Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

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Testo della predicazione: Luca 22,21-27

«Ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me sulla tavola. Perché il Figlio dell'uomo, certo, se ne va, come è stabilito; ma guai a quell'uomo per mezzo del quale egli è tradito!» Ed essi cominciarono a domandarsi gli uni gli altri chi sarebbe mai, tra di loro, a far questo. Fra di loro nacque anche una contesa: chi di essi fosse considerato il più grande. Ma egli disse loro: «I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori. Ma per voi non dev'essere così; anzi il più grande tra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve. Perché, chi è più grande, colui che è a tavola oppure colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve».

Sermone

     Care sorelle e cari fratelli, abbiamo davanti a noi il racconto nel quale, dopo l’ultima Cena, Gesù rivolge un discorso di addio discepoli. Gesù parla della propria morte e di uno di loro che lo tradirà. Questa rivelazione di Gesù desta tutta l’indignazione dei discepoli che scoprono, così, in mezzo a loro infedeltà e tradimento, tutti segnali di mancanza di autenticità e di verità. ¿Ma allora, chi sarà colui, tra i discepoli, più fedele al maestro Gesù e meritevole, quindi, di essere il più grandeil più importante? Il più grande avrebbe governato sugli altri, sarebbe stato un piccolo “capetto”, era importante preparasi e informare tutti, Gesù avrebbe indicato chi e quello sarebbe stato investito di questa autorità.

Gesù spiega che cosa significa “essere il più grande”. Certamente il suo discorso avrà deluso i suoi discepoli perché la sua spiegazione è esattamente un capovolgimento del senso comune di grandezza, che per noi significa essere serviti e riveriti, che la nostra presenza vale più degli altri e la nostra parola più di quella degli altri, per noi significa avere l’ultima parola. Gesù parla ai governanti, parla ai discepoli, parla alla Chiesa, parla a noi.

Testo della predicazione: Marco 16,15-20

Gesù disse loro: «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato. Questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto: nel nome mio scacceranno i demòni; parleranno in lingue nuove; prenderanno in mano dei serpenti; anche se berranno qualche veleno, non ne avranno alcun male; imporranno le mani agli ammalati ed essi guariranno». Il Signore Gesù dunque, dopo aver loro parlato, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. E quelli se ne andarono a predicare dappertutto e il Signore operava con loro confermando la Parola con i segni che l'accompagnavano.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, cosa vi può essere di più definitivo della morte? Benché Gesù avesse annunciato la sua risurrezione, i suoi discepoli, tuttavia, non capivano cosa intendesse dire. Fintanto che non fai l’esperienza concreta della risurrezione è difficile crederci perché, per noi, nulla è più definitivo della tomba.

Gesù era stato visto dalle donne e poi da due discepoli e, dopo il loro racconto, non avevano creduto. Ricordate cosa dirà Tommaso? «Se non vedo… e non metto il mio dito nel segno dei chiodi …io non crederò» (Giovanni 20,25).

Nel brano alla nostra attenzione Gesù permette il superamento dell’incredulità da parte dei discepoli, l’incredulità è superata dalla grazia di Dio che ci prende al suo servizio e ci inserisce così nell’orizzonte della fede.

Domenica, 20 Aprile 2014 14:13

Sermone di Pasqua 2014 (Giovanni 20,11-18)

Testo della predicazione: Giovanni 20,11-18

Maria se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l'abbiano deposto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro"». Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose.

Sermone

Fratelli e sorelle, Cristo è risorto! Cristo è veramente risorto. Cosa significa per noi oggi tutto questo?

Maria Maddalena va al sepolcro, ma trova la tomba vuota? Non trova il corpo senza vita di Gesù sul quale piangere ed elaborare il suo lutto. Non c’è più il corpo per il quale convincersi a rassegnarsi alla morte, alla separazione, alla rottura dei legami, al crollo delle speranze; ed è smarrimento, senso di vuoto, di disorientamento; vi è ancora più tristezza e confusione dopo quella visione angosciante della crocifissione del suo maestro Gesù.

Eppure Maria Maddalena doveva convincersene: l’aveva visto inchiodato su quella croce il suo maestro, l’aveva visto morire, e che cosa vi può essere di più definitivo della morte?

Ora sembra perfino inaudito il fatto che lasciare spazio alla rassegnazione possa essere così difficile.

Maria di Magdala, torna sul luogo della morte perché là può prendere coscienza del proprio dolore e della propria rassegnazione. Ma ciò non può avvenire, perché non c’è più l’oggetto della rassegnazione e del dolore: “Hanno tolto il mio Signore e non so dove l’abbiano deposto”.

Confessione di fede dei Catecumeni in occasione della loro Confermazione e Battesimo la Domenica delle Palme, 13 aprile 2014.

Cari fratelli e care sorelle,

il nostro gruppo di Catechismo è giunto alla conclusione del percorso di formazione.

Abbiamo deciso di far parte della Chiesa valdese perché con questa e con voi che siete qui oggi, vogliamo proseguire il nostro percorso di fede.

Abbiamo deciso di condividere con questa comunità la nostra ricerca che continua, le nostre domande, i dubbi, ma anche la nostra gioia e la nostra riconoscenza a Dio per la sua grazia.

Dalla parabola dei talenti abbiamo imparato quanto sia importante partecipare perché ognuno, dentro di sé, ha qualcosa da dare agli altri. Partecipare ed esserci significa già dare qualcosa.

Noi ci impegniamo a percorrere il nostro cammino con la Chiesa valdese e desideriamo permettere che essa cresca e si trasformi anche con il nostro contributo, in coerenza con la Parola di Dio.

Alcuni di noi hanno già ricevuto il battesimo, segno dell’amore di Dio. Il battesimo è un atto di Dio, quell’atto in cui Egli pronuncia il suo sì, quello in cui si rivela come il Dio che accoglie e che ama in modo sovrabbondante. Oggi noi rispondiamo al suo amore con il nostro sì, accogliendo con gioia la sua bontà, il suo perdono e la sua grazia. Noi confermiamo il battesimo con la nostra fede, quella che abbiamo ricevuto da Dio.

Testo della predicazione: Ebrei 12,1-3

«Noi, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio. Considerate perciò colui che ha sopportato una simile ostilità contro la sua persona da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate perdendovi d’animo».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, nella lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato, l’autore è preoccupato del fatto che i credenti siano diventati apatici e pigri: non prestano più attenzione alla predicazione, trascurano i culti, non sopportano le difficoltà che incontrano come cristiani e come minoranza religiosa; soffrono anche di ignoranza teologica, di un deficit di conoscenza che li fa diventare creduloni alla cultura dominante:

«Avremmo molte cose da dire, ma è difficile spiegarle voi perché siete diventati lenti a comprendere. Dopo tanto tempo dovreste già essere maestri; invece avete di nuovo bisogno che vi siano insegnati i primi elementi...; siete giunti al punto che avete bisogno di latte e non di cibo solido» (Ebrei 5,11-12).

Chi si rivolge a questi credenti, ricorda i padri che agirono con la loro fede e furono testimoni delle opere di Dio, si tratta di una lunga schiera di uomini e di donne, a partire da Adamo, Noè, Mosè, per passare ai patriarchi, ai profeti fino a Giovani Battista e altri che morirono per la loro fede.

«Siamo circondati da una grande schiera di testimoni»: come a dire che partecipiamo anche noi al miracolo della fede, alla continuità storica della testimonianza, che anche noi siamo chiamati ad afferrare quella fune della fede che così ci unisce all’intero popolo dei fedeli che nel corso dei secoli vi si sono aggrappati.

Testo della predicazione: Ebrei 13,12-14

Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori della porta della città. Usciamo quindi fuori dall'accampamento e andiamo a lui portando il suo obbrobrio. Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera agli Ebrei rivolge un lungo sermone ai suoi destinatari per incoraggiarli circa le difficoltà che vivevano nella società come credenti cristiani. Questi credenti attraversavano diverse persecuzioni che provocavano delusioni, perché si aspettavano una salvezza che li liberasse dalle sofferenze umane.

Il predicatore cerca di spiegare la realtà della fede attingendo dalle Scritture dell’Antico Testamento, scritture che diventano la prefigurazione di un nuovo Patto che Dio aveva compiuto attraverso il suo figlio, Gesù. Il nuovo Patto è perfetto perché non è stato compiuto con il sangue di animali, ma con il sangue di Cristo, Dio stesso che si offre all’umanità. Il nuovo Patto è per sempre, non servono altri sacrifici, perché è accaduto una volta per tutte.

Non bisogna temere dunque, perché siamo entrati all'interno di una nuova alleanza con Dio in cui Dio stesso decide di essere l’autore della nostra salvezza, del nostro perdono e della nostra redenzione.

Testo della predicazione: Matteo 10,34-36

«Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, allo Studio biblico su “Il Dio della Bibbia e la violenza” abbiamo appreso che la violenza è la costante minaccia distruttrice degli esseri umani. Quando due individui aspirano alla stessa meta, diventano rivali, si genera un conflitto che induce alla violenza. Presto si perde di vista l'oggetto della meta e la violenza diventa cieca, essa è socialmente contagiosa e produce sempre nuova violenza. Nelle società primitive, il rituale sacrificale serviva a deviare sulla vittima del sacrificio, un animale o addirittura una persona, il male, la violenza e il peccato delle persone. Così nei testi dell’Antico Testamento, il credente fa l’esperienza di Dio all’interno di questi processi culturali, ed è così che si spiegano i diversi rituali cruenti qui contenuti e perché vi è la necessità di spiegare Dio come crudele e violento, perché ciò è identificato con la potenza e la forza, anzi con l’onnipotenza di Dio: «Ha precipitato in mare cavallo e cavaliere», canta Miriam, dopo che le acque del Mar Rosso si sono richiuse. Ecco perché tanta violenza e ferocia domina buona parte della storia d’Israele.

Tuttavia, i profeti Amos, Isaia, Geremia, Osea, Michea, denunciano l’inefficacia del sacrificio e denunciano la violenza come peccato, anche quella che accadeva all’interno del popolo d’Israele e cioè nei riguardi degli umili, degli indifesi, dei poveri, delle vedove e degli orfani.

È vero che le guerre sono viste come atti di salvezza di Dio, egli comanda di annientare il nemico perfino nel modo dell’interdetto, cioè senza lasciare nessuno in vita e senza far bottino. Qui non c’entra affatto l’odio o la brutalità, ma vi è la l’ordine di Dio che nessuno può e deve disporre della guerra, essa non è uno strumento della politica per arricchirsi o per conquistare. Per questo era proibito il censimento della popolazione, per non essere tentati dal numero dei soldati superiore all'avversario.

Testo della predicazione: II Samuele 12,1-7a

Il Signore mandò Natan da Davide e Natan andò da lui e gli disse: «C’erano due uomini nella stessa città; uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in grandissimo numero; ma il povero non aveva nulla, se non una piccola agnellina che egli aveva comprata e allevata; gli era cresciuta in casa insieme ai figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Essa era per lui come una figlia. Un giorno arrivò un viaggiatore a casa dell’uomo ricco. Questi, risparmiando le sue pecore e i suoi buoi, non ne prese per preparare un pasto al viaggiatore che era capitato da lui; prese invece l’agnellina dell’uomo povero e la cucinò per colui che gli era venuto in casa». Davide, allora, si adirò moltissimo contro quell'uomo e disse a Natan: «Com'è vero che il Signore vive, colui che ha fatto questo merita di essere punito e pagherà quattro volte il valore dell'agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà. Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell'uomo!».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, cari bambini e bambine, il profeta Natan pronuncia questa parabola davanti al re Davide, il più grande re d’Israele. Gesù sarà discendente di questo re.

Davide però ha sbagliato, si invaghisce di una bella donna, Bat-Sceba, moglie di un suo servo, Uria l’Ittita, la manda a chiamare e con lei ha dei rapporti, viola la sua integrità di donna e di moglie fedele. E quando la donna rimane incinta, il re cerca di rimediare sposandola. C’è però un impedimento, Bat-Sceba ha un marito. Così il re ordina di esporre in battaglia Uria, di lasciarlo solo in prima linea perché così sia ucciso dal nemico. E così accadde. Uria, fedele servo del re, muore in battaglia.

Vi sono due uomini, uno è ricco, l’altro è povero. Per descrivere il ricco, Natan, non ci mette molto, non c’è alcun interesse in quell’uomo. È ricco, ha in gran numero pecore e buoi, ha tutto, punto e basta. Così lo mette in disparte.

Testo della predicazione: Ebrei 4, 4-16

«A proposito del settimo giorno, è detto così: «Dio si riposò il settimo giorno da tutte le sue opere»; e di nuovo nel medesimo passo: «Non entreranno nel mio riposo!». Poiché risulta che alcuni devono entrarci, e quelli ai quali la buona notizia fu prima annunziata non vi entrarono a motivo della loro disubbidienza, Dio stabilisce di nuovo un giorno - oggi - dicendo per mezzo di Davide, dopo tanto tempo, come si è detto prima: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!». Infatti, se Giosuè avesse dato loro il riposo, Dio non parlerebbe ancora d'un altro giorno. Rimane dunque un riposo sabbatico per il popolo di Dio; infatti chi entra nel riposo di Dio si riposa anche lui dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue. Sforziamoci dunque di entrare in quel riposo, affinché nessuno cada seguendo lo stesso esempio di disubbidienza. Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non v'è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto. Avendo dunque un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno». 

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera agli Ebrei rivolge un lungo sermone ai suoi destinatari per incoraggiarli circa le difficoltà che vivevano nella società come credenti cristiani. Questi credenti trovavano umiliante credere in un Cristo come “uomo di dolore”, le persecuzioni che essi stessi subivano avevano provocato delusione, perché si aspettavano una salvezza che li liberasse dalle sofferenze umane.

Il predicatore però, cerca di rendere ragione dei testi biblici su cui si appoggiavano i credenti, spiegandone il senso autentico, non letterale, ma spirituale, per cui le Scritture dell’Antico Testamento diventano la prefigurazione di un nuovo Patto che Dio farà con l’umanità. Il nuovo Patto è perfetto perché non è stato compiuto con il sangue di animali, ma con il sangue di Cristo, che è la Parola vivente di Dio, Dio stesso che si offre all’umanità. Il nuovo Patto è per sempre, non servono altri olocausti, altre offerte a Dio, ma è accaduto una volta per tutte.

Nel Libro del Levitico (19,18) leggiamo un noto versetto:

«Amerai il prossimo tuo come te stesso».

Martin Buber, teologo ebreo, traduce così lo stesso versetto: «Ama il prossimo tuo perché è come te», questo versetto racchiude tutta l'etica della Bibbia ebraica e viene ripreso dal Nuovo Testamento e reso più radicale da Gesù:

«43 Voi avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico".
44Ma io vi dico: amate i vostri nemici, [benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano,] e pregate per quelli [che vi maltrattano e] che vi perseguitano,
45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
46Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani?
47E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto?
48Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» 
(Matteo 5,43-48).

Gesù riprende il comandamento dell'amore riferito nell'Antico Testamento, ma in verità, qui non si trova traccia del comandamento di odiare il nemico. È probabile che Matteo facesse riferimento a quella tradizione morale, che si era affermata presso gli Esseni a Qumran, che comportava l'odio per i nemici. È probabile che si tratti di una deformazione dell'insegnamento dell'Antico Testamento stesso.