Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

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Lezione 6

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Osservazioni conclusive

Le beatitudini sono riportate solo in Matteo e in Luca e contengono delle differenze sostanziali. Sono diverse anche di numero, diverse anche in parte per l'accentuazione, esse hanno, tuttavia, un significato comune.

Differenza

Le beatitudini di Matteo sottolineano il significato escatologico di queste sentenze, mentre quelle di Luca sembrano dar maggior enfasi alla qualità delle persone che Gesù dichiara beate e che sono anche l'oggetto delle beatitudini di Luca.

Questa differenza di enfasi, più che di significato, è espressa in una parola, ripetuta con insistenza nelle une e nelle altre: per le beatitudini di Luca l'avverbio «ora», è ripetuto quattro volte, in due beatitudini e in due «guai» (vv. 21 e 25): esso sottolinea l'urgenza della decisione, il valore dell'ora in cui Gesù appare e annuncia l'Evangelo del Regno, la contrapposizione del mondo che passa e di quello che viene.

Altrettanto caratteristica, nell'altro senso, è in Matteo la ripetizione del pronome autoi «autoí»: «Beati i poveri in spirito», ecc... perché ESSI, proprio loro, saranno saziati, ecc. Questo «autoí» scandisce enfaticamente tutte le sentenze, ad eccezione, forse, di quella dei facitori di pace (v. 9), ove, per pure ragioni testuali, l'«autoì» è incerto. È chiaro che Matteo vuole che si rifletta che proprio queste categorie di persone sono quelle cui è promessa la consolazione e la grande allegrezza del Regno dei cieli.

Questa accentuazione può dipendere dal fatto che in Matteo le beatitudini sono rivolte alla Chiesa, nel quadro della istruzione catechetica. Esse esprimono energicamente il rovesciamento dei valori operato dall'annuncio del Regno. Nei confronti del Regno che viene, non saranno avvantaggiati i ricchi, i potenti, i soddisfatti, i duri, gli audaci, ma i poveri nell'animo, i mansueti, i misericordiosi, i cuori trasparenti e sinceri, i riconciliatori... cioè proprio quelle categorie di persone che sono regolarmente perdenti nella vita e nella corsa al successo, alla ricchezza, al potere.

Proprio costoro, e non gli altri, si trovano in una situazione di privilegio nei confronti del Regno. E nei loro confronti, la grande espressione «il Regno dei cieli» è la pienezza positiva di ciò che a loro manca: è ciò che li attende, è l'eredità dei poveri, è la consolazione degli afflitti, è la misericordia divina assicurata ai misericordiosi, è la visione di Dio per i cuori sinceri, la gloriosa dichiarazione di filialità divina per i facitori di pace, il dominio con Dio per i perseguitati ed oltraggiati!

Queste promesse riassumono quella che è sempre stata, soprattutto in tempi di crisi, la speranza di Israele. Si tratta di una promessa che riceve un senso particolare proprio dal fatto di essere rivolta a queste persone e non ad altre. Nella meditazione cristiana, attraverso i secoli, è soprattutto questo aspetto delle beatitudini che è stato una fonte inesauribile di incoraggiamento.

La speranza del Regno si è affermata poi come speranza della vita celeste, e nel frattempo come vita nella comunione di Cristo nella Chiesa: ma in tutti i secoli quella speranza è rimasta strettamente unita alla descrizione di questi poveri, di questi miti, di questi puri, di questi facitori di pace.

Quale incalcolabile valore abbia avuto questa concezione per l'etica cristiana è noto: i «valori cristiani» sono e rimarranno sempre quelli personificati in questo gruppo ideale di fedeli aspettanti e speranti.

L'espressione Regno dei cieli era ben conosciuta nel tardo Giudaismo, anche se non assume una posizione centrale come nell'Evangelo. Il termine malkút sámaim designa esattamente il regnare di Dio, la sua autorità sovrana: la regalità di Dio. Questa è una realtà presente, connessa con la gloria del Creatore. Essa è celebrata dai Salmi di «intronizzazione», che celebrano per ogni anno nuovo il rinnovarsi dell'autorità regale del Creatore (93-99).

Ma il termine malkút sámaim non è usato per designare una realtà futura: il termine per essa è piuttosto ha-'ólam habba', il secolo veniente: e i due concetti rimangono distinti.

L'annunzio del Regno di Dio, nella predicazione di Gesù, unisce invece questi due concetti: viene ed è oramai imminente il secolo futuro, e in esso la «regalità di Dio» sarà pienamente riconosciuta.

Ma il concetto stesso di quella venuta si allarga, i nemici di Dio non sono soltanto quelli di Israele, e il Regno veniente non sarà la restaurazione di Israele. La situazione anormale, nella quale Dio sta per trionfare, coinvolge il mondo intero, compreso Israele; la restaurazione della sovranità di Dio è la salvezza del mondo. A questa si connette, però, anche una migliore conoscenza della legge di Dio, quale la definirà il Sermone sul monte.

Insomma, il contenuto etico della malkút sàmaim rimane al centro della predicazione di Gesù, e contribuisce, per la sua parte, a definire il concetto del Regno stesso. In questo senso le beatitudini di Matteo, con il loro insistente «autoí», sono un aspetto necessario della definizione stessa del Regno di Dio.

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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