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Lunedì, 17 Febbraio 2014 11:33

Sermone del XVII febbraio 2014

Testo della predicazione: Romani 12, 1-2

Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli,

"...quantunque la vostra situazione sia lungi dall'essere risolta, di fatto siete ormai emancipati e potete partecipare ampiamente a tutto ciò che accade intorno a voi. Con un impegno energico, la coscienza della propria responsabilità ed una volontà decisa, potreste compiere grandi cose; tutto dipende da voi stessi. […] Se avrete una forza intrinseca riuscirete, altrimenti finirete confusi nella massa e non si sentirà più parlare di voi […] le cose vecchie sono passate, le nuove stanno sbocciando. D'ora innanzi o siete dei missionari o non siete nulla […] il significato vostro in futuro dipende dal posto che otterete nella società piemontese e dall'atteggiamento morale e religioso che saprete assumere in essa […]. La scelta è restare nascosti nella propria oscurità o attirare su di sé l'attenzione della gente […]. Occorre avere piena convinzione  nella propria causa e coraggio di camminare innanzi sulla strada delle libertà civili e religiose senza secondi fini con perseveranza e rettitudine, altrimenti rischiate di essere sorpassati, annullati, cancellati".

Queste parole scrive Beckwith al pastore, vice moderatore, Lantaret, e in lui egli scrive a tutta la chiesa valdese un mese prima della promulgazione delle lettere patenti di re Carlo Alberto. Le conosciamo bene queste parole, così intrise di praticità inglese eppure così profetiche ed urgenti. Ora il ghetto non c'è più e davanti al popolo valdese c'è il Piemonte, e poi qualche anno dopo ci sarà l'Italia. Essi, che fino a ieri erano stati fisicamente e psicologicamente limitati alle valli, ora hanno davanti ai loro occhi, usando un lignaggio ottocentesco, una messe del Signore ben più ampia, e sicuramente questo li spaventa, Beckwith lo sa e li esorta ad avere il coraggio della missione, ad uscire dal limite psicologico del ghetto.

Care sorelle e cari fratelli quanto fa paura la libertà! Certamente soffriamo quando dobbiamo essere condotti da altri e quando non abbiamo l'indipendenza, quando non possiamo prendere da soli le nostre decisioni, come i ragazzi e le ragazze adolescenti a cui pesa tanto ascoltare i propri genitori e reclamano per loro la libertà. Ma poi, cosa succede quando la libertà arriva? Quando siamo noi a condurre noi stessi, quando abbiamo l'indipendenza tanto sperata, quando siamo posti davanti alle decisioni da prendere e lo possiamo e dobbiamo fare solo noi, cosa succede a quei ragazzi quando sono finalmente liberi? Arrivano la paura, l'incertezza, i dubbi, le responsabilità, come per il popolo di Israele che, più volte, durante l'esodo, rimpiangerà l'Egitto! Quanta fatica costa la libertà! La festa del 17 febbraio non è solo la festa della libertà, ma è il momento in cui ricordiamo con grande serietà il tempo in cui siamo stati investiti da un'enorme responsabilità, quella di decidere da che parte stare, quella di rispondere alla vocazione di Dio, che nella storia si stava rivelando come un'opera di liberazione dopo secoli di persecuzioni. Come possiamo rispondere alla vocazione di Dio se non nella nostra libertà e responsabilità? Cosa avremmo fatto noi allora nel 1848, avremmo festeggiato la libertà per una notte per poi tornare al nostro orto o saremmo scesi in Italia con entusiasmo, con timore e tremore? Avremmo liberato la Parola di Dio dai lacci dell'oscurantismo cattolico e dell'ignoranza dell'analfabetismo arrivando fino in Sicilia, subendo ancora persecuzioni, o saremmo stati in silenzio per non far sentire troppo la nostra voce che predica la Parola di Dio? Infondo nella storia gli esempi c'erano già stati, in Calabria i valdesi quando cominciarono a far sentire la propria voce furono tutti uccisi. All'indomani, allora, del 1848 forse chi aveva paura di questa libertà aveva anche ragione. Ma la forza di Dio, della sua opera e della sua vocazione, non sente ragioni e nel 1848 quella forza ha avuto la meglio sui nostri tentennamenti, sulle nostre ansie e sui nostri timori e così siamo usciti dal guscio, abbiamo parlato all'Italia delle grandi cose di Dio, abbiamo dialogato con gli italiani portando la cultura e l'annuncio dell'evangelo riuscendo ad intercettare i bisogni materiali, spirituali e culturali di questo nuovo popolo. Se non l'avessimo fatto oggi io non potrei predicare nella città di Cerignola che in Puglia ha visto l'arrivo dei valdesi già nel 1895.

La libertà fa paura quando noi guardiamo a noi stessi, invece la libertà è occasione di festa se guardiamo a Dio che usa questa libertà per metterci e rimetterci in cammino per la missione.

Oggi siamo davanti alla stessa vocazione: o missionari o nulla. O usciamo dal guscio e attiriamo l'attenzione su di noi, ovvero sulla predicazione evangelica, oppure saremo confusi con un club di filantropi. La libertà donata da Dio è vocazione ora, mentre viviamo un'epoca complicata per le nostre chiese e viviamo una profonda crisi culturale, politica e sociale nel nostro paese e in Europa. Ora cosa abbiamo da dire, cosa abbiamo da fare, qual'è il nostro compito nella costruzione di una nuova Italia?

Prima di tutto la libertà è una vocazione e questa ci raggiunge tramite l'opera di misericordia di Dio – come dice l'apostolo Paolo nel testo di Romani – . Prima viene Dio, prima di noi stessi, della nostra etica, delle nostre scelte. Prima viene Dio, cioè prima della nostra libertà c'è la libertà di Dio che in Cristo si è concretizzata in un'opera di salvezza gratuita. Questa misericordia, in nome della quale Paolo esorta i credenti, cambia la nostra condizione, cambia e modifica la nostra vita conducendola a qualcosa di nuovo: le cose nuove di Dio sono già e sempre all'opera. Questa esortazione oggi è per noi, proprio oggi in quest' occasione. Veniamo esortati a non conformarci al comune modo di pensare ma a donare tutto della nostra vita a Dio e questo sarà il nostro culto quotidiano, questa sarà la nostra logica di vita: un culto vivente per un Dio vivente, così in nome della logica di Dio che ha fatto perire il peccato ma ha dato vita al peccatore tramite Gesù Cristo, noi veniamo resi partecipi del modo di pensare di Dio che non è più quello di questo mondo perché il tempo di Dio è già all'opera. Così sperimentiamo la volontà di Dio, conformandoci all'opera di Dio, accogliendo le cose nuove di Dio e vivendo quotidianamente davanti a lui e, come i nostri padri e le nostre madri, conosceremo per esperienza che la volontà di Dio è benedizione.

Care sorelle e cari fratelli, predicate la Parola di Dio agli italiani nel buio della loro crisi, predicate nel tempo della loro precarietà, annunciate loro che Dio regna, che in Cristo possono trovare speranza, che in Dio non c'è condanna nè rinnegamento, annunciamo ed operiamo contro ogni ingiustizia portando un nuovo modo di pensare che sia accoglienza e solidarietà verso qualsiasi forma di diversità. Oppure possiamo anche dire di no, consapevolmente o inconsapevolmente. Possiamo celebrare la festa del 17 febbraio e poi possiamo tornare a guardare al nostro ombelico pensando di poter vivere davanti a Dio di rendita: i nostri padri e le nostre madri hanno già fatto tutto, noi possiamo badare a gestire la routine. Vedete oggi noi siamo scossi da Dio che ci dice: vi state conformando al normale modo di pensare di questo mondo legato al passato e non siete più nulla, siete tiepidi, come dice l'Apocalisse. Possiamo dire di no alla vocazione di Dio perché abbiamo paura di attirare l'attenzione, forse non abbiamo piena convinzione, ne coraggio di camminare sulla strada della libertà, così rischiamo di essere sorpassati, annullati, cancellati.E cosa diremo alla nuova generazione, ai nostri figli e alle nostre figlie, cosa risponderemo quando, dopo averci chiesto cosa è stato il 17 febbraio 1848, ci chiederanno: e tu cosa hai fatto? Come hai vissuto la libertà che Dio ti ha donato oggi? E io, ora cosa posso fare? Ebbene, ora ci tocca! Siamo chiamati a libertà e a responsabilità, siamo chiamati a rompere gli schemi delle nostre consuetudini per correre il rischio di andare nel mondo, di parlare alla gente che ha bisogno di trovare risposte alla fatica della propria vita come nel 1800: bisogni materiali, culturali e spirituali.

Lo sappiamo bene, senza di lui, senza Gesù, non possiamo fare nulla, siamo servi inutili, ma è vero anche il contrario: con Gesù possiamo fare tutto, possiamo accogliere le cose nuove di Dio e possiamo metterci al servizio nell'amore e nell'umiltà e possiamo dare frutti e questi frutti rimarranno: frutti di giustizia, di verità e di libertà. Non conformatevi a voi stessi e non smettete mai di annunciare quel Dio che ha fatto cose grandi per voi. O avremo la forza della fede, una forza intrinseca che sa mettersi a parte per Dio oppure finiremo confusi nella massa e non si sentirà più parlare di noi. Che il Signore ci accompagni nella giusta scelta. Amen

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