Culto domenicale:
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Domenica, 14 Settembre 2014 11:15

Sermone di domenica 14 settembre 2014 (Marco 7,14-23)

Testo della predicazione: Marco 7,14-23

Poi, chiamata la folla a sé, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete: non c'è nulla fuori dell'uomo che entrando in lui possa contaminarlo; sono le cose che escono dall'uomo quelle che contaminano l'uomo. Se uno ha orecchi per udire oda.» Quando lasciò la folla ed entrò in casa, i suoi discepoli gli chiesero di spiegare quella parabola. Egli disse loro: «Neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che dal di fuori entra nell'uomo non lo può contaminare, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e se ne va nella latrina?» Così dicendo, dichiarava puri tutti i cibi. Diceva inoltre: «È quello che esce dall'uomo che contamina l'uomo; perché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, frode, lascivia, sguardo invidioso, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono dal di dentro e contaminano l'uomo».

Sermone

«Noi siamo quello che mangiamo» è un frase che sicuramente tutti abbiamo sentito almeno una volta nella vita. Non ne sono certo, ma credo che questo modo di dire riprenda (in modo del tutto improprio) una citazione del filosofo tedesco Feuerbach che diceva:  «l'uomo è ciò che mangia».

Premetto che, chi vi parla non è certo una persona che disdegna il buon cibo e il buon vino, tutt'altro, fidatevi... Ma è anche una persona figlia dei suoi tempi, una persona che, tra le altre cose, si trova ad osservare (a volte con divertito stupore, altre volte con una certa preoccupazione) al rapporto tra uomo e alimentazione così come si va delineando negli ultimissimi anni. Perché non è forse vero che oggi, nella nostra società, possiamo parlare di una vera e propria ossessione collettiva per il cibo? Ci basta accendere la TV, dove tutto è un florilegio di programmi (reality o meno che siano) dedicati alla cucina e al mangiare; oppure collegarsi alla rete, dove sui social network migliaia di persone postano foto dei piatti che hanno appena cucinato o che si accingono a mangiare al ristorante. In inglese questo tipo di comportamento maniacale è stato anche chiamato "Food Porn", pornografia alimentare.  A questa ossessione contemporanea per il cibo però, ne corrisponde, in modo speculare e schizofrenico, un'altra: quella per la salute fisica.

Quando parlo di ossessione per la salute, si badi, non intendo il sacrosanto diritto di ogni uomo e di ogni donna a curarsi come crede e a scegliere ciò di cui si nutre.   (Anche se dovremmo renderci sempre conto e ringraziare Dio per  l'opportunità che abbiamo di poter compiere questo tipo di scelte. Naturalmente non posso dirlo con certezza assoluta, ma ad occhio e croce dubito che nel Burkina Faso abbondino i ristoranti vegani o i mercatini "bio"..).

E ancora, c'è un altro dato scientifico molto significativo sul rapporto tra essere umano e cibo nelle società del consumo, società che (crisi o non crisi) hanno ampiamente superato la necessità di una alimentazione di sussistenza: questo dato è l'aumento statistico delle più varie intolleranze e allergie, nonché di patologie molto più serie legate all'alimentazione.

No, quando vi parlo di ossessione per la salute, intendo quella vaga e fumosa idea di "benessere ad ogni costo" da cui siamo volenti o nolenti bombardati. Ma se dietro questa affannosa ricerca di un precario, se non impossibile, equilibrio tra gusto e salute, tra piacere e benessere si nascondesse invece qualcos'altro? Forse un inconscio e incontrollabile desiderio di catarsi, di "purezza"?

Questa è forse anche la grande domanda che pone il brano evangelico odierno: Anche se con alle spalle motivazioni profondamente diverse tra la nostra società e quella giudaica di duemila anni fa, cosa c'è davvero dietro questa ricerca di "purezza" in ciò che mangiamo?

Gesù, quel Gesù che d'altronde è tacciato a più riprese di essere "un mangione e un beone", sembra affermare l'esatto contrario di ciò che è stato detto fino ad ora, ossia che noi "non siamo quello che mangiamo", l'abbiamo sentito poco fa: " Non capite che tutto ciò che dal di fuori entra nell'uomo non lo può contaminare, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e se ne va nella latrina?» Così dicendo, dichiarava puri tutti i cibi."

È sicuramente una metafora forte questa della latrina, forse una delle più "sgradevoli" tra quelle presenti nei vangeli. Per comprendere quest'immagine, come spesso succede con la Scrittura, ci tocca forse fare un passo indietro per farne due in avanti: il rapporto tra cibo e Bibbia ha una lunga, lunghissima storia; una storia che finisce poco dopo una cena (una Santa Cena) e che parte da un frutto, il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male; questa storia prosegue con la maledizione del suolo che l'uomo coltiverà: "...mangerai l'erba dei campi. Mangerai il pane con il sudore del tuo volto..."  (Gen 2). Dopodiché il rapporto tra uomo e cibo si regolamenta, o meglio, è regolamentato, "cristallizzato" da Dio stesso in molte delle leggi cultuali e rituali contenute nei libri dell'Esodo e  del Levitico, dove è sempre ben chiara la distinzione tra cibo"puro" e cibo "impuro". E questa rigida forma mentis farisaica implicitamente suddivideva anche tutto Israele in uomini "puri" e uomini "impuri". Quelle di Gesù sono parole davvero "pericolose" e "sovversive", poiché, destituendo di valore le prescrizioni alimentari, viene minata alle fondamenta l'identità collettiva d'Israele e la distinzione, allora essenziale, tra giudei e pagani. Tant'è vero che la folla rimane muta (forse ammutolita) di fronte a queste parole, e anche i discepoli sembrano "spiazzati", visto che gli chiedono spiegazioni.

Se provassimo a visualizzare mentalmente il passaggio che abbiamo letto, ci renderemmo subito conto che tutto il brano è attraversato da continui movimenti. Il movimento della "folla" innanzitutto, prima convocata e poi congedata. E ancora, un movimento che va da uno spazio aperto a uno spazio delimitato da quattro mura come quello di una casa. Un movimento quindi dall'esterno verso l'interno.

Questo tipo di movimento è importante perché rispecchia in modo molto fedele la dinamica che compiono le parole di Gesù, che, nella seconda parte del nostro brano, si spinge (e ci spinge) oltre, come verso il superamento di nuove barriere. Queste barriere sono i muri che pretendono di separare ciò che è sacro da ciò che è profano mediante codificazioni rituali, tradizioni o abitudini. Questi muri però non sono stati stabiliti da Dio, ma eretti dagli esseri umani stessi. Non esiste una dicotomia, uno strappo, tra il rapporto che l'uomo ha con il mondo creato e quello che può avere con Dio, il Creatore. Infatti nulla di ciò che è creato è indifferente al Signore: "Dio vide che questo era buono", come è ripetuto più volte in Gen 1.

L'impurità è la rottura dell'uomo con l'armonia di Dio, nient'altro.

Ora torniamo di nuovo a quell'idea di movimento che dicevamo prima, questa oscillazione continua tra esterno ed interno: "È quello che esce dall'uomo che contamina l'uomo perché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri...". Il "cuore" secondo l'antropologia ebraica era la sede del pensiero e della volontà. Ci dice Gesù che il ventre, l'apparato digestivo, é "innocuo", poiché espelle tutto ciò che non è necessario dei cibi; é invece il cuore, la parte più intima dell'essere umano ad essere la sorgente delle "cose cattive" che "escono dal di dentro e lo contaminano", e lo contaminano perché evidentemente tornano all'uomo stesso e a chi lo circonda, al suo prossimo.

Ciò che allontana l'uomo da Dio non è esterno all'uomo, ma è dentro l'uomo. Il mondo esterno, profano, non è nemico dell'essere umano né rappresenta un pericolo, l'unico vero pericolo per l'uomo è l'uomo stesso.

Soffermiamoci un attimo su questa idea: che l'unico vero pericolo, l'unica vera sorgente di impurità, sia l'uomo stesso, ciò che alberga nel suo cuore.

Nella storia del cristianesimo sono stati spesi fiumi d'inchiostro sull'idea di "peccato originale", che Agostino d'Ippona intendeva come una sorta di malattia ereditaria; e in quanto a "pessimismo antropologico" anche Lutero mica scherzava, non a caso era un monaco agostiniano...

(Che poi, passatemi la battuta, l'espressione "peccato originale", almeno in italiano, può anche dare adito a qualche fraintendimento, i nostri peccati di uomini e di donne in fondo non sono affatto originali, anzi, sono proprio banali, nascono sempre dalle stesse due o tre cose...)

Scherzi a parte, non voglio addentrarmi troppo nella querelle teologica sul peccato originale, ma credo che chiunque di noi che abbia un minimo di onestà intellettuale e morale non possa ogni tanto rimanere pietrificato nello scoprire quanta malvagità possa albergare nel cuore di un uomo o di una donna...

Ora, fratelli e sorelle, vorrei farvi una domanda a bruciapelo: nel momento in cui, pochi secondi fa, vi ho parlato della malvagità che può albergare nel cuore di un uomo o di una donna, qualcuno di voi  ha forse pensato a se stesso o a se stessa?

Sia chiaro, io per primo non lo avrei fatto, ma alla mia domanda non avete piuttosto pensato a una notizia di cronaca che avete letto da poco? Non so, ad esempio, alle atrocità compiute dal cosiddetto Stato Islamico? Oppure a un evento o a un personaggio della storia più o meno recente, o a un conoscente di cui avete come minimo scarsa stima? Almeno istintivamente, non pensiamo sempre tutti che il male si trovi al di fuori di noi? Qualcosa, o qualcuno, che dall'esterno mette in crisi e minaccia le nostre esistenze? Alcune fiabe napoletane parlano del "Mammone", il corrispettivo dell'Uomo Nero... E quante volte proiettiamo nel male che gli altri compiono anche il nostro male interiore, in una sorta di, per l'appunto, rito di purificazione? Di quanti capri espiatori avremo bisogno nelle nostre vite e nella storia dell'umanità?

E se provassimo a fare questo viaggio alle "radici del male" nella direzione opposta? Dall'esterno all'interno...

Cosa dovrebbe portare con sé, cosa dovrebbe "mettere in valigia" chi affronta questo percorso? Può un uomo o una donna affrontare il male dentro di sé senza rimanere intrappolato dalle sue stesse paure, dalle sue ossessioni, dalle sue idiosincrasie, e quindi proprio da se stesso? Perché forse è anche la paura del male che ognuno di noi porta nel suo cuore a farci temere il cuore degli altri, del nostro prossimo. Ma poi, è davvero possibile per un essere umano uscire da se stesso, affrontare questo viaggio con le sue sole forze? No, io non credo sia possibile.

Ma forse tutto ciò diventa possibile se, prima di guardare dentro noi stessi, noi siamo stati a nostra volta "guardati" da Dio nella sua misericordia. Tutto ciò diventa possibile  dopo il dono della sua Grazia, nell'incontro con l'Altro da noi al di fuori di noi, nella fede in Cristo, figlio dell'uomo, figlio e agnello di Dio. Solo allora potremo tornare dentro di noi e trovare il coraggio, un "santo" coraggio, quello di guardare in faccia tutte le umane miserie che albergano nel nostro cuore senza esserne schiacciati; solo allora saremo finalmente affrancati da noi stessi, responsabili e senza paura di ciò che o di chi ci circonda, semplicemente liberi di amare perché a nostra volta infinitamente amati dal Signore nostro Dio, in fondo nessuno può amare davvero se non è mai stato davvero amato. Amen.

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