Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

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Lezione 2

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Nella prima beatitudine "Beati i poveri" avevamo riscontrato che il termine "poveri" non viene mai adoperato in senso esclusivamente metaforico, senza alcun riferimento alla condizione sociale. In Isaia 61,1 e 66,2 «povero» è abbinato a «dal cuore rotto» e «dallo spirito contrito». Matteo interpreta così il povero: "il curvato", colui cioè che non si erge orgogliosamente davanti a Dio.

Il termine "povero" nel giudaismo era diventato una sorta di termine onorifico del giusto. Nella comunità monastica di Qumran troviamo una formulazione come quella di Matteo: «Poveri di spirito»: si tratta di quelli che conoscono Dio, dei giusti la cui condotta è "perfetta".

L'annuncio originario di Gesù è indirizzato semplicemente ai «poveri». La salvezza è annunciata a tutti i poveri. Per tutti loro, Dio è presente, è dalla parte del misero, Dio sostiene la causa dei deboli; a loro appartiene il regno di Dio.

v. 4: «Beati quelli che fanno cordoglio perché saranno consolati».

Luca in 6,21b riporta: «Beati voi che ora piangete, perché riderete».

Matteo interpreta la versione di Luca e attinge da Isaia 61,1-2:

«Lo Spirito del Signore, di Dio, è su di me, perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l'apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l'anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti».

Fare cordoglio è inteso nel senso di piangere, essere nel lutto. Nell'A.T. è presente questo concetto, in particolare nel periodo dell'esilio, là è presente questo concetto di afflizione, del dolore di Israele.

«...per dare agli afflitti di Sion un diadema invece di cenere, olio di gioia invece di dolore, il mantello di lode invece di uno spirito abbattuto, affinché siano chiamati terebinti di giustizia, la piantagione del Signore per mostrare la sua gloria. Essi ricostruiranno sulle antiche rovine, rialzeranno i luoghi desolati nel passato, rinnoveranno le città devastate, i luoghi desolati delle trascorse generazioni» (Isaia 61,3).

Non si tratta solo di un dolore personale, privato, ma della sofferenza dei credenti che vedono ostacolata l'opera di Dio a causa del male e delle violenze della vita. La consolazione può venire solo da Dio, dalla certezza che egli è all'opera. La consolazione consiste nel fatto che Gesù è presente, il Regno è giunto (il titolo del Messia era anche «Consolatore») perciò i motivi di afflizione diventano secondari.

«Quelli che seminano con lacrime, mieteranno con canti di gioia» (Salmo 126,5).

È probabile che si tratti di coloro che fanno lamento a causa delle sofferenze. Si afferma che Dio è là dove più che mai si avverte il bisogno della sua presenza.

Il concetto di Matteo è forse chiarito in 9,15:

Gesù disse loro: «Possono gli amici dello sposo far cordoglio finché lo sposo è con loro? Ma verranno i giorni che lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno.

Solo in presenza di Gesù si può affermare che il cordoglio ha fine. Gesù, come fa Giovanni in cui si appropria del nome di Dio (Io sono), qui è colui che consola come faceva Dio nell'A.T.:

Isaia 49,13

Esultate, cieli, e tu, terra, festeggia! Prorompete in grida di gioia, monti, poiché il Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi afflitti.

 

Isaia 51,13

Io sono colui che vi consola!

 

Isaia 66,13

Come un uomo cui sua madre consola, così io consolerò voi

In realtà, la frase «Beati quelli che fanno cordoglio perché saranno consolati» è una promessa a chi attende consolazione. Qui, Gesù annuncia che Dio si fa veramente realtà qui e ora, questo attendevano i profeti, da parte di Dio, negli «ultimi tempi».

Ma Luca e Matteo si espongono a due rischi opposti. Infatti, Luca scrive «Beati voi che ora piangete, perché riderete» come per sottolineare un principio universalmente valido: quello della compensazione di ogni sofferenza terrena con un premio nell'aldilà.

Matteo invece si espone al rischio per cui l’essere umano sembra debba mostrarsi degno della salvezza.

v. 5: «Beati i mansueti perché erediteranno la terra».

Il terzo detto si riferisce ai «mansueti». Anche il mondo greco esalta la mitezza del saggio e del sovrano. La mitezza è ciò che «rende veramente l'uomo simile a un dio» dice Platone a proposito di Socrate. Gli scrittori giudei di cultura greca, Filone e Giuseppe Flavio, riprendono questo concetto; anche in Palestina circolavano degli aneddoti che descrivono la mitezza di rabbi Hillel (di poco anteriore a Gesù).

L'atteggiamento di cui parla Gesù non equivale, tuttavia, alla saggezza di un filosofo o di un sovrano. Nel linguaggio di Gesù, il termine «mansueto» è sostanzialmente «umile», «misero», e forse la traduzione migliore che se ne può dare è: «debole». Non ha comunque nulla a che fare con l'apatia: questi deboli un giorno possederanno la terra!

Il termine si trova solo in Matteo (11,29; 21,5, riferito a Gesù) e in 1 Pietro 3,4. Matteo vede dunque in Gesù l'autentico modello di questa «mansuetudine».

«Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore». (Matteo 11,29)

«Dite alla figlia di Sion: "Ecco il tuo re viene a te, mansueto e montato sopra un'asina, e un asinello, puledro d'asina"». (Matteo 21,5)

Tutto ciò implica allora che i poveri e gli afflitti delle prime due beatitudini, si presentino come coloro che ripongono in Dio ogni speranza, vale a dire come i deboli che non si credono superiori agli altri, ma sono invece pronti a servire.

Il detto contiene dunque un ammonimento per la comunità: la sua vita si conformi alla predicazione di Gesù.

…erediteranno la terra

Nell'Antico Testamento, la promessa relativa al possesso della terra è stata riferita dapprima al paese di Canaan (Gen. 17,8), e poi a tutta quanta la terra, che diventerà, un giorno, luogo del regno di Dio.

Stabilirò il mio patto fra me e te e i tuoi discendenti dopo di te, di generazione in generazione; sarà un patto eterno per il quale io sarò il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te.
A te e alla tua discendenza dopo di te darò il paese dove abiti come straniero: tutto il paese di Canaan, in possesso perenne; e sarò loro Dio»
(Genesi 17, 7-8).

Così anche Giacomo 2,5-7:

5«Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?». 6Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi quelli che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? 7Non sono essi quelli che bestemmiano il buon nome che è stato invocato su di voi?

Tale concezione è contenuta nel Salmo 115,16:

«Il cielo è la dimora di Dio, mentre la terra è data agli uomini».

Di qui si sono sviluppate le attese escatologiche di Israele: da un lato, si attende un regno terreno in cui regnerà Dio stesso e tutti i popoli serviranno Israele o ne verranno inglobati. Non si tratta della realizzazione di sogni politici, ma di un mondo trasformato da Dio, e un mondo «nuovo».

Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra; non ci si ricorderà più delle cose di prima; esse non torneranno più in memoria (Isaia 65,17).

«Infatti come i nuovi cieli e la nuova terra che io sto per creare rimarranno stabili davanti a me», dice il Signore, così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome» (Isaia 66,22).

Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia (II Pietro 3,13).

Dall'altro lato, si pensa a un'assunzione in cielo, come era capitato già ad Enoc e ad Elia. Le due concezioni esprimono qualcosa di essenziale al pensiero biblico: da una parte, il futuro portato avanti da Dio non sarà una smentita della sua creazione; ciò che egli ha creato, e ciò che ha fatto accadere nella storia, lo porta fino alla meta. Dall'altra, questo non è il risultato di sforzi umani e di processi storici, ma è, in tutto e per tutto, opera di Dio.

Ciò implica che tanto l'Antico quanto il Nuovo Testamento, che attendono da Dio il compimento finale, parlano del realizzarsi di questa speranza sulla terra. Per questo il nostro Vangelo di Matteo termina con il riferimento alla potestà data a Gesù «in cielo e sulla terra» (28,18), ed è proprio la comunità di Matteo a pregare che la volontà di Dio sia fatta «anche in terra com'è fatta nel cielo» (6,10).

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

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