Culto domenicale:
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Domenica, 24 Settembre 2017 14:24

Sermone di domenica 24 settembre 2017 (Luca 18,18-23. 28-30)

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Testo della predicazione: Luca 18,18-23. 28-30

Uno dei capi lo interrogò, dicendo: «Maestro buono, che devo fare per ereditare la vita eterna?» Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio; non uccidere; non rubare; non dir falsa testimonianza; onora tuo padre e tua madre». Ed egli rispose: «Tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia gioventù». Gesù, udito questo, gli disse: «Una cosa ti manca ancora: vendi tutto quello che hai, e distribuiscilo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, udite queste cose, ne fu afflitto, perché era molto ricco. Pietro disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato le nostre cose e ti abbiamo seguito». Ed egli disse loro: «Vi dico in verità che non c'è nessuno che abbia lasciato casa, o moglie, o fratelli, o genitori, o figli per amor del regno di Dio, il quale non ne riceva molte volte tanto in questo tempo, e nell'età futura la vita eterna».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, dalla Bibbia abbiamo ascoltato un racconto in cui un giovane, molto ricco, domanda a Gesù cosa deve fare per ottenere la Vita eterna, la salvezza eterna.

Gesù risponde: “Segui i comandamenti di Dio”! Eppure, questi erano osservati attentamente e alla lettera dal giovane ricco che, però, lo stesso, domanda a Gesù cosa deve fare per avere la certezza della Vita eterna.

Eppure, questo giovane dovrebbe avere la coscienza a posto, fa tutto quello che gli è comandato, è uno scrupoloso osservatore dei precetti, attento a tutte le leggi dell’antico Israele. Eppure, sente che tutto questo non basta, che qualcosa gli manca.

Perché?

In fondo, può sentirsi una persona a posto con se stessa e con Dio, può sentirsi una persona perdonata, perché lo meriterebbe davvero, ha tutte le carte in regola per essere benedetto da Dio nella vita terrena e “anche dopo”.

Ecco, ma su questo “anche dopo” la vita terrena, il giovane ha qualche dubbio. Sulle benedizioni di Dio in vita, questo giovane non ha dubbi: in fondo, la sua ricchezza, la sua prosperità e l’abbondanza sono la prova del favore di Dio, la sua benedizione meritata, ma su “anche dopo” si domanda se è sufficiente quello che fa, o se invece non deve fare altro.

In realtà, questo giovane ricco comincia a dubitare sulla consapevolezza che ha di sé, e cioè di meritare Dio stesso e i suoi favori, comincia a pensare che il suo “auto-assolversi” possa anche non corrispondere al perdono di Dio.

Le sue certezze cominciano a vacillare, anche se quella sua ricchezza è lì come prova del favore di Dio per lui.

Questo giovane teme che la sua autostima e il suo auto-compiacimento per aver meritato tante ricchezze, non corrispondano alla stima e al compiacimento di Dio per lui; teme che Dio non ne tenga conto, che non gli interessino i meriti delle persone. Questo giovane teme che si tratti di pura illusione, teme di prendere una grossa cantonata, che tutto quello che si sforza di fare non servirà a nulla.

E Gesù gli risponde assecondando le sue illusioni circa i meriti che Dio gli chiede, ma sa bene che il giovane ricco fonda la sua vita e la sua comprensione di Dio su false certezze, anzi semplicemente sulla certezza della sua ricchezza come garanzia di benedizione della vita e di speranza sul suo futuro terreno. Ma capisce che non sia garanzia di salvezza eterna.

Allora Gesù, che sa che la fede non si fonda sulle certezze, gli chiede di abbandonarle quelle certezze, gli chiede di abbandonare le sue illusioni, la sua falsa concezione di Dio, gli chiede di fare un passo coraggioso e radicale, affinché la smetta di avere fiducia in se stesso e nelle proprie capacità di ingraziarsi il favore di Dio, ma di riporre la propria fiducia nell’amore gratuito di Dio.

In fondo, gli chiede di essere più ingenuo e candido e di non salvarsi da se stesso, ma di lasciare che sia Dio a salvarlo.

Gli chiede di lasciare le sue ricchezze e di seguirlo, gli chiede un semplice atto di fede che dimostri di credere più in Dio che in se stesso.

Gesù gli chiede semplicemente di avere fede.

Ma il giovane non accetta di vivere una vita senza garanzie e senza sicurezze. Gesù gli chiede di affidarsi totalmente a Dio, gli chiede di seguirlo su una strada di rischi, di pericoli, incertezze, dubbi, insuccessi. Gli chiede di avere fede, semplicemente, quella fede che nonostante le prove della vita ti lega più stretto a Dio.

Questa è la fede: l’avventurarsi per sentieri nuovi e inesplorati, fiduciosi nell’amore di Dio. Questa è la fede: seguire un Cristo che non ha un posto dove posare il capo, un Cristo che verrà sconfitto in croce. La fede è un salto nell’ignoto, nel buio, nell’incerto, sapendo però di essere sostenuti e accolti da Dio.

Sempre.

In fondo, Gesù ci chiede di vivere la fede con quella fiducia che i hanno bambini nei confronti dei loro genitori.

Un bambino come Elaia, che oggi abbiamo battezzato, va amato semplicemente per il fatto che esiste: non possiede ancora niente, non può ancora niente. Un bambino è e basta, e reclama, con tutta l'irruenza di un diritto naturale, che lo si accolga per il semplice fatto che esiste. La fiducia che ogni bambino ha verso la mamma e il papà rappresenta l'atteggiamento che noi adulti dobbiamo avere nei confronti di Dio: con la stessa fiducia incondizionata, con la stessa sfacciataggine naturale, possiamo rivolgerci a Dio, nostro Padre.

Nel mondo della gente adulta è impossibile credere di essere accettati per il solo fatto di esistere; è vero invece il contrario, e cioè che la simpatia e le attenzioni dell'altro dobbiamo guadagnarcele dimostrando particolari capacità e qualità. E questo atteggiamento lo trasferiamo anche nei confronti di Dio; in fondo, anche noi pensiamo che bisogna guadagnarsi il favore di Dio, il cielo, la sua bontà per noi, la vita eterna. Ma Gesù dice che è sbagliato.

Gesù disse: «Se non diventate come questi piccoli...». Come dire: «Questi bambini, non hanno nulla da mettere avanti, nessuna opera da calcolare all'attivo, per essere apprezzati e accettati», sono simili alla mano vuota del mendicante.

Gesù aggiudica il Regno di Dio a quelli la cui fede è simile alla mano vuota del mendicante, perché nessuna opera buona può rivendicare il diritto di meritare la vita eterna, perché la grazia e il perdono di Dio ci sono offerti gratuitamente (non si chiamerebbe grazia), per il solo fatto che Dio ci ama.

Allora, Pietro interviene nel dibattito a sostegno della scelta che hanno fatto lui e i suoi amici i discepoli: Quello che tu hai chiesto al giovane e cioè di lasciare le sue ricchezze e le sue sicurezze, noi lo abbiamo fatto; «abbiamo lasciato le nostre cose, le nostre famiglie e ti abbiamo seguito». Gesù è consapevole di ciò, ma Pietro gli voleva dire: cosa ne sarà di noi ora che non abbiamo sicurezze, cosa ci attende dopo?

Gesù risponde che chi ha affidato la propria vita nelle mani di Dio non verrà deluso, perché troverà più di quanto ha perso; intanto troverà una comunità di fratelli e sorelle, troverà la solidarietà e l’amore della comunità cristiana.

E circa il “dopo” troverà davvero, molto di più di quanto ha lasciato. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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