Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

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Postulato

La potenza di Dio supera le altre potenze, si oppone vittoriosamente alla potenza in sé in quanto è la potenza del diritto che deriva dal suo amore manifestato in Gesù Cristo.

Il "Simbolo apostolico" conosce solo il termine «Dio Padre» come attributo divino. Più tardi si tentò di parlare di Dio descrivendone l'essenza. Si parlò della sua infinità, eternità, santità, giustizia, misericordia. Ma qualunque cosa noi intendiamo dire con simili concetti umani, si tratterà pur sempre solo di un accenno a Dio dal momento che nessuno di essi potrà esprimere la natura divina così come essa è. Dio è incomprensibile. Ciò che noi chiamiamo bontà e santità di Dio non può essere determinato dall'idea che noi esseri umani abbiamo a proposito della santità e bontà. Nel Simbolo apostolico, in luogo di tutti i possibili attributi sulla natura di Dio si dice solamente «Padre Onnipotente».

Onnipotente significa che Egli è potenza; e potenza vuol dire capacità, possibilità; nei riguardi di una realtà Dio è proclamato: egli possiede questa possibilità; Egli possiede tutto, è il fondamento di ogni realtà. Egli può ciò che vuole. La sua libertà è assoluta.

Dio non fa parte del numero delle potenze terrene e non è neppure la più eccelsa di esse, Dio le sovrasta tutte senza mai venire da loro limitato o condizionato. Egli è il Re di tutti i re.

Dio non è la potenza in sé. Si è pensato a Dio come di questa potentia, la potenza in sé, quasi a esprimere quello che c'è di più divino. La potenza in sé, in realtà è il caos, il male, il diavolo. Hitler soleva chiamare Dio l'Onnipotente, ma Dio non si può intendere partendo da un supremo concetto di forza o di potenza. In questo senso Dio non è l'onnipotente che diventa caos, il tohu wabohu (informe e vuoto, Gen. 1, 2), che il Dio della creazione lasciò dietro di sé e che non volle, allorché creò il cielo e la terra. In sé la potenza è perversa, è la fine di ogni cosa.

La Bibbia non parla mai della potenza di Dio separatamente dal diritto, la sua potenza è un potere legittimo, quindi fondato sul diritto. Dio è Padre: egli vive come Padre del Figlio ed esiste in questa comunità di vita. Quindi l'onnipotenza di Dio quale potenza legittima è quella del Dio che è amore. Ciò che si oppone a questo amore si dimostra come tale, illegittimo, è una potenza che non è vera. Dio la rinnega.

Testo della predicazione: Matteo 17,1-9

«Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce. E apparvero loro Mosè ed Elia che stavano conversando con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: «Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende; una per te, una per Mosè e una per Elia». Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo». I discepoli, udito ciò, caddero con la faccia a terra e furono presi da gran timore. Ma Gesù, avvicinatosi, li toccò e disse: «Alzatevi, non temete». Ed essi, alzati gli occhi, non videro nessuno, se non Gesù tutto solo. Poi, mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest’ordine: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo sia risuscitato dai morti».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il racconto di oggi, narra di Gesù che sale su un alto monte con i suoi discepoli per stare in disparte. Là accade un evento straordinario che il nostro brano chiama trasfigurazione. Improvvisamente il volto di Gesù diventa luminoso come il sole e le sue vesti candide come luce. Si tratta di una immagine ricorrente nella letteratura apocalittica per raffigurare la divinità del Messia, del Figlio di Dio che viene a liberare il popolo dei credenti assoggettato alla dominazione, al male. 

     Con Gesù appaiono Mosé ed Elia che conversano tra loro. Cosa rappresentano i personaggi della trasfigurazione? Mosè rappresenta certamente la Torah, la legge che Dio gli diede sul monte Sinai perché il popolo l’osservasse per il suo bene, per mantenere la libertà che Dio gli aveva appena donato, libertà dalla schiavitù in Egitto. Elia rappresenta la profezia con cui Dio si rivelava e parlava a Israele. Torah e profezia: i due modi in cui Dio si è rivelato nell’Antico Testamento, i due modi della Parola di Dio; qui è contenuta tutta la rivelazione di Dio fino a Gesù, il Cristo, il Messia che ancora deve essere rivelato pienamente nella sua risurrezione, non ancora avvenuta, ma che la trasfigurazione rivela, la anticipa.

     Ecco, in Gesù, la rivelazione di Dio assume la sua completezza, la sua pienezza, Gesù è il compimento di tutta la legge e di tutte le profezie.

     Questo messaggio accade su un alto monte, che rappresenta il Sinai, il luogo dell’incontro con Dio.

Qui accade la nuova manifestazione di Dio: in Cristo, Dio è presente, è visibile, è concretamente vicino, tanto che Pietro afferma: «Che bello stare qui! Montiamo delle tende e ci fermiamo qui». Il malinteso è sempre in agguato, l’incomprensione e l’equivoco sono pronti a deviare la nostra attenzione da ciò che è importante, dal messaggio che ci è annunziato.

     Ed è proprio di fronte al malinteso, mentre Pietro parla, che Dio giunge con la sua presenza: una nuvola luminosa giunge e avvolge i tre, li nasconde dentro la sua luce; il testo dice che li compre con la sua ombra, ovvero la sua opacità luminosa. È dalla nuvola che Dio parla e ripete le parole che si odono nel battesimo di Gesù «Questo è il mio amato figlio nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo».

Postulato

La fede cristiana è la decisione che dà agli esseri umani la libertà di testimoniare pubblicamente la loro fiducia nella parola di Dio, con azioni e condotta coerenti con la fede.

La fede cristiana

La fede cristiana è una decisione.

La fede è il mistero di Dio (il Dio nascosto) che si palesa; è la libertà di Dio e dell’essere umano in azione. Se non avvenisse nulla vuol dire che la fede non c'è. Nel momento in cui si crede nasce un fenomeno storico: una comunità. E dove esiste tale comunità, dove esiste la fede cristiana, si giunge a una predicazione, ad un annuncio rivolto anche al mondo, al di fuori di questa comunità.

Come si realizza tale Storia?

Mediante l'obbedienza.

La fede è obbedienza, non una adesione passiva.

«La fede cristiana è la decisione che dà agli esseri umani la libertà…».

Si tratta sempre di una concessione fatta all'essere umano, è una porta che viene aperta. Questo significa libertà.

Si tratta della libertà di andare incontro all'altro per rendere pubblica la propria fiducia e conoscenza di Dio. Dio stesso infatti è colui che non volle starsene nascosto, che non volle, né vuole essere Dio per sé; egli, dalla sua maestà regale, scende fino alla bassezza del cosmo da lui creato.

Quando si crede, avviene necessariamente che si proclami la gloria di Dio.

Introduzione
LA TEOLOGIA CRISTIANA

            Per i cristiani vi è una norma su cui si fonda la Chiesa, questa norma è la Parola di Dio contenuta nella Scrittura. La Chiesa si rende conto del contenuto della sua predicazione attraverso una scienza che si chiama teologia. Tutto ciò che è scienza è solamente un tentativo dell'intelligenza umana per spiegare dei contenuti; nessuna attività umana può essere più che un tentativo, dunque nella scienza rileviamo la sua provvisorietà e limitatezza. La teologia cristiana è il tentativo di appurare determinati fatti, presentandoli in forma di teologia. La teologia è quindi una ricerca e, allo stesso tempo, un insegnamento.

            Il soggetto della teologia è la Chiesa. La Chiesa opera proporzionalmente allo stato in cui, di volta in volta, si trova la sua conoscenza. Dunque la teologia non è una cosa caduta dal cielo, ma è umana e terrestre, quindi sempre passibile di errori, infatti, la Chiesa cristiana non esiste in cielo, ma sulla terra e nel tempo. Noi usiamo la conoscenza così come oggi ci viene donata ben sapendo che dopo di noi altri penseranno e diranno meglio e in modo più profondo quanto noi abbiamo tentato di dire.

            La teologia come scienza è chiamata a rendersi conto del contenuto della predicazione della chiesa. Non esisterebbe alcuna teologia senza il compito della Chiesa di annunciare l'Evangelo e testimoniare la Parola di Dio.

La teologia confronta il contenuto della predicazione con la Sacra Scrittura che rimane il documento fondamentale della vita della Chiesa. Il confronto, quindi dovrà essere continuo. La Sacra Scrittura e le professioni di fede non stanno sullo stesso piano. La Scrittura possiede una autorità vincolante che le professioni di fede non hanno. La teologia si rende conto del contenuto della predicazione, del rapporto fra ciò che viene predicato e ciò che nella Chiesa deve essere considerato come la riproduzione più fedele della Parola di Dio data alla Chiesa.

Per il nostro studio ci baseremo sulla professione di fede più semplice della Chiesa: il "simbolo apostolico" che è stato scritto nel III secolo che risale a una formula antichissima riconosciuta e accolta dalla comunità di Roma. Essa prevalse in seguito nella Chiesa cristiana come formula fondamentale.

Testo della predicazione: Luca 15,1-7

«Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova? E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta". Vi dico che così ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento».

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, care bambine e cari bambini della Scuola domenicale, Gesù racconta la parabola della pecora che si smarrisce per dirci quanto Dio ci vuole bene, quanto ci ami; ci dice che quando siamo in pericolo viene a prenderci per avere cura di noi, ci cerca quando non riusciamo a ritrovare la strada per tornare a casa.

L’immagine della pecora è molto bella perché la pecora non è un animale che, in genere, vive da solo, ma vive insieme al gregge, insieme ad altre pecore come lei, e insieme seguono il loro pastore, hanno fiducia in lui, sanno che non le porterà in posti pericolosi dove pascolare, ma in prati sicuri.

Tutti abbiamo fiducia dei nostri genitori, perché ci vogliono bene e, anche quando, per esempio, vi chiedono di fare qualcosa che non volete fare, lo fanno per il vostro bene, per aiutarvi a crescere, a imparare, a diventare dei bravi adulti.

Il gregge è come la nostra famiglia, anche noi abbiamo bisogno di vivere insieme ad altre persone, condividere le nostre gioie, le nostre tristezze, quando stiamo male, quando abbiamo bisogno di essere consolati, rassicurati, sappiamo che l’amore all’interno della famiglia supererà tutti i problemi che si presenteranno lungo il cammino della nostra vita.

Ecco, l’amore è il fondamento di ogni famiglia, come anche della chiesa, della comunità dei credenti; amare ed essere amati ci fa vivere bene, bene con noi stessi e con gli altri, l’amore ci permette di chiedere scusa quando sbagliamo e di essere perdonati; l’amore ci permette di perdonare le persone che ci hanno offeso, che ci hanno ferito, che ci hanno fatto del male.

Qualche volta, però, ci smarriamo anche noi, come la pecora della parabola; ci allontaniamo dal gregge perché pensiamo di vivere bene da soli, di non avere bisogno di stare con gli altri, di non avere bisogno dei loro abbracci, del loro sorriso, del loro incoraggiamento, dei loro consigli.

Ma presto ci rendiamo conto che da soli si diventa tristi; senza nessuno a cui raccontare la nostra giornata, le nostre ore di scuola, di lavoro, sentiamo che ci manca qualcosa: sentiamo un vuoto che ci fa stare tanto male.

Testo della predicazione: Luca 3,13-17

«Allora Gesù dalla Galilea si recò al Giordano da Giovanni per essere da lui battezzato. Ma questi vi si opponeva dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» Ma Gesù gli rispose: «Sia così ora, poiché conviene che noi adempiamo in questo modo ogni giustizia». Allora Giovanni lo lasciò fare. Gesù, appena fu battezzato, salì fuori dall’acqua; ed ecco i cieli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dai cieli che disse: «Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto». 

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, tanti di noi si sono sempre domandati perché mai Gesù avesse bisogno di essere battezzato. Se poi veniamo a conoscenza che Giovanni il Battista invitava tutti al battesimo chiamando tutti al ravvedimento dai propri peccati, al riconoscimento delle proprie trasgressioni, crimini, traviamenti per ricominciare una nuova vita all’insegna della giustizia, della lealtà e dell’integrità.

In effetti non furono pochi, nell’antichità, coloro che sottolineavano il fatto che Gesù fosse inferiore a Giovanni Battista o che fosse peccatore anche lui fino a riconoscere la necessità di ravvedimento.

L’evangelista Matteo, nel brano alla nostra attenzione, difende Gesù da ogni sospetto di colpevolezza o di inferiorità rispetto a Giovani il battezzatore. Infatti le sue parole sono anche una risposta chiara: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». È la risposta di Gesù che, invece, è meno chiara: «Sia così ora, poiché conviene che noi adempiamo in questo modo ogni giustizia».

Il battesimo di Gesù, è una volontà di Dio e un messaggio potente per l’umanità intera perché indica che Gesù vuole essere vicino e solidale ai peccatori: Gesù è Colui che ci salva dal peccato, ma lo fa venendoci accanto, non dall’alto dei cieli, non dall’alto della sua santità e onnipotenza, lo fa rinunciando alla sua onnipotenza, lo fa calandosi dentro la nostra umanità, nella nostra pelle, diventando come noi, umano, fragile, debole, povero, caricandosi del nostro peccato. Gesù si unisce alla folla dei peccatori nelle acque del fiume Giordano per consacrarsi alla sua vocazione di Salvatore.

Gesù, dunque, si fa battezzare.

Testo della predicazione: Luca 2,41-52

«I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando giunse all’età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l’usanza della festa; passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all’insaputa dei genitori; i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo. Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; e tutti quelli che l’udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte. Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena». Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?» Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro. Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, è un brano biblico molto conosciuto quello alla nostra attenzione. Gesù dodicenne, discute di teologia con i dottori della legge i quali sono meravigliati per la sua intelligenza e saggezza. 

L’evangelista Luca inserisce questo racconto all’interno di un progetto importante di comunicazione perché intende mettere a tacere coloro che accusavano Gesù di eresia o, addirittura, di collocarsi fuori dall’ebraismo.

Luca sottolinea che Gesù è cresciuto all’interno della vita morale e rituale del giudaismo, è un israelita in piena regola i cui luoghi di formazione sono stati il Tempio, la sinagoga e la casa. Gesù non è vissuto, cioè, in un mondo tutto suo nel deserto, ma all’interno di una comunità nella quale ha condiviso la sua umanità. Gesù si configura cioè all’interno della fede, non fuori di essa, una fede che è vera se condivisa.

Giovedì, 01 Gennaio 2015 17:00

Sermone di fine anno 2014

Testo della predicazione: Luca 12,35-49

«I vostri fianchi siano cinti, e le vostre lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando tornerà dalle nozze, per aprirgli appena giungerà e busserà. Beati quei servi che il padrone, arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si rimboccherà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. Se giungerà alla seconda o alla terza vigilia e li troverà così, beati loro! Sappiate questo, che se il padrone di casa conoscesse a che ora verrà il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi siate pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’anno che si conclude oggi segna anche il tempo in cui facciamo bilanci, valutazioni, stime, considerazioni circa il tempo trascorso e il valore che si è dato al tempo.

Cerchiamo di capire dove abbiamo sbagliato per non ripetere gli stessi errori, cerchiamo di vigilare sul tempo che scorre perché non passi in modo improduttivo, ma cercheremo di dare valore ad ogni giorno che passa.

Il brano biblico di oggi ci incoraggia a vigilare nell’attesa del Signore che torna. Un’attesa che la chiesa annuncia da duemila anni, ma che non si stanca di predicare perché il senso dell’attesa risiede innanzitutto nel senso che diamo alla nostra vita di oggi, del presente, in vista di un futuro che ci è promesso: il Regno di Dio.

Il Signore che attendiamo è Colui che instaurerà un Regno di giustizia e di pace, questa è la sua promessa, ma che è anche il nostro sogno di credenti che si guardano attorno e scoprono la realtà del male, della malattia, del dolore, della sofferenza, ma anche dell’ingiustizia, dell’illegalità, della corruzione.

Cosa facciamo noi di fronte a tutto ciò? Cosa facciamo mentre aspettiamo che tutto ciò finisca? Cosa facciamo mentre aspettiamo che il regno di Dio abbia il suo compimento? Quel regno che invochiamo quando preghiamo con le parole del Padre Nostro “Venga il tuo Regno”?

L’evangelista Luca è molto chiaro, ci chiede di essere vigili. Dobbiamo vigilare! Vigilare affinché la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato siano rispettati, come i diritti umani di uomini, donne, bambini, vecchi: uomini che fuggono dalla guerra e dalla povertà; donne violate, stuprate e uccise perché donne; bambini costretti a lavorare o a impugnare delle armi e a sparare, bambine cui è negata l’istruzione, vecchi depredati e maltrattati.

Testo della predicazione: Luca 2,25-32

Vi era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest’uomo era giusto e timorato di Dio, e aspettava la consolazione d’Israele; lo Spirito Santo era sopra di lui; e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore. Egli, mosso dallo Spirito, andò nel tempio; e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, lo prese in braccio, e benedisse Dio, dicendo:«Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo davanti a noi uno dei brani più commoventi della Scrittura: Simeone, una persona molto anziana e ormai vicina alla morte, è in attesa, in attesa di “vedere” con i propri occhi colui che sarà finalmente “la consolazione d’Israele”, il Messia.

Lo Spirito Santo guida il vecchio Simeone proprio quando Giuseppe e Maria conducono il loro figlio, Gesù, ad essere presentato a Dio nel tempio di Gerusalemme. È qui che avviene l’incontro: un vecchio in attesa, vede giungere a compimento ciò per cui vive.

Per Simeone, incontrare Colui che sarà la luce di tutte le genti e gloria d’Israele, significa potersi finalmente congedare da una realtà umana lontana da Dio, ribelle e, allo stesso tempo, vittima della paura, sgomenta circa il suo futuro e in preda all’inquietudine angosciante sulla propria salvezza.

Un vecchio prende in braccio un bimbo di sei settimane e proclama che quel bimbo sarà lo strumento di salvezza di Dio: «luce delle genti», per tutti i popoli, giudei e pagani.

Questa proclamazione è davvero importante perché vengono abbattuti tutti i muri di divisione fra ebrei e pagani, sono abbattuti quei paletti di recinzione che restringevano il campo d’azione di Dio al solo popolo d’Israele. Ora questa azione di Dio riempie tutta la terra, il disegno di Dio si realizza, come anche le antiche profezie, come quella del profeta Isaia che afferma: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe… voglio fare di te luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra» (Is. 49,6).

Il vecchio Simeone rende una testimonianza al Gesù, il Messia, annuncia una profezia che è predicazione non soltanto sul senso della venuta del Cristo nel mondo, ma innanzitutto sul senso che il Cristo, che illumina la mente e il cuore con la sua luce, potrà avere per ciascun essere umano. Gesù è quella luce che illumina il mondo e permette all’umanità di cambiare il suo destino.

Giovedì, 25 Dicembre 2014 12:37

Sermone di Natale 2014

Testo della predicazione: I Giovanni 3,1-6

Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è.  E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica com'egli è puro. Chiunque commette il peccato trasgredisce la legge: il peccato è la violazione della legge. Ma voi sapete che egli è stato manifestato per togliere i peccati; e in lui non c'è peccato. Chiunque rimane in lui non persiste nel peccare; chiunque persiste nel peccare non l'ha visto, né conosciuto.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, il tema dell’amore di Dio percorre tutta la prima lettera di Giovanni, ma anche tutta la Bibbia. Qui, l’autore parla del significato dell’amore, del senso che l’amore ha per noi.

Vi è un’affermazione forte circa la nostra consapevolezza di questo amore, là dove lo scrittore di questa lettera scrive: «se noi siamo figli di Dio è perché Dio ci ama» e questo amore è stato manifestato nel momento in cui Gesù è nato ed è stato posto nella mangiatoia di una stalla a Betlemme.

Gesù è nato perché Dio ci ama, per amarci e per rivelarci il suo amore; affinché noi lo sapessimo e perché questo amore ci cambiasse. Dunque Dio ci ama “gratis”, non perché lo meritiamo; il Dio d’amore, che sovrabbonda d’amore, ci crea per amarci e invia Gesù per farcelo sapere, per rivelarsi come il Dio d’amore e non come il dio della vendetta, del castigo, della condanna.

Dio ci ama senza chiederci nulla in cambio.

Solo a motivo del suo amore Dio è venuto nel mondo in modo semplice, umile, nascosto e solo per amore ha affrontato le estreme conseguenze della sua presenza nel mondo: la croce di Cristo.

A Natale, Dio viene nel mondo in modo visibile e ci viene incontro con tutta la forza del suo amore; questa è la presenza di Dio nel mondo: Dio si rivela nel suo amore, Dio si rivela nella capacità che ci dona di amare: questa è la speranza del nostro mondo.

Il mondo però ignora Dio, ignora il suo amore, ignora il suo venire al mondo, il suo donarsi per noi. Ne parla, certo, ne conosce il messaggio, senz’altro, ma non permette che questo cambi nulla nella propria vita e nella realtà sociale e storica.

 Per questo, dice Giovanni, il mondo rifiuta anche voi, perché voi siete ispirati dall’amore, e non potete che essere condotti, guidati, sostenuti dall’amore di Dio. I vostri rapporti con il prossimo non possono che essere permeati di quest’amore, le vostre relazioni umane non possono che partire dall’amore di cui Dio vi ama, e quest’amore permette di amare a vostra volta.