietro scrive a dei credenti dell’Asia Minore che vivono una situazione di pericolo a causa delle persecuzioni rivolte ai cristiani del primo secolo; probabilmente quelle ordite dall’imperatore Domiziano.

Chi scrive si rivolge a questi credenti molto provati, chiedendo loro di non ribellarsi a Dio, ma di vivere umilmente quella condizione.

È difficile accettare quanto è richiesto a questi credenti che sembra siano trattati come responsabili dei pericoli che vivono e sono dunque ammoniti così: «non siate superbi piuttosto umiliatevi davanti a Dio». In effetti, anche chi ha ragione può farsi torto con la sua arroganza. E sembra che questi credenti cui è rivolta la lettera siano un po’ sdegnosi agli occhi della gente, ma anche di Dio che li rimanda indietro, perché Dio accoglie chi si presenta senza nulla pretendere, nell’umiltà e nella disponibilità al servizio e al dialogo.

In sostanza, questa lettera di Pietro vuole insegnare un modo di essere che rientra nella logica della gratuità e dell’amore di Dio; vuole insegnare ai credenti che vorrebbero abbandonare la fede a causa della violenza del mondo, di perseverare e che è sbagliato rispondere alla violenza con la violenza.

Il testo biblico comunica il messaggio che l’azione dell’amore non agisce mai con veemenza e aggressività nel confronti del persecutore, ma con la semplice e nuda nonviolenza, con la resistenza passiva, che è intelligenza e non istintività, calma non nervosismo, delicatezza non insensibilità, tatto non maleducazione. Infatti, l’amore è proposta, non imposizione, l’amore non si pone sul piano dei ricatti morali; è umiltà, non superbia, è fiducia nell’accogliere la scelta di Dio, quella di amarci, è una scelta nostra, quella di accogliere l’amore che cambia noi, e cambia l’atteggiamento attorno a noi. L’amore non può essere aggressivo, violento, geloso, pettegolo, tutto ciò rinnega l’amore, è egoismo.

Quindi l’umiltà è affidarsi a Dio che renderà ragione della violenza del mondo e della sofferenza inflitta agli umili. Per l’autore biblico, l’umiltà non è debolezza come tutti noi pensiamo senza dirlo, ma al contrario è forza, è grande potere. Non per nulla l’autore della nostra lettera accosta il concetto dell’umiltà alla potenza di Dio, alla sua mano potente che accoglierà la realtà dell’umile per donargli speranza e possibilità nuova di vita che egli, nell’umiltà, saprà riconoscere come percorso di una vita vera che vale la pena vivere.

L’umiltà è quell’atteggiamento sereno e semplice che ci permette di non considerarci al centro di un percorso di salvezza: non sono le nostre capacità umane a realizzare la liberazione dalle nostre preoccupazioni, non la portata della nostra intelligenza a condurci fuori dalle nostre paure, dalle nostre inquietudini, tormenti, sofferenze, affanni, afflizioni. Eppure, tante volte contiamo su di noi e sulle nostre capacità.

Ma l’autore biblico esorta energicamente dicendo: «Dio si prende cura di voi, dunque, gettate su lui ogni vostra preoccupazione». Come dire: Non siete soli ad affrontare la vita, non siete soli nelle difficoltà e nei pericoli; non sarai solo, sola, fratello, sorella, quando dovrai attraversare il buio della tua esistenza, quando l’ansia, la paura e l’inquietudine prendono il sopravvento e ti senti circondato/a da un leone affamato che ti ruggisce contro e non sai come reagire, come andare avanti, paralizzato/a come ti trovi: non sei solo, sola, Dio si prende cura di te: getta su lui il tuo affanno.

Anche Gesù invitava a una concezione nuova della vita, a prendere sul serio e la vita e Dio che, come creatore, non abbandona gli esseri umani a se stessi, ma continua ad averne cura. Siamo invitati a riconoscere la nostra dipendenza dal Signore, a saper vedere nella nostra autosufficienza un non senso, anzi un peccato, il peccato della superbia di cui si parlava prima.

Ma non è facile, piuttosto è facile uscire dall’orizzonte di Dio, è strano, ma siamo fatti così: è facile uscire da un orizzonte che dà respiro alla nostra vita e alla fede perché non più oppressi dai nostri egocentrismi e dalle nostre paure. Perché? Perché vogliamo contare su noi stessi, renderci indipendenti, autonomi, dimostrare che non abbiamo bisogno di nessuno.

Allora è facile rivoltarsi contro Dio, ribellarsi a Lui e rifiutarlo; ci accade quando Dio non fa quello che noi vorremmo, quando non esaudisce le preghiere, quando la sofferenza, il dolore, la paura, restringono i nostri spazi vitali e non sappiamo vedere oltre noi stessi.

«Vigilate dunque, perché un leone ruggente, il diavolo, cerca chi possa divorare».

Il pericolo dei destinatari della lettera di Pietro era in agguato, le sofferenze delle persecuzioni inducevano a rinnegare Gesù e ad abbandonare la fede. Ma l’autore confida sulla capacità di resistere che i credenti possono trovare in Dio, confida nella consapevolezza che l’amore di Dio li avrebbe resi capaci di amare e di perdonare perfino i loro nemici.

Sullo sfondo di questo brano vi è la croce di Gesù, vi è la sofferenza di Dio che rende dignitosa la sofferenza umana. È lì, sulla croce, che l’amore prende forma, è lì che diventa per noi comprensibile, reale, è lì che si rivela il cuore di Dio che batte, forte, per tutti noi, per te, per me, fratello, sorella, per ogni creatura.

Dunque, coraggio, avete la possibilità di resistere, di resistere al diavolo, al vostro nemico, cioè: ai cedimenti, alle rinunce, alle paure, ai ricatti. Cedere alle chiusure, rinunciare al dialogo, aver paura del confronto e dell’incontro, significa soccombere, essere inghiottiti da un vortice mortale; significa restare soli all’interno di muri che ci separano da tutti e da Dio stesso.

La sofferenza, le difficoltà della vita, hanno la loro dignità e devono essere vissute pienamente, senza sminuirle, ma nella consapevolezza che l’amore di Dio rimane vivo in tutta la sua forza, proprio quando non riusciamo più a vederlo.

Resistere significa persistere nell’umiltà, cioè nella consapevolezza che, malgrado tutto, il Signore continua a prendersi cura di noi. Come pensava quel credente ebreo che, durante la persecuzione razziale nazifascista, nascosto per qualche tempo, in uno scantinato di una palazzo, nel buio della stanza, aveva scritto su una parete questa frase:

Credo nel sole, anche quando non splende.
Credo nell’amore anche quando non lo sento.
Credo in Dio anche quando tace.

Dio, anche nella sofferenza, ti dona la possibilità di restare fermo/a nella fede, di essere forte contro le tue paure e le tue ansie; ti permette di intraprendere un cammino lungo il quale splende la luce del sole; perché l’amore di Dio ti rassicura e la sua Parola ti rende forte e coraggioso. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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