Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

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Venerdì, 19 Febbraio 2016 13:05

Sermone del XVII febbraio 2016 (Luca 15,11-32)

Testo della predicazione: Luca 15,11-32

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane di loro disse al padre: “Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta”. Ed egli divise fra loro i beni. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, partì per un paese lontano e vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali. Ed egli avrebbe voluto sfamarsi con i baccelli che i maiali mangiavano, ma nessuno gliene dava. Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi’”. Egli dunque si alzò e tornò da suo padre. Ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. E il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai suoi servi: “Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”. E si misero a fare gran festa. Or il figlio maggiore si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze. Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa succedesse. Quello gli disse: “È tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. Ma egli rispose al padre: “Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato”. Il padre gli disse: “Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”».

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, è da qualche mese che mi affascina particolarmente la parabola del padre misericordioso come oggi spesso viene, secondo me giustamente, intitolato il brano di Luca 15 che abbiamo appena ascoltato. Mi affascina perché esistono tante interpretazioni diverse e fra le tante interpretazioni anche un bel po' di sfumature.

Già il modo in cui nelle Bibbie viene intitolata la parabola da un'idea della varietà delle interpretazioni: il figlio prodigo, il figlio perduto e ritrovato, i due figli, il padre misericordioso …

Oggi noi siamo in festa, celebriamo la nostra libertà raggiunta 168 anni fa per via delle lettere patenti di Carlo Alberto. Ed è di festa che parla la parabola, di una gran festa, chiedendoci se noi siamo in grado di festeggiare davvero o se siamo come i due figli che hanno delle visioni del padre proprio non di festa ma di guastafeste.

Ma andiamo con ordine.

Sappiamo che il figlio maggiore, quello rimasto a casa, non riesce a fare festa. Ma forse nemmeno il figlio minore non è capace di godersi la festa organizzata dal padre. I due figli quindi incapaci di festeggiare? Perché? Perché in fondo è una questione di narrazione, quale narrazione è la mia dell'evento e quale è quella del padre?

Il figlio minore ha una narrazione nella sua mente. E' la sua versione degli eventi che gli gira per la testa mentre si incammina per tornare a casa dopo aver sperperato il denaro di suo padre. Di continuo riflette sulle parole da dire al padre nel momento dell'incontro. E' convinto di non valere più niente, è convinto di non meritarsi di essere figlio. Con questa versione, con la sua narrazione ha in mente un'idea ben precisa di suo padre: deve essere severo e capace di rinnegare il figlio per via della azioni compiute. Visto che il figlio minore pensa di non essere più degno di chiamarsi figlio, vuole essere accolto come schiavo, vuol dire: alla fine la narrazione che ha del padre è: tu sei schiavista.

Il figlio maggiore ha una narrazione ben più articolata: “Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici. Ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato”.

Il discorso del figlio maggiore, la sua narrazione ha tre argomenti contro il padre: nella sua versione degli eventi ha lavorato sodo per suo padre. Si paragona con uno schiavo, il padre viene narrato come uno schiavista. Parla di un capretto, poca roba per festeggiare, magro. La festa che si sta immaginando nella sua testa non è granché. Il padre, oltre a essere schiavista nella narrazione del figlio maggiore, è anche avaro. Terzo argomento: il padre è ingiusto, tratta i suoi figli con due misure. Perciò è arrabbiato e incapace di festeggiare.

Contro le narrazioni dei figli che entrambi non pensano di esserlo, ci sono quelle del padre, quello che egli dice di essere. In fondo le narrazioni del padre ad entrambi i figli sono uguali. La narrazione al figlio minore è: ritorno, riconciliazione, redenzione: tu sei mio figlio, anche se tu non te l'aspetti più dopo quello che hai combinato, tu sei e tu rimani mio figlio. Tu mi hai rinnegato quando hai chiesto la tua parte dell'eredità, mi hai dichiarato morto, ti sei licenziato come figlio e adesso, tornando tu rinneghi me come padre, ma io lo sono, sono tuo padre e di conseguenza tu sei mio figlio.

La narrazione al figlio maggiore è: Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua. Con una sola frase il padre riesce a cancellare la narrazione del figlio maggiore e a contrapporre ad essa la sua: Tu non sei mai stato schiavo, sei figlio, non dovevi spaccarti la schiena per essere figlio, non dovevi guadagnarti con il duro lavoro ciò che hai sempre avuto. Di conseguenza potevi disporre delle cose e potevi benissimo prenderti ciò che volevi per fare festa.

È tutta una questione di visione e di conseguenza di narrazione. Ma solo una visione riesce a scatenare la gioia per entrare nella festa.

I due figli, per entrare nella festa del padre devono decidere quale narrazione accettare, la loro in cui l'immagine del padre è distorto o quella del padre che ad entrambi dice: voi siete figli.

Anche noi dobbiamo decidere, ed eccoci arrivati alla nostra festa che è una questione di narrazione, come la storia valdese con tutta la sofferenza del passato, nasce da narrazioni diverse.

La storia del cristianesimo ci insegna che l'Evangelo del padre misericordioso e del figlio, Cristo, venuto nel mondo per salvarlo, per liberarlo, per instaurare il regno di Dio, per far valere la volontà liberatrice di Dio nel mondo, che questo Evangelo è stato rescritto togliendo la narrazione gioiosa, festosa dell'annuncio di Gesù.

L'Evangelo universale che non conosce né Giudeo né Greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero, diventa un Evangelo particolare, anzi non è più Evangelo, buona notizia, ma una brutta notizia, Cristo liberatore diventa, nel medioevo, il grande giudice che oscura la volontà del padre di avere tutte e tutti come figli e figlie e che fa sì che chi non accetta questa visione esclusiva del cristianesimo chiedendo solo un ritorno alle origini, diventa eretico e da estinguere. La nostra storia ne è piena di stragi.

Tutto ciò accade perché l'Evangelo del padre misericordioso diventa uno strumento di potere che fa dimenticare il messaggio liberatorio di Gesù.

La storia valdese è invece la narrazione del fatto che anche noi siamo figli e figlie, apparteniamo al Dio della misericordia, al Dio d'amore che fa sì che tutte e tutti noi siamo figli.

Certo anche la nostra storia conosce delle restrizioni e degli orizzonti stretti, delle narrazioni esclusive e delle limitazioni che secondo me trovano il loro culmine nel Sinodo di Dordrecht in cui viene affermato che Cristo è morto solo per i predestinati alla salvezza, Cristo non più che salva il mondo, ma chi è stato predestinato alla salvezza.

La festa della libertà vuole aprire il nostro orizzonte in modo che la libertà sia per tutte e per tutti, in modo che la liberazione avvenuta in seguito alle lettere di Carlo Alberto sia l'inizio di una narrazione della libertà che segue il filo rosso della nostra parabola ma anche la narrazione che Gesù fa nel secondo brano che abbiamo letto.

Contro il “noi abbiamo Abraamo come padre” contro questo particolarismo che esclude Dio come padre e chi non è con loro dalla salvezza, Gesù afferma la libertà che rende veramente liberi.

La libertà che parte dalla narrazione che Dio è il padre d'amore per tutte e per tutti, la libertà che pone fine ai particolarismi, alle esclusioni e alle esclusività, la libertà che pone fine all'incapacità di fare festa, festa di e festa con un Dio venuto a liberarci e venuto per fare di noi portatori e portatrici di questa sua libertà e tutto ciò sapendo di non poter mai cadere dalle mani di Dio e mai perdere la figliolanza che Cristo ha donato a noi. Amen.

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