Culto domenicale:
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Lezione 7 - Il Nuovo Testamento e la rinuncia alla violenza

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Gesù disse in uno dei suoi discorsi all'interno del Sermone sul Monte contenuto nel Vangelo di Matteo: 

«Voi avete udito che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente".

Ma io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra; e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello. Se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due. Dà a chi ti chiede, e a chi desidera un prestito da te, non voltar le spalle» (Matteo 5,38-42).       

I motivi per rinunciare alla violenza possono essere diversi:

  1.       una protesta passiva,
  2.       una neutralità disinteressata,
  3.        una strategia di sopravvivenza. 

Il Nuovo Testamento esprime un imperativo etico che non ha lo spirito delle tre forme esposte. La rinuncia alla violenza non è motivata dall'impotenza, dalla neutralità o dall’istinto di sopravvivenza, ma prende in considerazione l'avversario che pratica la violenza.

Bisogna condurre l'avversario a modificare il suo agire, il primo passo è quello di interrompere la catena della violenza. L'attenzione del credente è rivolta verso il nemico, verso il suo agire violento. Il credente non rimane indifferente davanti alla violenza, davanti al prossimo e al nemico, a motivo dell'amore. Quindi, la rinuncia alla violenza prende in considerazione il violento che le sta di fronte. 

La rinuncia alla violenza non è sofferenza passiva, ma è una forma d'azione attiva dal momento che il Nuovo Testamento non separa mai la rinuncia alla violenza dall'amore per il nemico.

Per il Nuovo Testamento la rinuncia alla violenza è l'unico mezzo per rompere la catena della violenza e l'unico strumento dell'amore. Ma essa non è soltanto rifiuto della violenza, è anche qualcos'altro: 

«Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini.

Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini.

Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all'ira di Dio; poiché sta scritto: “A me la vendetta; io darò la retribuzione”, dice il Signore.

Anzi, “se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo”.

Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Romani 12,17-21). 

Ecco, la rinuncia alla violenza ha lo scopo di vincerla; nei versetti sopra citati, rimane valida tutta l'aspettativa dell'Antico Testamento relativa alla vittoria sul male e cioè che è Dio stesso colui che può disporre della vendetta o delle guerre, il senso della parole dell'apostolo Paolo è che viene scartata a priori la violenza come comportamento umano o come mezzo per ripristinare una condizione di ingiustizia. L'apostolo presenta allora una via alternativa, una prassi nuova, e cioè di ricambiare il male con il bene!

Per violenza ovviamente si intende non solo quella fisica, ma anche quella psichica, perché è vero anche che un nemico può essere sconfitto psichicamente quando mancano le forze per sconfiggerlo fisicamente oppure economicamente. A volte, il porgere l'altra guancia potrebbe avere l'effetto di violenza psicologica quando c'è orgogliosa sopportazione.

L'esigenza etica della rinuncia alla violenza non mira a discriminare o annientare il nemico, ma ad accoglierlo come uno che non è più nemico. Quando il nemico non è più trattato da nemico, allora perde l’obiettivo da colpire e rinuncia alle armi. 

La manifestazione della sovranità di Dio attraverso la rinuncia alla violenza 

Nella comunità primitiva la rinuncia alla violenza non era soltanto un mezzo per raggiungere un obiettivo, ma essa stessa era già il fine, lo scopo di una vita e una prassi cristiana. Il senso era quello di una comunità fondata sull'amore che, per sua natura, esclude qualunque forma di violenza.

Infatti la chiesa primitiva cercò perfino di superare la società dei padroni e servi proprio perché Gesù aveva detto: 

«Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio» (Giovanni 15,15). 

La rinuncia cristiana alla violenza non può comportare l'approvazione delle strutture esistenti potatrici di violenza; la rinuncia alla violenza non è conciliabile con una società nella quale vi siano padroni e servi.

La violenza va, quindi, superata attraverso la fede in Dio che «ha tratto giù dai troni i potenti e ha innalzato gli umili» (Luca 1,52). 

Rinunciando a continuare la catena della violenza

  • si lotta contro l'ingiustizia,
  • si contesta radicalmente la validità della violenza,
  • si contestano i mezzi usati per assicurare il dominio. 

L'apostolo Paolo riconosce che la debolezza umana ostacola la realizzazione di una convivenza non violenta. Tuttavia anche la parziale realizzazione di una comunità umana senza violenza, fondata sull'amore e sulla solidarietà, contesta già la necessità della violenza e il fatto che la violenza sia considerata come una legge di natura.

Anche la parziale realizzazione di una comunità senza violenza è una manifestazione della definitiva sconfitta della violenza.

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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