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Lezione 1 - La predestinazione nella Bibbia

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Introduzione

La Predestinazione nella Bibbia occupa un posto poco ampio, vi sono allusioni ma non una vera e propria dottrina organicamente elaborata. Nell'Antico Testamento essa è pressoché inesistente, anche nella predicazione profetica; è assente nei Vangeli, ma è sviluppata solo nella predicazione apostolica, in particolare quella dell’apostolo Paolo.

L'elezione di Israele

La coscienza della predestinazione nasce in Israele nel contesto del pensiero dell'elezione. L'elezione è una delle realtà centrali dell'Antico Testamento: Dio ha scelto il popolo di Israele fra gli altri popoli per farne il suo popolo. Questa scelta divina è avvenuta prima ancora della sua esistenza storica nella persona di Abramo e, al momento dell'uscita dall'Egitto, per mezzo di Mosè chiamato da Dio a questa missione.

Non ci sono motivazioni addotte alla scelta di Dio, l'unica è che l'elezione ha come fondamento Dio stesso, la sua sovrana libertà di agire come vuole. 

«Io vi ho amati», dice il Signore; «e voi dite: "In che modo ci hai amati?". Esaù non era forse fratello di Giacobbe?» dice il Signore;eppure io ho amato Giacobbe» (Malachia 1,2).

Nel bene e nel male, Israele ha coscienza della sua elezione. Sa che la sua esistenza dipende da questa libera scelta che Dio ha fatto. Però nell'Antico Testamento, Dio non è presentato come un potere assoluto che decide e impone la sua volontà. Gli scrittori biblici hanno piena coscienza che "elezione" non significa potere, ma amore. Nello scegliere il popolo di Israele come popolo suo, Dio ha voluto esprimere il carattere gratuito della sua misericordia e la sua bontà. Perciò Israele si considera «am Yahweh», cioè popolo di Dio, un popolo santo così come lo definisce Esodo 19,5-6:

«Dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa».

Dunque l'elezione di Israele è in funzione dell'umanità intera, non si tratta di un rinchiudersi nei limiti di un nazionalismo religioso, ma di un segno che Dio pone nella storia in vista delle nazioni. Così Dio stesso affida ad Abramo questa vocazione e missione:

Il Signore  disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò; io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Genesi 12,1-3).

In questo senso, l'essere «am Yahweh», popolo di Dio significa essere suo ebed (suo servo). Israele quindi è il servo del Signore chiamato ad una vocazione.

Israele rifletterà spesso sul senso della sua elezione e non  di rado ne fraintenderà il senso, i profeti lotteranno contro la sufficienza che la teologia (malintesa) dell'elezione generava nel popolo che tendeva di trasformarla in sicurezza.

La più frequente immagine dell'elezione è quella dell'unione coniugale, utilizzata per la prima volta da Osea (2,18-23):

Quel giorno io farò per loro un patto con le bestie dei campi, con gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; spezzerò e allontanerò dal paese l'arco, la spada, la guerra, e li farò riposare al sicuro. Io ti fidanzerò a me per l'eternità; ti fidanzerò a me in giustizia e in equità, in benevolenza e in compassioni. Ti fidanzerò a me in fedeltà, e tu conoscerai il Signore. Quel giorno avverrà che io ti risponderò», dice il Signore: «risponderò al cielo, ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino, all'olio, e questi risponderanno a Izreel. Io lo seminerò per me in questa terra, e avrò compassione di Lo-Ruama; e dirò a Lo-Ammi: "Tu sei mio popolo!" ed egli mi risponderà: "Mio Dio!"».

Il matrimonio diventa parabola della scelta compiuta da Dio nei confronti di Israele, ma è anche parabola dei rapporti di fedeltà tra il popolo e Dio.

L'apocalittica e il futuro

A partire dal III sec. a.C. l'identità religiosa di Israele è minacciata da influenze culturali del mondo greco e una vera e propria persecuzione si abbatte su Israele durante il regno di Antioco IV Epifane (176-164 a.C.). In questo periodo di crisi e di smarrimento non compaiono grandi profeti a indicare la via da seguire, ma manoscritti anonimi di un genere particolare: le apocalissi.

La teologia apocalittica tiene conto della realtà di persecuzione e di sofferenza, è pessimista riguardo alla realtà storica che è concepita come il regno del male e che va verso la sconfitta, la distruzione totale per giungere al momento in cui il presente mondo verrà distrutto per far posto a quello nuovo: questa è la vittoria di Dio.

Diversamente dalla teologia precedente, nella teologia apocalittica i credenti non sono coloro che accolgono la Parola di Dio, ma sono destinati a entrare nel nuovo mondo, questi diventano gli eletti; Dio, ha scritto il loro nome nel libro della vita. Qui l'elezione subisce una trasformazione, non indica più la scelta di Dio per Israele come suo popolo, ma designa la raccolta di alcuni individui destinati a essere gli eletti.

L'elezione non si attua in questo mondo mediante la liberazione di Dio, ma si colloca nel nuovo mondo futuro, non riguarda la storia, ma l'eternità, non questa vita, ma la salvezza eterna.

L'apostolo Paolo

La teologia apocalittica ha influenzato la visione del mondo giudaico fino agli anni 70 d.C. Gesù stesso, nella sua predicazione e annuncio del Regno di Dio usa termini e immagini della teologia giudaica e dell'apocalittica come per esempio «tenebre di fuori», «il ladro nella notte», «lo stagno di fuoco», «segni dei tempi», «età presente», il cielo e la terra che devono «passare» o la «venuta del Figlio dell'uomo» ecc...

Gesù non annunzia soltanto il Regno, ma lo promette; il tempo della sua predicazione è il tempo del ravvedimento e della fede in lui. In questa nuova impostazione non c'è posto per un gruppo di «predestinati», come nella teologia apocalittica. Gesù parla a tutti; l'annunzio del Regno fa esplodere tutti gli schemi e i raggruppamenti religiosi, sovverte categorie umane e ripropone il tema della grazia di Dio in termini nuovi.

La comunità primitiva ha la coscienza di avere vissuto una esperienza fondamentale nell'incontro con Gesù e che questa esperienza non è finita, non è stata cioè una parentesi chiusa che lascia la vita riprendere il suo corso.

I credenti della chiesa primitiva si autodefiniscono «santi», «chiamati», «popolo di Dio» senza per questo diventare una setta giudaica, contrariamente a quanto accaduto con la comunità di Qumran o ai seguaci di Giovanni Battista; non si rinchiudono nelle mura dei monasteri e neppure si ripiegano su se stessi preoccupati della fine del mondo. Ai credenti primitivi interessa non tanto il nuovo mondo che deve venire, ma Gesù Cristo e la comunione con lui. Alla comunità cristiana interessa il «vivere in Cristo» non tanto l'essere inclusi nel numero degli eletti. In effetti questi credenti credono che si è eletti soltanto se si è in Cristo. Al centro del loro interesse, gli apostoli hanno posto la fede in Cristo non la predestinazione; il problema della predestinazione va considerato nell'ambito della fede in Cristo.

Relativamente alla parola predestinare (pro-orizio) menzioniamo alcuni testi biblici. Il primo:

Udito ciò, essi alzarono concordi la voce a Dio, e dissero: «Signore, tu sei colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi; Proprio in questa città, contro il tuo santo servitore Gesù, che tu hai unto, si sono radunati Erode e Ponzio Pilato, insieme con le nazioni e con tutto il popolo d'Israele, per fare tutte le cose che la tua volontà e il tuo consiglio avevano prestabilito che avvenissero. (Atti 4,24. 27-28).

Il secondo testo si trova nella I lettera ai Corinzi dove Paolo definisce la sua predicazione in questi termini:

 Tuttavia, a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori di questo mondo, i quali stanno per essere annientati; ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria e che nessuno dei dominatori di questo mondo ha conosciuta; perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1 Corinzi 2,6-8).

Il terzo testo è in Romani 8,28-30:

Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati.

Il quarto è in Efesini 1,4-12:

In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci ogni sorta di sapienza e d'intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà, per essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo.

La predestinazione qui non viene trattata come problema a sé, ma è menzionata nel corso di un ragionamento generale. Ciò significa che gli apostoli non hanno considerato la predestinazione uno degli elementi centrali del loro messaggio; essi hanno ereditato dall'Antico Testamento il concetto e l'hanno integrato nell'annuncio cristiano. Non è dunque la predestinazione che spiega il messaggio evangelico, ma è il messaggio evangelico che dà senso alla predestinazione.

Bisogna dire che i verbi: preconoscere, predestinare, chiamare, giustificare... non indicano delle scelte compiute da Dio in ordine cronologico, non dicono cioè che Dio ha preconosciuto uno e successivamente, dopo qualche tempo, lo ha eletto e poi giustificato ecc..., in realtà questi verbi sono sinonimi che indicano l'insieme della salvezza come opera di Dio. La preposizione "pre" sta semplicemente ad indicare che Dio compie un'opera che anticipa il mio agire e il mio comportamento, che avviene prima e a cui non posso far altro che rispondere.

Per l’apostolo Paolo, le «sofferenze del tempo presente» (Rom. 8,18) e le tribolazioni non sono altro che i segni dell'avvento del Regno. I credenti sono destinati alla gloria, cioè alla nuova realtà del Regno, sono destinati alla comunione con Dio, ma la caratteristica fondamentale importante è un'altra, è quella di assumere su di sé l'immagine di Cristo. Il significato di tutto è che Dio ha amato i suoi figli, li ha salvati in Cristo e li condurrà, oltre la crisi attuale (le sofferenze del tempo presente), nel suo Regno.

Il testo agli Efesini è un'esaltazione dell'opera di salvezza compiuta da Dio in Cristo, il termine finale di questa opera non è espresso con la parola «gloria» come in Romani, ma con un verbo "raccogliere sotto un solo capo" (Efesini 1,10) che significa ricondurre ad un solo principio, o riassumere: Cristo sarà, al termine della storia, la verità in cui tutte le cose trovano il proprio senso: gli ideali, le speranze, i pensieri...

In Efesini il contesto non è quello dell'esortazione e della speranza, ma della lode e della riconoscenza. Anche nella lettera agli Efesini la predestinazione non è un tema generico che indica una dipendenza dell'essere umano da Dio, ma è pensiero collegato a Cristo e alla sua opera.

 

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

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