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Domenica, 24 Marzo 2019 16:55

Sermone di domenica 24 marzo 2019 (Geremia 20,7-11a)

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Testo della predicazione: Geremia 20,7-11a

Tu mi hai persuaso, Signore, e io mi sono lasciato persuadere, tu mi hai fatto forza e mi hai vinto; io sono diventato, ogni giorno, un oggetto di scherno, ognuno si fa beffe di me. Infatti ogni volta che io parlo, grido, grido: Violenza e saccheggio! Sì, la parola del Signore è per me un obbrobrio, uno scherno di ogni giorno. Se dico: «Io non lo menzionerò più, non parlerò più nel suo nome», c'è nel mio cuore come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzo di contenerlo, ma non posso. Poiché odo le diffamazioni di molti, lo spavento mi viene da ogni lato: «Denunciatelo, e noi lo accuseremo». Tutti quelli con i quali vivevo in pace spiano se io inciampo e dicono: «Forse si lascerà sviare, noi prevarremo contro di lui e ci vendicheremo di lui». Ma il Signore è con me, come un potente eroe».

Sermone

Geremia è uno dei libri più drammatici dell’Antico Testamento, perché si colloca in un momento tragico della storia di Israele. È il tempo dell’occupazione di Gerusalemme operata dal re babilonese Nabucodonosor, nel 587 a.C. che si conclude con la distruzione della città, l’incendio e il saccheggio del tempio, la desolazione del paese, migliaia di morti e migliaia di deportati in Mesopotamia.

In mezzo a questa storia drammatica del popolo di Dio si intreccia quella personale del profeta Geremia, con le sue vicissitudini: l’imperiosità della vocazione che gli è stata rivolta, gli scontri con le autorità politiche e religiose di Giuda, l’odio che suscita il suo messaggio, la prigionia e le torture subite, la sensazione di essere abbandonato e smentito da Dio.

Nelle pagine del libro di Geremia emerge tutta la personalità del profeta: si evince la sua timidezza, ma anche la sua audacia sfrontata, si legge delle sue crisi spirituali, dei suoi crolli psicologici e l’impossibilità a tirarsi indietro, la sua emotività e la sua tenacia nel continuare a portare la Parola di Dio ad un popolo che non vuole ascoltare.

Quello di Geremia era anche il periodo dello scontro tra gli egiziani, il popolo del Nilo, e i popoli del Tigri e dell’Eufrate. Israele si illude di sottrarsi al dominio babilonese alleandosi con l’Egitto. Ma Geremia denuncia il pericolo di fidarsi dell’aiuto dell’Egitto e invita a sottomettersi volontariamente a Babilonia per evitare una catastrofe: non sarà ascoltato, e così sarà imprigionato più volte e torturato, trattato come un nemico del popolo, messo alla berlina, al pubblico scherno e vergogna.

Geremia, al capitolo precedente al nostro, dà un’azione dimostrativa: davanti alla porta dei Vasai infrange una brocca di terracotta annunciando che, allo stesso modo, sarà distrutto il regno di Giuda. Questo gesto gli costerà l’arresto e 39 frustate in pubblico, “40 colpi meno 1” che anche l’apostolo Paolo subì per ben 5 volte.

Nel brano di oggi, l’autore biblico ci fa partecipare allo stato d’animo del profeta dopo questa sventura. Geremia è profondamente turbato, è scosso per le difficoltà della sua missione e per l’ostilità che essa suscita, così, esprime la sua delusione tornando indietro nel tempo e pensando alla vocazione ricevuta dal Signore: rivive le sue perplessità, i suoi timori iniziali legati al fatto di essere ancora troppo giovane e senza esperienza.

Questi timori, il Signore li aveva dissolti dicendogli: «Io sono con te per liberarti» (1,8) «…ti stabilisco sopra le nazioni e sopra i regni…» (1,10). Ora, invece, Geremia accusa il Signore: «Hai approfittato della mia ingenuità, della mia inesperienza, come con una ragazza mi hai sedotto, mi hai usato violenza, io ho ceduto, ti ho creduto e ora mi hai abbandonato».

La protesta amara e sconsolata di Geremia è dettata dall’amore, dall’amore deluso. Geremia non riesce a vedere il senso della sua predicazione dal momento che essa non sortisce alcun effetto. Anzi egli vive tutta l’angoscia del sentirsi deriso, sbeffeggiato, disprezzato, quando va bene, mentre, se va male, lo scherno diventa minaccia di morte, violenza, carcere, tortura.

Geremia ci rivela tutta la sua ansia di dovere ogni volta denunciare: “Violenza e saccheggio” (v. 8), di dovere cioè sempre gridare contro chi detiene il potere e schiaccia il povero, contro chi esercita l’oppressione e la prepotenza che si scarica anche contro di lui. Contro chi non si rende conto che violenza e saccheggio stanno per arrivare anche dall’esterno sul popolo che, governanti, sacerdoti e ricchi, dovrebbero proteggere.

La parola del profeta non è ascoltata, non porta alla conversione, è respinta, definita “parola di bugiardo”, di si è “venduto al nemico”.

Se Geremia avesse saputo… non avrebbe accettato. Ora vive dentro una stretta: da una parte non riesce a divincolarsi dalla sua vocazione perché gli è impossibile liberarsi dalla stretta di Dio e dall’altra la minaccia e la violenza dei potenti contro di lui.

Martin Lutero scrive nei Discorsi a tavola (citato da H.Mottu: Geremia, Ed. Claudiana 1990, p. 121):

«Se avessi saputo al principio, quando ho cominciato a scrivere, quel che ho provato e visto ora, cioè a che punto la gente odia la Parola di Dio e con quale violenza si oppone ad essa, in verità sarei stato zitto, …Ma Dio mi ha spinto avanti come una mula a cui siano stati bendati gli occhi perché non veda quelli che le corrono contro… Così sono stato spinto, mio malgrado, al ministero dell’insegnamento e della predicazione; ma, se avessi saputo quel che so ora, dieci cavalli non sarebbero bastati per spingermi a compierlo. In questo stesso modo anche Mosè e Geremia si lamentano di essere stati ingannati».

Tuttavia, anche se le parole di Geremia sono troppo amare perché la situazione possa mutare in una esplosione di gioia, pure essa accade. La fiducia in Dio, nonostante tutto, resta viva, perciò Geremia dice: «Ma il Signore è con me come un potente eroe». Ecco, Dio torna ad essere Colui di cui il profeta può fidarsi.

Certo, l’esperienza di Geremia è una situazione estrema, come può essere stata quella dei primi cristiani perseguitati, o dei valdesi del passato, o di credenti che si sono opposti al nazismo e ne sono stati vittime, come il pastore Dietrich Bonhoeffer o, per altri motivi, il pastore Martin Luther King, martiri a seguito della loro protesta a favore di una società più giusta, solidale, accogliente e non escludente.

Noi ci ricordiamo di queste persone, martiri, che hanno significato molto per la nostra storia che ha cambiato percorso, ma ci dimentichiamo il senso della loro lotta e perché sono morti. Geremia, Martin Lutero, Bonhoeffer, Martin Luther King e tanti altri hanno ricevuto enormi delusioni a seguito del loro messaggio annunciato con forza, perché non ascoltato. Ma sono andati avanti lo stesso, consapevoli che il Signore restava per loro «come un potente eroe».

Il messaggio che riceviamo dalla Bibbia e da questi personaggi della storia umana è che non importa se le cose non cambiano, se le persone non ascoltano, ma che il messaggio di Dio sia annunciato. Dio non abbandona i suoi messaggeri di pace, di giustizia, di solidarietà, di accoglienza e di fraternità che, umanamente possono attraversare crisi e amarezze, ma nella consapevolezza che, come un eroe, Dio permetterà loro di portare a compimento la loro vocazione.

Oggi più che mai, il nostro mondo necessita di persone come Geremia, Martin Lutero, o Bonhoeffer, o Martin Luther King, non c’è bisogno di essere persone speciali, dotate di particolari doni, ma di persone semplici, normali, che proclamano senza vergognarsi e senza paura che il messaggio di Dio è quello di una umanità che si accoglie vicendevolmente. Poi c’è chi ti accusa di favoreggiamento di immigrazione clandestina, come Geremia accusato di alto tradimento e messo alla gogna, ma chi l’ha detto che il messaggio dell’amore di Dio è sempre stato accolto a braccia aperte? I nostri padri lottarono per questo, e morirono. Se noi pensavamo di vivere in un mondo diverso dal loro, forse ci siamo sbagliati.

“Violenza e saccheggio” gridava Geremia riferendosi a realtà di ingiustizia e oppressione, di violenza e coercizione.

Ci dia, dunque, il Signore il coraggio di non tacere, di non delegare e di non restare inerti davanti al male e alla distruzione della vita di persone che cercano pace e libertà, consapevoli che sempre il Signore sarà per noi «come un potente eroe». Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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