Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

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Domenica, 03 Settembre 2017 22:20

Sermone di domenica 3 settembre 2017 (Marco 7,31-37)

Testo della predicazione: Marco 7,31-37

Gesù partì di nuovo dalla regione di Tiro e, passando per Sidone, tornò verso il mar di Galilea attraversando il territorio della Decapoli.
Condussero da lui un sordo che parlava a stento; e lo pregarono che gli imponesse le mani. Egli lo condusse fuori dalla folla, in disparte, gli mise le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; poi, alzando gli occhi al cielo, sospirò e gli disse: «Effatà!» che vuol dire: «Apriti!» E gli si aprirono gli orecchi; e subito gli si sciolse la lingua e parlava bene. Gesù ordinò loro di non parlarne a nessuno; ma più lo vietava loro e più lo divulgavano; ed erano pieni di stupore e dicevano: «Egli ha fatto ogni cosa bene; i sordi li fa udire, e i muti li fa parlare».

Sermone

All'inizio, la parola stentata: un uomo chiuso nel proprio handicap; di fatto, nel proprio isolamento: “Condussero da lui un sordo che parlava a stento”. Al centro una parola, una sola, di Gesù: «Effatà che vuol dire: «Apriti!». Alla fine, la parola si mette a circolare, si diffonde; commenta, interpreta e, così facendo – al pari del coro nelle antiche tragedie greche – ci dà una chiave di lettura: «Ha fatto bene ogni cosa».  Sembra una replica dell’esclamazione della sera del sesto giorno della creazione in Genesi 1 che valuta la creazione dell’essere umano (uomo e donna) come “molto buona” o “ben fatto!”. L'atto di Gesù, dunque, può essere letto come una nuova Genesi, come la ripresa nel bel mezzo della storia umana di quel poema della creazione. A questa eco di Genesi 1 («Ha fatto bene ogni cosa»), l’acclamazione della folla ne aggiunge un’altra: «I sordi li fa udire, e i muti li fa parlare». Qui si allude a una di quelle profezie di cui era piena la storia d’Israele: la speranza escatologica cantata da Isaia, al tempo della grande crisi dell’esilio, come la promessa di un nuovo Esodo, di una liberazione dell’intera vita. Il racconto intreccia quei due riferimenti al poema delle origini e alla speranza ultima, a Genesi 1 e a Isaia, come per darci un’unica chiave di lettura: Gesù è il principio e la fine, in lui tutto si ricrea, tutto si rinnova.

All'inizio la parola stentata, alla fine la parola fluida: “e parlava bene”. Ma quel parlar bene forse si riferisce anche e soprattutto al contenuto: “diceva bene” o “bene-diceva”. È comprensibile la riconoscenza benedicente in una persona che ha ricevuto una tale guarigione. Ma credo che questo racconto evangelico voglia dirci di più e la chiave è la parola di Gesù: «Effatà! - Apriti!»: non solo le orecchie ma il cuore e lo spirito dell’uomo devono “aprirsi” e non essere sordi alla realtà e all'umanità che ci circondano. Quando ciò accade, si “parla bene”, si pronunciano parole buone e responsabili, parole che educano, che edificano, che perdonano, anche parole critiche ma costruttive e non distruttive. Quando non ci si apre, invece, si resta sordi, si ripetono acriticamente parole altrui, quelle del sentito dire, degli slogan, delle semplificazioni, del risentimento.

Incominciamo e viviamo il nuovo anno ecclesiastico avendo in mente questa parola di Gesù, che è anche un mandato missionario: «Effatà! - Apriti!».

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