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Domenica, 19 Novembre 2017 13:57

Sermone di domenica 19 novembre 2017 (Marco 8,22-26)

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Testo della predicazione: Marco 8,22-26

Giunsero a Betsaida; fu condotto a Gesù un cieco, e lo pregarono che lo toccasse. Egli, preso il cieco per la mano, lo condusse fuori dal villaggio; gli sputò sugli occhi, pose le mani su di lui, e gli domandò: «Vedi qualche cosa?» Egli aprì gli occhi e disse: «Scorgo gli uomini, perché li vedo come alberi che camminano». Poi Gesù gli mise di nuovo le mani sugli occhi; ed egli guardò e fu guarito e vedeva ogni cosa chiaramente. Gesù lo rimandò a casa sua e gli disse: «Non entrare neppure nel villaggio».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, è la strana guarigione di un cieco quella che si presenta oggi alla nostra riflessione. Strana perché Gesù prima conduce il cieco fuori dal villaggio, Betsaida, poi con la saliva gli tocca gli occhi, pone le mani su di lui, ma non è ancora del tutto guarito: il cieco vede le persone come alberi che camminano, e Gesù deve porre ancora una volta le mani sul cieco guarito a metà, perché veda chiaramente. E, infine, Gesù gli proibisce di rientrare nel villaggio.

Sono delle strane informazioni quelle che l’evangelista fornisce che ci fanno restare, sì, un po’ perplessi ma ci costringono a cercare di capire il senso che queste immagini vogliono avere.

Cerchiamo, quindi, di entrare dentro il racconto, approfondendo la nostra ricerca.

Innanzitutto bisogna ricordare che ogni racconto biblico ci comunica un messaggio, quando leggiamo la Bibbia non dobbiamo mai pensare di avere davanti un resoconto storico perché, in realtà, l’intenzione degli autori biblici è quella di trasmettere il messaggio della Parola di Dio e non l’evento storico in sé.

¿Il cieco guarito, quindi, che cosa rappresenta per gli autori biblici? Rappresenta la possibilità nuova che ci è donata di vedere, cioè di intendere e capire la Parola di Dio. L’aveva annunciato il profeta Isaia che il Servo del Signore «Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante… ma manifesterà la giustizia secondo verità» e sarà «luce delle nazioni per aprire gli occhi ai ciechi… per far uscire dalle prigioni quelli che abitano nelle tenebre» (Isaia 42,3-4.7).

Ecco qui l’adempimento di una promessa di Dio, egli ristabilirà ciò che è fragile e destinato a soccombere, ciò che può essere facile bersaglio perché non può difendersi, immerso nel suo buio che rappresenta sempre l’isolamento, la solitudine, l’esclusione, la prigione. Il cieco è colui che ha paura del mondo, che lo vede ostile, pericoloso per la sua incolumità; si sente escluso, solo, e si isola dentro la sua prigione dove cerca di trovare, invano, protezione e sicurezza.

Innanzitutto, Gesù è colui che vuole cambiare le sorti di coloro che non vedono che pericoli e minacce, Gesù vuole restituire loro la stessa fiducia e la stessa serenità che trova un bimbo ancora nel seno materno.

Per questo Gesù chiede che il cieco sia condotto fuori dal villaggio, fuori dal luogo dei pericoli e dell’ostilità, delle paure e dei timori, per donargli la possibilità di tornare, come nel seno della madre, attraverso il contatto con Gesù, attraverso il suo tocco, le sue mani poste su di lui, la sua saliva, liquido di embrionale memoria, e poi tornare a nascere, ad affrontare il mondo, le persone, Dio stesso, con rinnovata fiducia.

Ecco perché Gesù nutre una particolare sollecitudine verso le persone cieche.

Cosa fa una madre quando il suo bimbo cade e si sbuccia un ginocchio? Lo prenderà in braccio, lo accarezzerà, gli soffierà sulla ferità e la strofinerà delicatamente con la saliva, terrà stretto il suo contatto con il figlio, gli comunicherà sicurezza, protezione, gli mostrerà che il suo bambino non è solo.

È questo il Gesù di cui ci parla l’evangelista Marco.

Così Gesù si presenta a noi in questo racconto antico.

Gesù accarezza il cieco come fa una mamma col suo bambino e gli dice, con i suoi gesti, che non è solo, ma circondato da Colui nel quale può avere fiducia, Colui nel quale può affidarsi senza più paura.

E ci sono davvero tante persone, che sono state ferite enormemente dallo sguardo del mondo, e hanno assunto, come unico desiderio, quello di chiudere gli occhi e di non vedere. (pausa)

E la guarigione non potrà che accadere in due fasi, perché si può anche guardare e non vedere.

Gesù, pochi versetti prima di questo racconto, aveva detto ai discepoli: «Avete occhi e non vedete», e dopo la guarigione del cieco domanderà ancora ai suoi: «Chi dite voi che io sia?». Come mi vedete? Come mi intendete? Cosa pensate di me? Gesù ci spiega che quello che siamo chiamati a vedere non è una questione di occhi, ma di cuore, non si tratta di vedere oggetti e cose, ma di intendere il significato e il senso delle cose che vediamo.

Così dice la volpe al Piccolo principe di Antoine De Saint Exupery: «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». Nulla di più evangelico.

Ci vorrà del tempo affinché il cieco, dopo anni di cecità, impari di nuovo a vedere il mondo non solo con gli occhi, ma anche con il cuore. Non è un caso che il cieco, inizialmente, veda solo in parte: «Capisco che devono essere persone perché li vedo come alberi che camminano». La forma è ancora confusa, il cieco non è ancora pronto per affrontare la realtà, infatti se le persone fossero come alberi, non rappresenterebbero un pericolo per lui, anzi, gli alberi offrono riparo, appiglio e sicurezza. Ma le persone non sempre sono come gli alberi, e sarà necessario per Gesù un’altra imposizione delle mani per permettere al cieco di superare questa visione errata del mondo.

Ecco il messaggio che emerge da questo racconto: Gesù è colui che restituisce a coloro che sono stati feriti irrimediabilmente dalla vita, una nuova vita, la sua protezione, il suo abbraccio.

Gesù è colui che tocca il tuo dolore fratello, sorella, e lo fa con l’amore di una madre verso il suo bambino; l’intensità del suo amore permette ai tuoi occhi di aprirsi, di uscire dal buio della tua solitudine, dal buio delle tue paure e di orientare lo sguardo verso il prossimo con cui puoi condividere la tua vita, la tua storia, la tua fede, con cui essere solidale, compagno/a, e percorrere il tuo cammino non più in solitudine.

Il tocco di Gesù permette una vita vissuta in una prospettiva nuova, in un orizzonte nel quale l’altro, l’altra non sono più una minaccia, un pericolo, un ostacolo da superare, ma diventano un’opportunità con i quali condividere l’amore di Dio che solo fa muovere le esistenze in modo che la vita umana sia vissuta, nella sua essenza più profonda, in modo degno, e cioè condiviso.

Il racconto di oggi ci insegna che possiamo cominciare a rivivere. Gesù è la luce che splende nelle tenebre, e nel nostro racconto, Gesù è la fine delle tenebre, del buio, della paura del mondo e degli altri, è l’inizio di un mondo nuovo da vivere pienamente, se solo permettiamo che le sue mani tocchino i nostri occhi. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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