Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti
Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50
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Leggiamo Matteo 5,1-2. Sia Matteo che Luca tendono a sottolineare che sul "monte" Gesù si rivolge a tutti, si tratta cioè di un discorso rivolto a tutto il popolo e non solo ai discepoli (Matteo 5,1a; 7,28).
In Luca 6,20 Gesù parla ai discepoli in seconda persona plurale:
«Beati voi che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro».
In Matteo, invece, Gesù parla in terza persona:
«Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli» (Matteo 5,3).
La folla assiste al discorso. L'idea è che il Sermone non è rivolto a una stretta categoria di persone rivestite di particolare responsabilità nella chiesa: il Sermone di Gesù si rivolge a tutta la chiesa che legge il Vangelo. È come se la chiesa fosse presente sul Monte, nella moltitudine che segue Gesù. Le parole del versetto 1b provengono probabilmente dalla Fonte “Q”, una fonte precedente i quattro Vangeli, conosciuta da Matteo e Luca.
È vero che è dal discepolo di Gesù che si esige una giustizia superiore di quella degli Scribi e dei Farisei, ma chi è per Matteo il discepolo di Gesù se non colui che si lascia chiamare a Dio da Gesù Cristo?
Dunque Matteo rivolge il Sermone sul monte di Gesù dapprima alla sua comunità e poi a tutti gli uomini e le donne.
Leggiamo Matteo 5,3-12 Le beatitudini non sono caratteristiche del Sermone sul Monte di Gesù infatti, anche l'antico Testamento ne contiene alcune.
Nella prima beatitudine "Beati i poveri" avevamo riscontrato che il termine "poveri" non viene mai adoperato in senso esclusivamente metaforico, senza alcun riferimento alla condizione sociale. In Isaia 61,1 e 66,2 «povero» è abbinato a «dal cuore rotto» e «dallo spirito contrito». Matteo interpreta così il povero: "il curvato", colui cioè che non si erge orgogliosamente davanti a Dio.
Il termine "povero" nel giudaismo era diventato una sorta di termine onorifico del giusto. Nella comunità monastica di Qumran troviamo una formulazione come quella di Matteo: «Poveri di spirito»: si tratta di quelli che conoscono Dio, dei giusti la cui condotta è "perfetta".
L'annuncio originario di Gesù è indirizzato semplicemente ai «poveri». La salvezza è annunciata a tutti i poveri. Per tutti loro, Dio è presente, è dalla parte del misero, Dio sostiene la causa dei deboli; a loro appartiene il regno di Dio.
v. 4: «Beati quelli che fanno cordoglio perché saranno consolati».
Luca in 6,21b riporta: «Beati voi che ora piangete, perché riderete».
Matteo interpreta la versione di Luca e attinge da Isaia 61,1-2:
«Lo Spirito del Signore, di Dio, è su di me, perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l'apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l'anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti».
v. 6: «Beati quelli che sono affamati e assetati della giustizia, perché saranno saziati».
In Luca 6,21 sono detti beati quelli che hanno fame, e viene loro promesso che saranno saziati.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.
Che Matteo parli insieme di «affamati e assetati», come in certi passi dell'Antico Testamento, non è determinante; lo è invece la sua precisazione: «della giustizia». Il termine “giustizia”, in Marco è del tutto assente, mentre ricorre in Matteo sette volte, e in Luca lo si trova una volta sola (1,75), all'interno di un inno di forte impronta veterotestamentaria.
Egli usa così misericordia verso i nostri padri e si ricorda del suo santo patto, del giuramento che fece ad Abraamo nostro padre, di concederci che, liberati dalla mano dei nostri nemici, lo serviamo senza paura, in santità e giustizia, alla sua presenza, tutti i giorni della nostra vita. (Luca 1,72-75)
Vi sono dunque buone ragioni per ritenere che questa espressione sia un'aggiunta propria di Matteo. Già nell'Antico Testamento si fa volentieri ricorso alle immagini della fame e della sete per significare il desiderio della Parola di Dio (Amos 8,11).
v. 8: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
Chi sono i «puri di cuore» che Gesù dichiara «beati»? In tanti brani del Nuovo Testamento si parla di coloro che sono semplici, cioè che non sono dediti a calcoli e a pensieri oscuri; che sono sinceri, cioè che non conoscono infingimenti e ipocrisie; che sono leali, cioè che non ricorrono a raggiri o furbizie; che sono chiari e trasparenti, cioè che possono essere esaminati alla luce del sole mostrando tutta la loro chiarezza cristallina. Si tratta di coloro che mantengono questo stesso atteggiamento in ogni circostanza: quando parlano, dicono solo: «Sì, sì; no, no» (Mt. 5,37); quando guardano, il loro occhio rimane limpido, non ottenebrato da cattivi pensieri, sia nei confronti della donna (Mt. 5,28), sia nei confronti del denaro e delle ricchezze (Mt. 6,19-22). Ovviamente, puri di cuore sono anche coloro che non hanno la coscienza sporca, che sono senza macchia, irreprensibili e integri (Fil. 2,15); coloro che hanno non solo il cuore pulito, ma anche le mani pulite (Giac. 4,8).
Questo concetto di lealtà, di chiarezza, di sincerità e di semplicità è chiamato da Matteo «purezza di cuore», con un'espressione tratta dall'Antico Testamento. Infatti, nel Salmo 51,10 troviamo l'invocazione:
«O Dio, crea in me un cuore puro».
Nel Salmo 24,3-5 la purezza di cuore è un requisito essenziale per avere accesso al santuario del Signore.
Chi salirà al monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?
L'uomo innocente di mani e puro di cuore, che non eleva l'animo a vanità
e non giura con il proposito di ingannare.
Egli riceverà benedizione dal Signore, giustizia dal Dio della sua salvezza.
L'uomo puro di cuore è colui che non eleva l'animo a vanità o, secondo la TIILC, che non serve la menzogna, e che non giura con il proposito di ingannare. In maniera ben più radicale, il profeta Geremia parla addirittura di circoncisione dei cuori (Ger. 4,4).
v. 10: «Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il Regno dei cieli».
La beatitudine dei perseguitati fa un effetto di forte contrasto con le tre beatitudini precedenti che introducevano il tema della pace e dei figli di Dio. Essa ci ricorda che, per i discepoli di Gesù, la via della pace e della gloria è la via della croce e del martirio.
I discepoli si trovano ad avere così una profonda consapevolezza circa il loro destino, che va nella stessa linea dei giusti sofferenti le cui espressioni di dolore e di fiducia tornano molto frequentemente nei Salmi. Sono i fratelli di quei poveri, di quegli afflitti, di quegli affamati che abbiamo trovato nelle beatitudini del primo gruppo, ma con un riferimento più preciso. Questa beatitudine è comune, in parte anche a Luca, e si conclude con la stessa promessa della prima beatitudine “beati i poveri in spirito”. Questa beatitudine chiude la serie, come fa anche Luca, ripetendo la promessa della prima, vi è quindi un ritorno all'inizio.
Beati i perseguitati per motivo di giustizia: il testo greco ha il participio perfetto che significa letteralmente «quelli che sono stati e che ancora sono perseguitati». Non sappiamo perché Matteo usi il participio perfetto invece del participio presente. Ma nell'uso comune, il participio non ha tempo. Il verbo diwkw (diòko) ha il senso generale di perseguire un fine, e cioè
Che diremo dunque? Diremo che degli stranieri, i quali non ricercavano la giustizia, hanno conseguito la giustizia, però la giustizia che deriva dalla fede; mentre Israele, che ricercava una legge di giustizia, non ha raggiunto questa legge.
Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione.
Desiderate ardentemente l'amore, non tralasciando però di ricercare i doni spirituali, principalmente il dono di profezia.
12Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù. 13Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, 14corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù.
Osservazioni conclusive
Le beatitudini sono riportate solo in Matteo e in Luca e contengono delle differenze sostanziali. Sono diverse anche di numero, diverse anche in parte per l'accentuazione, esse hanno, tuttavia, un significato comune.
Differenza
Le beatitudini di Matteo sottolineano il significato escatologico di queste sentenze, mentre quelle di Luca sembrano dar maggior enfasi alla qualità delle persone che Gesù dichiara beate e che sono anche l'oggetto delle beatitudini di Luca.
Questa differenza di enfasi, più che di significato, è espressa in una parola, ripetuta con insistenza nelle une e nelle altre: per le beatitudini di Luca l'avverbio «ora», è ripetuto quattro volte, in due beatitudini e in due «guai» (vv. 21 e 25): esso sottolinea l'urgenza della decisione, il valore dell'ora in cui Gesù appare e annuncia l'Evangelo del Regno, la contrapposizione del mondo che passa e di quello che viene.
Altrettanto caratteristica, nell'altro senso, è in Matteo la ripetizione del pronome autoi «autoí»: «Beati i poveri in spirito», ecc... perché ESSI, proprio loro, saranno saziati, ecc. Questo «autoí» scandisce enfaticamente tutte le sentenze, ad eccezione, forse, di quella dei facitori di pace (v. 9), ove, per pure ragioni testuali, l'«autoì» è incerto. È chiaro che Matteo vuole che si rifletta che proprio queste categorie di persone sono quelle cui è promessa la consolazione e la grande allegrezza del Regno dei cieli.
Questa accentuazione può dipendere dal fatto che in Matteo le beatitudini sono rivolte alla Chiesa, nel quadro della istruzione catechetica. Esse esprimono energicamente il rovesciamento dei valori operato dall'annuncio del Regno. Nei confronti del Regno che viene, non saranno avvantaggiati i ricchi, i potenti, i soddisfatti, i duri, gli audaci, ma i poveri nell'animo, i mansueti, i misericordiosi, i cuori trasparenti e sinceri, i riconciliatori... cioè proprio quelle categorie di persone che sono regolarmente perdenti nella vita e nella corsa al successo, alla ricchezza, al potere.
Proprio costoro, e non gli altri, si trovano in una situazione di privilegio nei confronti del Regno. E nei loro confronti, la grande espressione «il Regno dei cieli» è la pienezza positiva di ciò che a loro manca: è ciò che li attende, è l'eredità dei poveri, è la consolazione degli afflitti, è la misericordia divina assicurata ai misericordiosi, è la visione di Dio per i cuori sinceri, la gloriosa dichiarazione di filialità divina per i facitori di pace, il dominio con Dio per i perseguitati ed oltraggiati!