Culto domenicale:
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Il Dio della Bibbia e la violenza

Il Dio della Bibbia e la violenza

In gran parte della Bibbia domina il tema della violenza. Uno studioso dell'Antico testamento arrivò alla seguente conclusione: 

«Nessun'altra attività o esperienza umana è menzionata così spesso come la violenza, né nel mondo del lavoro e dell'economia, né in quello della famiglia e della sessualità o della natura e della scienza».

Marcione, il primo grande eretico della storia della chiesa, aveva detto che il Dio di Gesù e dei Vangeli sarebbe un Dio nuovo, diverso da quello che compare nell'Antico Testamento, dal momento che quest'ultimo è un desposta, eccitato, selvaggio, bellicoso, violento e iroso. Perciò Marcione aveva escluso l'Antico Testamento dalla Sacra Scrittura. Ma la chiesa ufficiale non accolse questa opinione e preferì allontanarlo dal proprio ambito.

Fin dalle prime pagine dell'Antico Testamento, si fa menzione di guerre e di atti di violenza. Caino uccide Abele suo fratello: la storia umana inizia così con un atto di violenza. Mosè uccide un funzionario egiziano: anche la storia di liberazione d'Israele dalla schiavitù in Egitto inizia con un atto di violenza.

Guerre e atti di violenza accompagnano la storia d'Israele: dalla conquista della terra promessa di Giosuè e poi Davide fino alla guerra di liberazione del II secolo a.C. per opera dei Maccabei.

Tante volte, c'è chi fa riferimento a questi testi per accusare l'Antico Testamento di essere sanguinario, oppure per giustificare i propri atti di violenza. In realtà, rimane il problema di come spiegare la violenza biblica. Negare o rimuovere questo problema sarebbe un errore. 

Nel ricostruire gli elementi che strutturano la guerra santa, il teologo Gerard von Rad ha scoperto che questi elementi sono ricorrenti nelle guerre riportate dai libri di Giosuè, Giudici e I Samuele e che hanno uno svolgimento stereotipato, fisso.

Si inizia con la chiamata alle armi. I guerrieri osservano quindi le prescrizioni: praticano l'astinenza sessuale, fanno voti, si sottomettono al precetto della purezza rituale; anche le armi vengono consacrate. Seguono i sacrifici e la consultazione di Dio: Dio risponde che ha messo il nemico nelle mani d'Israele. La guerra viene definita "guerra del Signore", cioè che Dio combatte per il suo popolo la cui forza non conta. La guerra ha inizio con la "teeah" il «grido di guerra» il cui segnale veniva dato dallo "šôpâr", un corno d'ariete. I nemici sono allora assaliti dal terrore di Dio, la vittoria d'Israele è garantita. Il bottino viene interdetto (herem) e offerto al Signore, uomini e animali vengono uccisi, l'oro e altro materiale di valore vengono immessi nel tesoro del Signore. Ottenuta la vittoria, l'esercito viene congedato.       

Giosuè 6,2

E il Signore disse a Giosuè: «Vedi, io do in tua mano Gerico, il suo re, i suoi prodi guerrieri». 

Giosuè 10,12-15

 Allora Giosuè parlò al Signore, il giorno che il Signore diede gli Amorei in mano ai figli d'Israele, e disse in presenza d'Israele: «Sole, fermati su Gabaon, e tu, luna, sulla valle d'Aialon!» E il sole si fermò, e la luna rimase al suo posto, finché la nazione si fu vendicata dei suoi nemici.

Questo non sta forse scritto nel libro del Giusto?

Un nemico comune per rinsaldare i propri valori 

La violenza di una società contro le minoranze, gli emarginati, i «diversi», affonda spesso le sue radici nel bisogno di fondare una propria identità e sicurezza. Qui l'esistenza di persone che pensano e si comportano diversamente può costituire una minaccia per i propri valori, così, per rinsaldare l'unione della maggioranza e rafforzare la validità delle proprie leggi si  discriminano delle minoranze, si escludono gli emarginati e si costruisce un'immagine negativa del «nemico». Contro i nemici veri o presunti si starà «uniti», si starà «insieme» e si «rifletterà sui propri valori ... »

Questo modo di agire, che pone delle barriere e che assicura la propria identità, lo incontriamo spesso anche nella storia, nella letteratura e nella religione dell'antico Israele. La validità delle prescrizioni del culto, delle norme sociali e morali e delle strutture politiche viene spesso motivata col fatto che servono ad assicurare l'identità di Israele. 

Perciò non c'è da meravigliarsi che negli antichi testi veterotestamentari l'emarginato venga spesso considerato come colui che si sottrae alle regole della comunità, che le mette in pericolo e che perciò deve essere respinto o eliminato.

Il Pentateuco è una composizione dove convergono più tradizioni a raccontare i fatti accaduti nella storia d'Israele. Così accade anche per quanto riguarda la composizione di altri libri dell'Antico Testamento. Nel caso nostro della guerra, un esempio può essere quello relativo all'insediamento di Israele nella terra donatagli da Dio, attraverso un'occupazione violenza che, appare come un principio ovvio. Non così per il libro delle Cronache che contraddice questo articolo di fede per mezzo di omissioni e affermazioni positive. Nel Primo libro delle Cronache al cap. 7 è spiegato che Efraim e Manasse, i figli di Giuseppe nati e morti in Egitto, non vissero là, ma nella terra di Canaan e Giosuè stesso dista solo 10 generazioni dai suoi avi. 

7,24Efraim ebbe per figlia Seera, che costruì Bet-Oron, la inferiore e la superiore, e Uzzen-Seera. 25Ebbe ancora per figli: Refa e Resef; tra questi Refa ebbe per figlio Tela, che ebbe per figlio Taan, 26 che ebbe per figlio Ladan, che ebbe per figlio Ammiud, che ebbe per figlio Elisama, 27che ebbe per figlio Nun, che ebbe per figlio Giosuè. 28 Le loro proprietà e abitazioni furono Betel e le città che ne dipendevano: dalla parte d'oriente, Naaran; da occidente, Ghezer con i villaggi vicini, Sichem con le città che ne dipendevano, fino a Gaza con le città che ne dipendevano (I Cronache 7,24-28). 

Lo scopo che intendono raggiungere gli autori del libro delle Cronache è quello di dimostrare che un ingresso violento di Israele nella propria terra non ha mai avuto luogo.

Questo è potuto accadere perché nella Bibbia sono contenute più fonti, cioè diverse tradizioni che hanno raccontato la storia dal proprio punto di vista. Il redattore finale dei testi biblici non ha fatto una scelta, ma ha mantenuto le diverse tradizioni.

Emergono chiaramente tre fonti che prendono i seguenti nomi:

  1. Jahvista (J)
  2. Elohista (E)
  3. Sacerdotale (P) 

Il redattore finale è detto Deuteronomista (Dtr), da cui il libro del Deuteronomio (da deuteros nomos, cioè seconda legge) che, ovviamente, è uno scritto quasi interamente tardivo.

L'Antico Testamento esprime una speranza con le seguenti parole di Isaia: 

Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l'arbitro fra molti popoli;
ed essi trasformeranno le loro spade in vomeri d'aratro,
e le loro lance, in falci;
una nazione non alzerà più la spada contro un'altra,
e non impareranno più la guerra (Isaia 2,4).       

Isaia esprime la sua speranza in un sovrano pacifico e in un periodo di pace. Formulato quasi con le stesse parole, questo versetto lo si trova in Michea, tutti e due parlano di un periodo futuro di pace. 

Egli sarà giudice fra molti popoli,
arbitro fra nazioni potenti e lontane.
Dalle loro spade fabbricheranno vòmeri,
dalle loro lance, ròncole;
una nazione non alzerà più la spada contro l'altra
e non impareranno più la guerra (Michea 4,3). 

Gesù disse in uno dei suoi discorsi all'interno del Sermone sul Monte contenuto nel Vangelo di Matteo: 

«Voi avete udito che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente".

Ma io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra; e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello. Se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due. Dà a chi ti chiede, e a chi desidera un prestito da te, non voltar le spalle» (Matteo 5,38-42).       

I motivi per rinunciare alla violenza possono essere diversi:

  1.       una protesta passiva,
  2.       una neutralità disinteressata,
  3.        una strategia di sopravvivenza. 

Il Nuovo Testamento esprime un imperativo etico che non ha lo spirito delle tre forme esposte. La rinuncia alla violenza non è motivata dall'impotenza, dalla neutralità o dall’istinto di sopravvivenza, ma prende in considerazione l'avversario che pratica la violenza.

Nel Libro del Levitico (19,18) leggiamo un noto versetto:

«Amerai il prossimo tuo come te stesso».

Martin Buber, teologo ebreo, traduce così lo stesso versetto: «Ama il prossimo tuo perché è come te», questo versetto racchiude tutta l'etica della Bibbia ebraica e viene ripreso dal Nuovo Testamento e reso più radicale da Gesù:

«43 Voi avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico".
44Ma io vi dico: amate i vostri nemici, [benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano,] e pregate per quelli [che vi maltrattano e] che vi perseguitano,
45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
46Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani?
47E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto?
48Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» 
(Matteo 5,43-48).

Gesù riprende il comandamento dell'amore riferito nell'Antico Testamento, ma in verità, qui non si trova traccia del comandamento di odiare il nemico. È probabile che Matteo facesse riferimento a quella tradizione morale, che si era affermata presso gli Esseni a Qumran, che comportava l'odio per i nemici. È probabile che si tratti di una deformazione dell'insegnamento dell'Antico Testamento stesso.