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Martedì, 27 Febbraio 2018 11:56

Sermone di domenica 25 febbraio 2018 (Geremia 13,1-11)

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Testo della predicazione: Geremia 13,1-11

Così mi ha detto il Signore: «Va', comprati una cintura di lino, mettitela attorno ai fianchi, ma non la porre nell'acqua». Così io comprai la cintura, secondo la parola del Signore, e me la misi attorno ai fianchi. La parola del Signore mi fu indirizzata per la seconda volta, in questi termini: «Prendi la cintura che hai comprata e che hai attorno ai fianchi; va' verso l'Eufrate e nascondila laggiù nella fessura d'una roccia». Io andai e la nascosi presso l'Eufrate, come il Signore mi aveva comandato. Dopo molti giorni, il Signore mi disse: «Àlzati, va' verso l'Eufrate e togli di là la cintura che io ti avevo comandato di nascondervi». Io andai verso l'Eufrate, scavai e tolsi la cintura dal luogo dove l'avevo nascosta. Ecco, la cintura era marcita, non era più buona a nulla. Allora la parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: «Così parla il Signore: "In questo modo io distruggerò l'orgoglio di Giuda e il grande orgoglio di Gerusalemme, di questo popolo malvagio che rifiuta di ascoltare le mie parole, che cammina seguendo la caparbietà del suo cuore, e va dietro ad altri dèi per servirli e per prostrarsi davanti a loro; esso diventerà come questa cintura, che non è più buona a nulla. Infatti, come la cintura aderisce ai fianchi dell'uomo, così io avevo strettamente unita a me tutta la casa d'Israele e tutta la casa di Giuda", dice il Signore, "perché fossero mio popolo, mia fama, mia lode, mia gloria; ma essi non hanno voluto dare ascolto".

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, il profeta Geremia è chiamato ad annunciare un messaggio scomodo; lo fa rivolgendosi ad un popolo, Israele, che aveva rinnegato Dio con l’adorazione di divinità straniere, la venerazione degli astri, del sole e della luna, oltre a compiere scelte politiche equivoche e destinate al fallimento, scelte sociali egoistiche dettate da protervia, superbia derivate dal rifiuto di ascoltare la Parola di Dio. Il profeta parla di orgoglio, caparbietà del cuore e di malvagità del popolo; parla di un culto che è il risultato di un tentativo di ingannare Dio, mentre si tratta di un auto-inganno; così dirà Geremia: «La mia casa, nella quale è invocato il mio nome, è diventata una spelonca di ladri» (7,11).

In modo arrogante e presuntuoso, il popolo aveva rotto l’alleanza con Dio, una rottura che avrebbe portato a delle conseguenze più che ovvie: alla disgrazia.

Così, Geremia, compie un’azione dimostrativa che Dio gli ordina di fare: quella di comprare una cintura di lino e di indossarla; successivamente di portare quella cintura presso l’Eufrate e di nasconderla nella fessura di una roccia. Si trattava di una fascia di stoffa di lino legata ai fianchi a mo’ di cintura e che faceva parte dei paramenti dei sacerdoti secondo la legge mosaica (Esodo 28,1-5. 39-43); rappresentava il legame stretto tra Dio e il popolo, un legame che partiva dal patto con Dio sul monte Sinai e dalle parole «Voi sarete mio popolo e io sarò vostro Dio» (11,4) parole pronunciate dallo stesso profeta.

Ebbene, dopo un lungo lasso di tempo, Geremia deve tornare sul luogo in cui aveva nascosto la cintura di lino per riprenderla e per scoprire che era marcita, che non era più buona a nulla se non a essere gettata via.

Si trattava del marcio presente nella volontà e negli atteggiamenti del popolo, un marcio che aveva reso ormai inutile il legame con Dio; Dio stesso si rifiuta di legittimare una tale comprensione della sua misericordia, della bontà, della solidarietà e della condivisione. In realtà, non c’è più un legame con Dio, la cintura è marcita, è diventata inservibile, il popolo ha scelto di camminare senza Dio, con altri dèi, con altri scopi, con altri ideali, con altri princìpi che Dio non condivide.

Dio stesso annuncia che la catastrofe sarà la conseguenza di questo atteggiamento. Sarà l’auto-annullamento, l’auto-distruzione come la cintura marcita rappresenta.

Ma Dio non abbandona il suo popolo, non cessa il suo amore per Israele. Questo significano le parole «…ma non porre la cintura nell’acqua» (13,1), significano che Dio continuerà ad amare Israele, a prendersene cura, a non permettere che sia neutralizzato definitivamente.

Così, accadrà davvero che il popolo, sconfitto dal re Nabucodonosor, sarà umiliato e deportato lontano dalla Terra promessa, in cattività, a Babilonia, per oltre 50 anni.

Eppure, Dio aveva atteso la conversione del suo popolo, aveva atteso un lungo lasso di tempo, quello in cui la cintura era rimasta nascosta nella fessura della roccia, ma nulla era cambiato e Dio stesso non potrà che assistere, impotente, alla rovina del suo popolo. 

Eppure, Dio stesso afferma che aveva voluto unita a sé la casa d’Israele e di Giuda, come la cintura stringe i fianchi; aveva voluto che quella gente fosse la sua fama, la sua gloria la sua stessa lode, ma essi non hanno voluto.

Certo, possiamo pensare che non si trattasse di un esplicito rifiuto di Dio da parte di Israele, neppure del rinnegamento di quel Dio che aveva reso libero il popolo dalla schiavitù d’Egitto, che lo aveva fatto attraversare il mar Rosso e tutti i pericoli che si presentano lungo il cammino della vita, all’asciutto, senza conseguenze dannose né mortali.

Nessuno aveva esplicitamente rinnegato Dio, soltanto che accanto a Lui avevano accostato altri dèi, altri comportamenti non conformi con la sua Parola, altri modi di essere e di fare, altri modi di rapportarsi con il prossimo non legati al rispetto della libertà e della dignità dell’altro/a, del povero, della vedova, dell’orfano, dello straniero.

Ma per il profeta non è possibile vivere in un’accozzaglia di contraddizioni, non si può servire Dio e allo stesso tempo prostrarsi davanti ad altri dèi, non si può apparire umili davanti alla Parola del Signore e poi vivere orgogliosamente la quotidianità, non si può accogliere l’alleanza con Dio e vivere in modo egoistico il rapporto con gli altri, un rapporto che esclude, respinge, elimina l’altro perché scomodo, povero, straniero, illegale, clandestino.

Servire Dio e Mammona non è possibile, l’uno esclude l’altro, si tratta di una scelta da compiere e che Geremia ci ricorda con la cintura di lino che rappresenta il legame che Dio ha voluto con noi. Un legame che noi credenti cristiani, oggi, possiamo vivere in modo ancora più forte ed energico consapevoli del fatto che esso non soltanto è fondato sull’alleanza del Sinai, ma anche sull’alleanza che Dio ha voluto con noi sulla croce di Cristo, quando ha dato se stesso, per noi che non lo meritavamo.

La Parola di Dio, ci chiede di permettere che i nostri legami siano sempre più stretti con Dio e con l’umanità, con Dio e con il prossimo vicino a noi, legami non fondati sul fatto che siano meritati, ma sulla gratuità dell’amore, della misericordia, della grazia, del perdono che tutti siamo chiamati a realizzare nel luogo dove viviamo.

Siamo chiamati a vivere la nostra umanità in relazioni che producano il frutto della pace, della fraternità, della solidarietà, della comunione, mettendo in comune ciò che siamo e ciò che abbiamo e ogni altra risorsa.

Questa è la nostra unica speranza contro il marcio che annulla ogni legame, contro l’annientamento del nostro futuro causato dal nostro egoismo umano, dal desiderio del quieto vivere e dalla caparbietà del cuore. Accogliamo invece quella parola del Signore che allarga i nostri orizzonti, guarisce la nostra miopia per farci vedere oltre noi stessi, oltre i nostri interessi personali per permetterci di capire che dal bene degli altri dipenderà anche il nostro bene e il nostro futuro. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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