di Daniele Garrone, professore di Antico Testamento alla Facoltà valdese di teologia
Com'è noto, i protestanti non soltanto non riconoscono per sé l'autorità del Papa, ma ritengono che l’istituzione del papato sia un ostacolo alla cattolicità, cioè all'universalità della chiesa di Gesù Cristo, e che i connotati monarchici assoluti che l’hanno fin qui caratterizzata siano in aperta contraddizione con le visioni dei ministeri attestati nel Nuovo Testamento. Questo, però, è solo un aspetto della questione. I Papi e il papato della Chiesa di Roma esistono nella storia e su questo sfondo vanno valutati, senza ideologismi, senza complessi e con un senso di solidarietà fondato sulla vocazione cristiana, comune a tutte le chiese. Senza l’atteggiamento - temo assai diffuso tra noi evangelici - di prescindere dal profilo - colto nei suoi discorsi e nelle sue decisioni - di ogni Papa, per limitarsi a dire che qualunque cosa dica o faccia, il problema è che è Papa.
Tutti dicono che un anno non basta a trarre valutazioni e a fare previsioni, ma certo non si possono non cogliere motivi di interesse, scorgere novità e anche nutrire speranze.
Papa Francesco riveste la più alta carica gerarchica della Chiesa di Roma, ma ha introdotto cambiamenti che certamente non possono essere valutati come semplice cosmesi né ridotti al personale stile di un "parroco". A fronte della novità epocale dell'emeritazione di un pontefice, destinata ad avere ricadute inevitabili sull'istituzione stessa, il profilo di papa Bergoglio va colto, e apprezzato, in tutta la sua rilevanza: si sono messe giustamente in luce la scelta del nome, certamente programmatico, lo stile di vita, dall'abbigliamento alla residenza, l’immediatezza pastorale del suo rapporto con i fedeli "fratelli e sorelle", lo stile per nulla paludato, ma diretto e franco dei suoi interventi pubblici, spesso con digressioni "a braccio".