Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Domenica, 19 Gennaio 2020 19:20

Sermone di domenica 19 gennaio 2020 (Giovanni 1,29-34)

Scritto da

Testo della predicazione: Giovanni 1,29-34

Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva verso di lui e disse: «Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo! Questi è colui del quale dicevo: "Dopo di me viene un uomo che mi ha preceduto, perché egli era prima di me". Io non lo conoscevo; ma appunto perché egli sia manifestato a Israele, io sono venuto a battezzare in acqua». Giovanni rese testimonianza, dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma colui che mi ha mandato a battezzare in acqua, mi ha detto: "Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quello che battezza con lo Spirito Santo". E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’affermazione di Giovanni Battista «Io ho veduto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio» è senz’altro per noi molto ovvia, ci è insegnato fin da piccoli che Gesù è il Figlio di Dio. Ma ci vollero secoli e diversi Concili prima che si pervenisse alla testimonianza di Giovanni Battista e considerarla una affermazione teologica.

Certo è che nella chiesa antica non era così semplice. L’annuncio che «Gesù è colui nel quale dimora Dio» è una testimonianza accettabile da tutti, anche dall’ebraismo. Anche in Mosè ha dimorato Dio; il ruolo di Mosè quale veicolo della suprema autorità divina è innegabile, a questo fondamento non si poteva rinunciare. E la chiesa primitiva era composta innanzitutto da ebrei. Allora chi sarebbe Gesù? Un secondo rivelatore di Dio dopo Mosè?

Giovanni è chiaro: Gesù è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, questi è il Figlio di Dio. Certo, l’agnello di Dio si richiama all’evento della liberazione dall’Egitto in cui Mosè ha un ruolo attivo e importante, il sangue di quell’agnello sparso sugli stipiti delle porte, ha permesso ai primogeniti israeliti di non morire, così, oggi, dice l’evangelista Giovanni, Gesù non è il nuovo Mosè, ma l’agnello stesso il cui sangue sparso permette di vivere e di non morire.

L’evangelista racconta un evento nel suo Vangelo, Gesù che va da Giovanni Battista per essere battezzato, ma non lo fa dal punto di vista umano, ma dal punto di vista di Dio. Questa è la sua fede, quella di andare oltre le spiegazioni umane e riuscire a vedere in Gesù, Dio all’opera.

Non si tratta di una Parola divina imprigionata in un corpo di carne, Giovanni dice che questa Parola divina è diventata l’uomo Gesù. L’aspetto umano di Gesù non è qualcosa che nasconde il divino, il corpo umano di Gesù non è un velo, non nasconde Dio, ma lo svela, Gesù è lo svelamento dell’amore di Dio, del suo amore.

Gesù svela la realtà divina, non la nasconde, svela la gloria di Dio; è certo una realtà che si contrappone alla realtà umana, alla nostra pochezza, al nostro peccato, alla nostra ribellione e incapacità di fare il bene e di amare compiutamente; ma non per condannarci e giudicarci, non per dirci che bruceremo nel fuoco eterno. Ma, allora, come potremo arrivare a condividere la gloria di Dio che in Cristo ci è rivelata?

Questa gloria si manifesta concretamente perché ci restituisce all’amore di Dio, alla sua grazia, al suo perdono, al suo abbraccio. In Gesù, Dio si fa dono di sé a noi, per noi. Questo è il Dio che si rivela. Per questo Giovanni Battista può dare la sua testimonianza dicendo «Questo è l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, …il Figlio di Dio», perché sta riconoscendo in Gesù che Dio stesso è all’opera.

L’agnello di Dio! A noi oggi, persone del 2020, l’agnello fa pensare a Pasqua, il tempo in cui l’agnello è mangiato. Ma il senso profondo di questa affermazione vuole essere un altro. Gesù è l’agnello il cui sangue è sparso sulle porte del nostro cuore per liberarci dalla morte e dal nostro Egitto, dalla nostra schiavitù. Una schiavitù che è anche morte essa stessa, perché ci priva della libertà, dell’essere se stessi, della dignità, dell’integrità.

Ma non è facile, perché ciò non accade mentre siamo seduti sulla nostra poltrona, ma è necessario incamminarsi per percorrere la strada che porta verso il Battista che annuncia il battesimo in remissione dei peccati. Bisogna saper riconoscere che ci è fatta la promessa di essere liberati dalle nostre schiavitù.

Ma di che schiavitù parla la Bibbia? Noi non ci reputiamo persone schiave, perché dunque ci viene sempre rinnovata la promessa di liberazione? E da quale morte ci scamperebbe l’agnello di Dio?

Ricevere oggi il messaggio di Giovanni Battista che dice che Gesù è il Figlio di Dio, l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, è una lieta notizia, è l’annuncio che tutto può cambiare, che possiamo superare i nostri limiti e il nostro ristretto orizzonte riconoscendo il ruolo di Gesù nella vita di ciascuno di noi.

La nostra schiavitù risiede senz’altro nell’adorazione degli idoli che sono attorno a noi, di cose e persone di cui riteniamo di non poter fare a meno e che riteniamo vitali per la nostra sopravvivenza. Spesso realtà superflui, del tutto sterili che piuttosto ci inaridiscono.

Ma restiamo schiavi anche quando le nostre convinzioni non reggono quel confronto che diventa il luogo per imporle piuttosto che per condividerle. Restiamo schiavi di noi stessi quando ci consideriamo migliori, quando abbiamo smesso di imparare dagli altri, quando non siamo più capaci di chiedere scusa, di riconoscere di avere sbagliato.

Ma rimaniamo schiavi anche quando siamo incapaci di perdonarci e allora pensiamo che non ci sia nessuno che ci abbia a cuore veramente, pensiamo di non essere amati perché, in fondo, non amiamo neppure noi stessi e diventiamo incapaci di ricevere l’amore.

Gesù è il Figlio di Dio, è l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, ci vuole molta umiltà per riconoscere Dio all’opera in Gesù, un’opera che è per noi, per il nostro bene, per la nostra vita, affinché ricevendo il suo perdono diveniamo, anche noi, capaci di perdonare, noi stessi e gli altri, accoglierli come quell’opera di Dio che ci mette accanto fratelli e sorelle con i quali condividiamo la nostra umanità.

Amen!

Letto 2044 volte
Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

Mail: Per contattare il pastore via mail, clicca qui