Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

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tempio del ciabas

Il tempio originario del Ciabàs poco aveva a che fare con il bell'edificio che possiamo vedere noi oggi, prodotto delle ricostruzioni e ristrutturazioni successive. A metà del 500 i valdesi erano nel pieno della trasformazione che li portò, nel giro di mezzo secolo, da movimento clandestino a chiesa riformata. Erano tempi di gran cambiamento, la guerra rimescolava assetti politici e spartizioni religiose, la predicazione riformata mieteva successi in tutti i territori del re di Francia, Piemonte compreso (che restò francese fino al 1559). Le Valli valdesi fungevano da roccaforte riformata da cui partivano i predicatori diretti ai numerosi gruppi di fedeli sparsi nella pianura e nella quale ci si poteva rifugiare per sfuggire all'arresto o all'esilio.

L'arrivo ad Angrogna dei predicatori formati nella Ginevra di Calvino, a Pasqua del 1555, portò una novità ricca di conseguenze importanti: l'Evangelo, che per secoli era stato predicato, coltivato e diffuso dentro le case, in piccoli gruppi clandestini, venne annunciato alla luce del sole, alla folla riunita in assemblee pubbliche. Grazie anche all'abilità dei predicatori, il culto pubblico infiammò la popolazione valdese delle valli e convertì grande parte di quella cattolica. Nel corso dell'estate i culti pubblici si susseguirono con crescente successo e con l'arrivo della cattiva stagione si pose il problema di proteggere dalle intemperie la folla riunita per il culto. I primi ripari per i fedeli riuniti per il culto pubblico furono costruiti sul territorio di Angrogna, che era allora il centro delle valli valdesi e la cui Magnifica Comunità, cui competeva la costruzione, era saldamente nelle mani dei valdesi. Il primo fu collocato nel cuore della valle, a San Lorenzo, un secondo più a monte al Serre. Per quel che concerne l'edificio del Ciabàs non si ha notizia precisa, le fonti parlano di altri templi edificati successivamente dopo quelli d Angrogna. Venne posto sempre nel comune di Angrogna, ma al confine con il territorio di San Giovanni, per raccogliere i credenti della pianura.

Non dobbiamo immaginare qualcosa di simile a ciò che oggi chiamiamo tempio, si trattava piuttosto di un capannone, ciabàs in dialetto. Mentre a San Lorenzo si continuò a predicare in francese, lingua più conosciuta dai valligiani, per il Ciabàs si cercarono dei predicatori italiani, in grado di annunciare l'Evangelo ai piemontesi.

Ginevra inviò Goffredo Varaglia, famoso predicatore e teologo, convertitosi da qualche anno alla Riforma, il quale si mise a predicare con grande passione. Il culto al Ciabàs si teneva quasi tutti i giorni, con grande partecipazione dei valdesi di S. Giovanni, ma anche dei membri delle comunità che si stavano formando a Fenile e Bibiana, e di simpatizzanti della Riforma che crescevano di numero in molti paesi della zona. Varaglia, che era originario di Busca, nel cuneese, non se ne stava confinato ad Angrogna, ma accettava volentieri gli inviti a recarsi a predicare nei diversi paesi della pianura, correndo consapevolmente il rischio di essere arrestato e condannato a morte, come di lì a poco in effetti avvenne.

La sua opera fu seguita da Scipione Lentolo, intellettuale napoletano e predicatore raffinato. Nel 1560 il Ciabàs fu teatro di una serie di incontri pubblici di Lentolo e altri pastori con importanti rappresentanti dell'autorità civile e religiosa. In quell'anno il duca Emanuele Filiberto di Savoia, appena rientrato in possesso dei suoi territori, tentò di liberarsi della presenza Valdese, mentre in Val Chisone i signori locali scatenavano la violenza contro i Valdesi, un giorno di Aprile Filippo di Savoia, Conte di Racconigi, si presentò a sorpresa al Ciabàs e ascoltò rispettosamente la predica; terminato il culto chiese di parlare con i pastori, assicurando loro che il duca non approvava le violenze in atto e concordando di farsi portatore presso il duca di una loro confessione di fede. Lentolo tradusse a questo scopo la bozza di confessione di fede delle chiese riformate di Francia, che era stata redatta da Calvino.

Il 29 giugno Racconigi ritornò al Ciabàs con Giorgio Costa della Trinità per porre ai pastori e ai sindaci delle domande sulla loro dottrina, per chiedere che i Valdesi permettessero ai preti di celebrare la messa in tutti i paesi delle valli e che i pastori venissero espulsi. I Valdesi, dopo aver discusso e meditato, accettarono la prima richiesta, ma rifiutarono la seconda, rimandando i due emissari dal duca pieni di irritazione.

Il 26 luglio il gesuita Antonio Possevino, incaricato da Roma di stroncare il tentativo di Riforma in Piemonte, si recò al Ciabàs per una vera e propria disputa teologica con Scipione Lentolo. Dopo un ulteriore tentativo di convincere i Valdesi ad espellere i pastori dalle valli, Possevino contestò la posizione riformata della messa, sul papato e sulla scrittura. Lentolo e gli altri pastori gli risposero per le rime e, verificato che tutti i valdesi presenti erano schierati compatti con i loro pastori, Possevino e il suo seguito se ne andarono con le pive nel sacco.

Il 2 novembre le truppe del duca attaccarono San Giovanni. i Valdesi dopo qualche scambio di fucilate si ritirarono in alto su posizioni più difendibili e il Ciabàs, a pochi anni dalla sua costruzione, venne distrutto.

Negli anni successivi il Capannone fu ricostruito e, nella ritrovata pace seguita all'Accordo di Cavour (1561), tornò a svolgere la sua funzione di ospitare i partecipanti al culto provenienti da San Giovanni e dai paesi della pianura. Finché verso la fine del secolo - i Valdesi si erano costituiti in chiesa riformata nel 1564 - fu creata la parrocchia di San Giovanni, il cui luogo stabile di culto restò il Ciabàs.

Nel corso del Seicento, la Chiesa valdese di San Giovanni, pur trovandosi al di fuori dei confini entro i quali l'Accordo di Cavour permetteva ai Valdesi di celebrare il culto, tentò a più riprese di dotarsi di un locale di culto più vicino al centro del paese (e alla pianura pur ricattolicizzata) costruendone uno ai Malanot (oggi Malan) e utilizzando la Casa comunale.

Il Ciabàs perse quindi il ruolo fondamentale che aveva avuto nei primi decenni dopo la sua costruzione, pur restando una base importante, specialmente nei periodi in cui l'opposizione delle autorità obbligava a chiudere le altre sedi di culto. il podestà di Luserna, Brianza, tentò di presenziare alle sedute, ma gli venne negato il permesso.

In occasione delle Pasque piemontesi (1655) la zona del Ciabàs fu teatro di scontri tra le truppe ducali che tentavano di incendiare il tempio e i Valdesi che lo difendevano; il primo tentativo di incendio fu rintuzzato dai Valdesi, ma questo non impedì che l'incendio venisse appiccato con successo un paio di giorni dopo.

Ricostruito in seguito, ospitò l'assemblea del 23 marzo 1686 nella quale i valdesi decisero di resistere all'ordine del duca di andare tutti in esilio. Seguì l'attacco delle truppe e, piegata la resistenza dei Valdesi, il tempio venne distrutto come tutti quelli in territorio ducale, ad eccezione di quello di Prali.

Ritornati dall'esilio i Valdesi di San Giovanni, con l'aiuto economico di Ginevra, ricostruirono il Ciabàs: a Natale del 1701 il tempio ricostruito poté essere inaugurato. Nel corso di tutto il secolo il Ciabàs svolse la funzione di tempio della chiesa di San Giovanni, ospitando anche, a quattro riprese, il Sinodo (nel 1712, nel 1734, nel 1754 e nel 1772). È in questo periodo che numerose personalità protestanti morte in Piemonte furono seppellite al suo interno; il più famoso di essi è certamente il barone Friedrich Wilhelm von Leutrum, generale al servizio dei Savoia e governatore di Cuneo.

Grazie all'occupazione napoleonica, i valdesi di San Giovanni ottennero finalmente il permesso di costruire un tempio sul proprio territorio. Nel 1806 edificarono ai Bellonatti quello che fino ad oggi è rimasto il tempio principale della chiesa di San Giovanni. Nonostante venisse provvisoriamente riutilizzato in occasione del terremoto del 1808 e del ritorno dei Savoia del 1814 - che ordinarono la demolizione del tempio dei Bellonatti, accontentandosi poi di una palizzata che ne nascondesse la facciata - il Ciabàs nel corso dell'800 cadde in disuso e in seguito in rovina, finendo per essere utilizzato come deposito di fieno e di legna.

Fu ricostruito nel 1868 e poi nel 1894. Il pulpito, che si trovava sul lato destro secondo l'uso riformato, fu sostituito con la tribuna sul fondo (1868), inoltre venne costruito il pavimento di legno, vennero rinnovati i banchi e aggiunto un armonium (1894). Ne uscì il Ciabàs che conosciamo oggi, assai lontano dal capannone edificato in fretta nel 1555: un monumento alla storia della predicazione riformata alle valli valdesi e in Piemonte, un luogo dove si tiene un culto in occasioni speciali in cui ci si riunisce con particolare emozione.

È significativo che per molti anni il sermone di prova dei candidati, che sarebbero stati consacrati il giorno successivo al ministero pastorale, si sia tenuto proprio al Ciabàs. Così come non è certamente casuale il fatto che le importanti giornate teologiche degli anni 1935-1943 si siano svolte in questo luogo storico di dibattito e controversia.

Affidato, come è giusto, alla cura e all'uso della chiesa di Luserna San Giovanni, il Ciabàs è considerato oggi uno dei luoghi storici della Chiesa valdese tutta, a cui tornare di quando in quando per ricordare le vicende che ci hanno condotti fin qui e interrogarci su come siamo chiamati oggi a dar loro un seguito.

Tratto da: "1555 I templi valdesi: Angrogna - Ciabàs", di D. Bouchard F. Tagliero G. Tourn, ed. Claudiana 2005

 

Il "Baron Litron"

Il barone Federico von Leutrum fu un valoroso ufficiale, tedesco e protestante, al servizio della casa di Savoia nel XVIII secolo. Si distinse particolarmente nella difesa di Cuneo dall'assedio dei francesi nel 1744; nominato governatore di quella città, vi morì nel 1755. Come altri dignitari o diplomatici stranieri di fede protestante, fu sepolto nel tempio del Ciabàs. Al letto di morte di Leutrum si recò lo stesso re, ed una canzone rapidamente diffusasi in varie versioni in tutto il Piemonte raccontano il suo colloquio con il sovrano.

La versione francese, più comune alle Valli valdesi, è aulica e solenne: il re promette al barone oro e argento, ma egli chiede soltanto che gli siano resi gli onori militari dai suoi soldati e di essere sepolto "dedans l'église de Saint Jean, que l'on m'enterre là dedans". Ma di Baron Litron è diffusa anche una versione in piemontese, qui eseguita, dal tono più colloquiale e talora quasi satirico: il sovrano propone al barone di convertirsi al cattolicesimo ("faremmo venire il vescovo da Torino ed io stesso ti farei da padrino") ma il barone risponde lapidariamente "o bon cristian o bon Barbet" (cioè o buon cattolico o buon valdese,ma si noti in questa versione diffusa in tutto il Piemonte, l'uso del termine spregiativo Barbet per indicare i valdesi, che per definizione non sarebbero cristian) mentre la richiesta del luogo della sepoltura diviene molto più generica: in val d'Luserna. Questa canzone popolare, nelle sue due versioni, è lo specchio fedele della "diversità" delle popolazioni valdesi, oggetto di qualche compiacimento da parte loro ma anche di ironica diffidenza tra gli altri abitanti del Piemonte.

Descrizione tratte dal CD "Musica Protestante"

Audio del Gruppo Teatro Angrogna, dal CD "Se canto", 1996

 

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