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Domenica, 31 Gennaio 2016 12:46

Sermone di domenica 31 gennaio 2016 (Ebrei 4,12-13)

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Testo della predicazione: Ebrei 4,12-13

«La parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non v'è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera agli Ebrei rivolge un lungo sermone ai suoi destinatari per incoraggiarli circa le difficoltà che vivevano nella società come credenti cristiani. Questi credenti trovavano umiliante credere in un Cristo come “uomo di dolore”, le persecuzioni che essi stessi subivano avevano provocato delusione, perché si aspettavano una salvezza che li liberasse dalle sofferenze umane.

Il predicatore però, cerca di rendere ragione dei testi biblici su cui si appoggiavano i credenti, spiegandone il senso autentico, non letterale, ma spirituale, per cui le Scritture dell’Antico Testamento diventano la prefigurazione di un nuovo Patto che Dio farà con l’umanità. Il nuovo Patto è perfetto perché non è stato compiuto con il sangue di animali, ma con il sangue di Cristo, che è la Parola vivente di Dio, Dio stesso che si offre all’umanità. Il nuovo Patto è per sempre, non servono altri olocausti, altre offerte a Dio, ma è accaduto una volta per tutte.

Questa spiegazione deve confortare chi legge la lettera, perché Gesù, l’uomo di dolore, non è rimasto prigioniero della distruzione, della devastazione, dell’annullamento, ma attraverso l’annullamento fisico ha vinto l’insufficienza umana, la sua parzialità, il suo peccato, il suo dolore, la sua sofferenza.

Non bisogna temere dunque, perché siamo in buone mani. Siamo entrati, cioè, all’interno di una nuova alleanza con Dio, in cui Dio stesso decide di essere l’autore della nostra salvezza, del nostro perdono e della nostra redenzione, liberandoci da tutte quelle offerte che davano solo l’illusione di meritare la grazia di Dio.

Il predicatore ricorda il Salmo 95 in cui è detto: “Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori” come fece il popolo nel deserto che non raggiunse la terra promessa, il risposo di Dio, ma solo i loro figli.

Ecco, il predicatore ci informa che questa promessa della terra, del riposo, della grazia, del perdono, della libertà, è valida ancora oggi. Oggi può essere l’occasione di vedere davanti a te un futuro, una meta, la promessa di Dio. Il predicatore ci dice che un popolo, una chiesa, che non ha una meta davanti a sé è solo costretto a vagare, a perdersi, a errare. Oggi puoi fare l’esperienza della promessa di Dio, senza più vagabondare, una promessa che dà veramente il senso alla tua vita perché è Dio stesso, come Parola, che ti cerca. Di fronte a lui non puoi nasconderti o fingere, non puoi non essere te stesso.

Per questo l’autore paragona questa Parola di Dio ad una spada affilata a doppio taglio che squarcia il velo che separa il cielo dalla terra, separa l’anima dallo spirito, le giuntura dalle midolla; divide cioè quello che conta da ciò che è solo apparenza, la verità dalla finzione, l’importante da ciò che è di secondaria importanza. L’autore intende orientarci verso una meta, che è una promessa, la libertà da noi stessi, la terra del riposo.

La spada a doppio taglio indica che siamo messi a nudo, che nulla può essere nascosto a Dio, il quale ci dà l’opportunità di rivedere la nostra posizione, di dare uno sguardo introspettivo, dentro di noi, di fare l’autocritica senza timori e paura, perché tanto siamo conosciuti da Lui come realmente siamo.

La Parola di Dio, produce tutto questo, essa fa di un giorno qualunque un “oggi”, di un qualunque momento del nostro tempo ne fa un tempo di crisi e di decisione, il tempo della monotonia quotidiana può diventare lo spazio della libertà e della gioia; questo fa la Parola vivente di Dio: attiva e rinnova la speranza e ristabilisce la fiducia; essa fa degli esseri umani erranti, dei protagonisti della storia di Dio, li rende discepoli e collaboratori di Gesù.

Ciò che questa Parola ci insegna è di guardare avanti, nella direzione della promessa di Dio, perché chi guarda al passato più che al futuro è come il popolo d’Israele che non riesce a passare dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà della terra promessa.

Ma per guardare avanti non bisogna dimenticare il passato, anzi, è necessario fare memoria, non ripetere gli errori, ricordare che cosa hanno provocato e correggerli.

Lo sterminio nazista degli ebrei, disabili, zingari, omosessuali, oppositori, è stato considerato un olocausto. Ma non lo è stato, non può aver luogo un altro olocausto dopo quello del Cristo che si è dato per l’umanità. Quello che è successo è stato solo uno sterminio, una Shoah, appunto, come la chiamano gli ebrei, una carneficina dell’umanità stessa, l’uccisione della dignità, la distruzione della speranza.

Perché Dio non ha fermato tutto questo? Perché l’ha permesso? Perché ha permesso a un uomo e alla sua ideologia di distruggere ciò che Dio aveva creato? Se Dio è buono perché ha lasciato che la malvagità umana distruggesse la bontà? Dov’era Dio mentre accadeva Auschwitz?

L’umanità intera si pose queste domande dopo Auschwitz, e i teologi cercarono di investigare le scritture, di leggere la teologia con nuovi occhi, quelli di chi aveva visto morire ogni speranza.

Ecco la risposta: Dio era là, ad Auschwitz, che moriva con gli ebrei, nelle camere a gas, nei lavori forzati.

Perché?

Perché Dio è amore, e l’amore non si impone con la forza senza rinnegare se stesso. L’amore di Dio è impotente a imporsi con la forza, l’onnipotenza di Dio risiede nell’impotenza del suo amore.

La potenza esclude gli altri, li vede sempre come una minaccia, l’amore invece, li include e li accoglie.

Ciò che può sembrare una sconfitta diventa una vittoria, un monito, in impegno per le generazioni future. Per questo Martin Luther King poteva dire ai razzisti bianchi: «Venite nelle nostre chiese a sterminarci, nel buio delle della notte per le strade isolate a picchiarci, e noi vi ameremo ancora, sempre di più perché noi vinceremo, ma non vinceremo da soli, ma insieme a voi, e sarà una vittoria doppia».

Oggi ci sono tante camere a gas, dove uomini, donne e soprattutto bambini, continuano a morire: è il Mediterraneo, sono le nazioni in guerra, sono i respingimenti di quei profughi che fuggono dalla morte certa causata dai bombardamenti delle loro case, dalla guerra, dalla fame e dalla miseria.

Dov’è Dio per queste persone? Ma soprattutto domandiamoci dov’è Dio per noi! Nelle nostre chiese che non hanno subito incendi e distruzioni, come, invece, altrove? Oppure nella nostra stanzetta, quando rivolgiamo a Dio la nostra preghiera? Nelle nostre ideologie secondo le quali non c’è posto per tutti e quindi bisogna rispedire tutti indietro nelle loro camere a gas oppure non permettere loro di uscire da lì?

Dov’è Dio oggi? Ma mi importa veramente saperlo? O preferisco chiudere gli occhi?

Possiamo aprire i nostri occhi e non aver paura di Dio, della sua creazione e del suo amore per tutte le creature, non aver paura di condividere noi stessi, ciò che siamo e ciò che abbiamo con chi l’ha perso o non ha mai avuto nulla.

Il predicatore della lettera agli Ebrei ci insegna a guardare al di là del nostro piccolo orizzonte, e ci ricorda che la promessa che Dio fece al suo popolo, quella di “entrare nel suo riposo”, è ancora valida per noi e per gli altri. Si tratta della pace di Dio, della sua speranza di una vita degna di essere vissuta.

La Parola di Dio ci pone di fronte a noi stessi, alle nostre piccolezze, ai nostri egoismi e ci invita andare oltre, a guardare lontano, dove ci sono gli altri, dove c’è Dio. Anche se ciò accadrà non senza difficoltà e non senza dolore.

Non dobbiamo avere paura, l’amore di Dio è talmente grande che ci permetterà di superare ogni paura. Per questo la prima lettera di Giovanni ci incoraggia dicendo: «Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura» (1Giov. 4,18).

Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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