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Domenica, 03 Novembre 2019 19:27

Sermone di domenica 3 novembre 2019 (Deuteronomio 6,4-9)

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Testo della predicazione: Deuteronomio 6,4-9

«Ascolta, Israele: Il Signore, il nostro Dio, è l'unico Signore. Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze. Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, te li metterai sulla fronte in mezzo agli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte della tua città».

Sermone

         Cari fratelli e care sorelle, i versetti che abbiamo ascoltato sono una esortazione forte, ad accogliere i Comandamenti, che Dio dona a Mosè sul Monte Sinai, come un dono del Signore, lo stesso Signore che ha liberato il popolo dalla schiavitù in Egitto perché vuole che tutti gli esseri umani siano liberi.

Si tratta di una serie di imperativi che partono da un dato certo nel quale il primo comandamento insiste: «Io sono il Signore tuo Dio che ti ha liberto dalla schiavitù in Egitto», non certo per soggiogarti in un altro modo, ma perché tu rimanga libero per sempre.

Questa libertà è il presupposto della fede, del mettere in pratica la Parola di Dio, dei comandamenti, dell’Evangelo che Gesù e gli apostoli hanno predicato. Così dirà l’apostolo Paolo: «Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù» (Gal. 5,1). E Martin Lutero nella sua lettera a Leone X, «La libertà del cristiano», dirà:

«Affinché possiamo comprendere a fondo che cosa sia un uomo cristiano e la libertà che Cristo gli ha acquistata e donata, della quale scrive molto l’apostolo Paolo, stabilirò le due proposizioni seguenti:

“Un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa, e non è sottoposto a nessuno.

Un cristiano è un servo volenteroso in ogni cosa, e sottoposto ad ognuno”.

Queste due proposizioni si trovano chiaramente in Paolo che dice: “Io sono libero in ogni cosa, e mi sono fatto servo ad ognuno” (I Cor. 9,19)».

Parte da qui la Riforma protestante perché queste parole portano all’azzeramento di ogni gerarchia che non rende liberi coloro che sono sottomessi, e al sacerdozio universale dei credenti, secondo il quale siamo tutti eguali davanti a Dio e, quindi, senza la necessità di mediatori come gli antichi sacerdoti d’Israele, perché Cristo è l’unico e sommo Sacerdote.

Dice l’autore biblico: «Ascolta Israele, il Signore è uno, il Signore è il nostro Dio» è la formula con cui iniziava il culto d’Israele quando l’assemblea è radunata, è lo “Shemà Israel” che indica il momento più significativo dell’esperienza del credente con Dio: “Ascolta! Shemà!”, è il porsi all’ascolto di Dio, della sua Parola e del suo messaggio d’amore per tutti e tutte.

Dunque, anche «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze», non si tratta di un obbligo, ma del tuo coinvolgimento nella proposta d’amore di Dio che ti crea per amarti, un amore che ti rende libero/a e ti dona il suo comandamento e la sua Parola per mantenerti nella libertà e per non cadere di nuovo sotto il giogo della schiavitù.

Infatti, Egli è l’unico Signore e l’apocalisse dirà di Gesù che: «Egli è il Signore dei signori e il Re dei re» (17,14) per sottolineare che solo Dio è degno di adorazione e lode perché solo lui ci libera dal nostro peccato; con il suo perdono, solo lui si dona per noi, al nostro posto, sulla croce; solo lui vuole che noi siamo resi liberi veramente. Non ci rendono liberi i nostri dèi, né i nostri idoli che siano divi, umani, affermazioni ideologiche o convinzioni, essi esigono sempre da noi sottomissione e asservimento sotto un dominio che sarà sempre oppressivo.

         Invece, qui, nel libro del Deuteronomio, si fa strada la convinzione che il vero rapporto con Dio sia quello fondato sull’amore, un amore filiale, perché Dio viene scoperto come padre:

«Quando Israele era fanciullo, io lo amai

e chiamai mio figlio fuori d'Egitto». (Osea 11,1)

«Come un uomo corregge suo figlio, così il Signore, il tuo Dio, corregge te». (Deut. 8,5)

         Certamente, sarà Gesù che rivelerà tutta la ricchezza e la profondità del rapporto Padre-figlio e che ci insegnerà a pregare dicendo “Padre Nostro”.

         Nel brano alla nostra attenzione è sottolineata l’importanza della Parola del Signore nella vita dei credenti: la scriverai in casa e fuori, sulla porta di casa e su quella della città, ovunque. Ti ricorderai della parola di Dio quando ti coricherai e quando ti alzerai, cioè mattina e sera; quando sarai a casa tua e nel pubblico, dove amministri la giustizia, dove avvengono le attività commerciali, dove ci si incontra, nelle relazioni pubbliche, nelle responsabilità civili che ti assumi, sarai guidato dall’unico Dio che ti ha dato una Parola che ti fa guardare avanti e ti offre una speranza davanti a un domani buio, vuoto, arido.

        Questa Parola deve permeare la tua vita quotidiana perché è il tuo punto di riferimento.

        Ascolta Israele! Sì, la Parola di Dio raddrizza il nostro cammino: privato, famigliare, di credenti, la vita delle chiese, della nostra società, abbiamo assoluta necessità di ascoltare la Parola di Dio per riscoprire che siamo amati, che non siamo lasciati soli, abbandonati a noi stessi, alle prove della vita.

        La Parola di Dio ci restituisce a noi stessi come figli e figlie di Dio ogniqualvolta cediamo a forme di schiavitù moderne, ai nostri nuovi dèi, ai Baal della nostra società cosiddeta “cristiana”, tra tutti, il più forte e affascinante è certamente Mammona, il dio del denaro e del potere; la Parola che ci rende liberi ci mette in guardia dai nostri dogmi intoccabili, dalle nostre tradizioni che ci danno sicurezza, ma anche dalle leggi dell’economia che impoveriscono i poveri; dalla produttività, dal benessere, dalla crescita, e da quei “valori” morali, che non siamo disposti a mettere in discussione.

        La Parola di Dio, invece, rimescola sempre le carte, ci costringe a riflettere, a pensare, a interrogarci sulla nostra coerenza di fede e con quell’amore che ci impegna ad amare anche lo straniero, il nemico, il povero, e chi crediamo destabilizzi la nostra sicurezza. Può diventare un idolo la religione stessa, la difesa della nostra identità religiosa e sociale.

         La Parola di Dio, oggi, come ha fatto la Riforma 502 anni fa, ci chiede di ridare spazio a Colui che “solo” e unico è il nostro Dio.

         Amarlo col cuore, fargli spazio là dove sbocciano i nostri sentimenti, dove nascono e sono custoditi i nostri affetti più cari, dove albergano le gioie e i dolori che ci accompagnano tutta la vita, dove si affacciano i perché senza risposta.

         Amarlo con l’anima, cioè impegnando la nostra volontà, autodisciplinandoci, costruendo giorno per giorno una sequela, ragionata, positiva, alimentata dalla riflessione, dalla capacità di autocritica e di studio, dall’ubbidienza alla sua Parola.

         Amarlo con le nostre forze: affidando a lui le nostre forze, anche quelle fisiche, sapendo che ogni attività, ogni relazione dipende dalla sua volontà e che la nostra vita è nelle sue mani.

         Siamo chiamati ogni giorno, dalla Parola di Dio a fermarci, a ridisegnare la nostra vita, un disegno che corrisponda alla Parola che ci ha dato.

         Tutto questo è una promessa: Amare Dio e il prossimo cambia la vita. La rende intensa e piena, dove il piacere della sorpresa e della novità rappresenta quel nuovo che viene dalla mano di Dio. La promessa è un vivere guardando al futuro non alle sicurezze del passato. Bisogna testimoniare questo, dirlo alle nuove generazioni, ai nostri figli.

         Gli anziani si sono sempre lamentati dei giovani ed hanno sempre pensato che le nuove generazioni non sarebbero state all’altezza dei compiti che le attendevano.

         Ma la nostra generazione ha perso il controllo della trasmissione di ciò che ha ricevuto dalla precedente. La parola del Signore ci sfida a trovare oggi quelle forme sane, vere, non rituali, non logorate dall’uso improprio, non autoritarie, di fede, di testimonianza, di servizio e a manifestarle con semplicità e coerenza. Forme che nascano dal cuore, trabocchino dall’anima e siano espresse con tutte le forze, consapevoli che da Dio riceveremo ogni aiuto per farlo. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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