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Lezione 6 - La Predestinazione come grazia storia e annuncio - 23 dicembre 2014

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La grazia nella storia

L'idea di predestinazione come sorta di teatro delle marionette, in cui Dio dal cielo fa ballare gli umani come burattini, può essere superata solo con il riferimento alla grazia di Dio.

La teologia cattolica ha cercato di correggere questa idea errata di Dio introducendo il pensiero della libertà dell'essere umano. Ha spiegato che Dio non è un burattinaio perché le sue decisioni sono relativizzate dalle scelte dei credenti, ma così facendo ha creduto di risolvere il problema dei due estremismi: i pelagiani da un lato e i riformati dall'altro. In realtà non è combinando la volontà di Dio con quella umana che si esprime il carattere dialettico della predestinazione, essa invece va inquadrata come una espressione della relazione d’amore di Dio.

Il momento dell'elezione

La centralità di Cristo non può scomparire. Non si può parlare di predestinazione senza parlare di Cristo. Infatti, noi sappiamo di essere eletti da Dio e amati solo all'interno dell'opera di Gesù Cristo; senza Cristo questo non potrebbe accadere. Gesù è la rivelazione di Dio, egli è «la via, la verità e la vita» anche per quanto riguarda il mistero della nostra elezione.

Gesù Cristo è il riferimento dei credenti, in lui abbiamo la certezza di essere nelle mani di Dio, di avere la garanzia della nostra esistenza e la comunione con lui. Perciò l'apostolo Paolo può dire: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione...?».

Per Karl Barth, tutto ciò non significa che noi possiamo vedere, in Gesù, rappresentato l'amore di Dio; noi non vediamo in Cristo la prova dell’amore e della misericordia di Dio, ma è la persona stessa di Gesù che racchiude il mistero della predestinazione. Cristo non è solo lo specchio su cui vedere riflesso il disegno di Dio; Cristo è colui in cui tutto avviene, è colui in cui ogni decisione è presa e attuata; è Cristo stesso la decisione, l'unica, eterna.

In sostanza, non vi sono livelli diversi: Dio da una parte e Gesù dall’altra; non vi è cioè la volontà di Dio che elegge l’uomo e poi Gesù che annuncia questa elezione. Gesù non è solo colui che porta una comunicazione da parte di Dio, non è il messaggero della predestinazione. Gesù è l'autore della predestinazione, egli è la possibilità, la garanzia, il fine. Senza Gesù Cristo non ci sarebbe né elezione, né predestinazione; l'uomo cercherebbe ancora il senso della sua vita nella sottomissione al destino e  nella superstizione.

In genere, il problema della predestinazione è posto in termini individuali: è in gioco la volontà di Dio e la mia persona, la mia salvezza o la mia dannazione: sarò eletto o dannato? È cioè il mio destino che diventa il centro della questione, il punto focale del problema. In realtà la salvezza, perciò la predestinazione, non è un problema individuale, ma universale, non è una scelta di singoli, ma un piano generale, un programma realizzato nella storia. Per questo la predicazione degli apostoli mantiene il concetto di "elezione" presente nell'Antico Testamento.

Questo significa che la predestinazione, in primo luogo, non va considerata come il fatto che Dio sceglie dei singoli individui, ma come il fatto che Dio offre all’umanità il perdono e la salvezza.

La realtà della predestinazione

La predestinazione spesso la si intende come il fatto di essere destinati alla salvezza o alla dannazione eterna.

In realtà i testi di Romani 8 ed Efesini 1 esprimono un concetto diverso e cioè che la realtà a cui siamo destinati non è un generico destino dopo la morte, una sorta di grazia proiettata nell'eternità, ma altro; infatti è detto così:

«Predestinati ad essere conformi all'immagine del suo figlio, onde sia il primogenito fra molti fratelli» (Romani 8,29).

«Avendoci predestinati ad essere adottati per mezzo di Gesù Cristo, come suoi figli» (Efesini 1,5)

In questi testi, Gesù viene presentato come il termine finale dell'elezione; la predestinazione di cui siamo oggetto mira a renderci fratelli in Cristo, cioè a essere sua «immagine».

Dobbiamo domandarci in che cosa consiste questa «immagine». Calvino riteneva che Gesù Cristo viene proposto alla nostra imitazione, noi dobbiamo diventare come Cristo assumendo la vocazione del discepolato che comporta disciplina, rinuncia e martirio, sottometterci a portare la croce.

Ma il concetto dell'immagine di Cristo è più profondo.

Il dio di questo mondo ha accecato le menti [degli increduli], affinché non risplenda loro la luce del vangelo della gloria di Cristo, che è l'immagine di Dio (II Corinzi 4,4).

Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura (Colossesi 1,13-15).

Nella teologia di Paolo, Gesù non è mai visto in sé e per sé, ma sempre in riferimento a noi, alla salvezza, perciò il fatto che egli sia definito come immagine di Dio, coinvolge anche i credenti.

Karl Barth dice:

Dio ha fatto e voluto gli uomini a sua immagine, cioè all'immagine del Figlio suo. Dall'eternità ha pensato agli uomini così come dall'eternità ha voluto dinanzi a sé l'immagine del proprio Figlio, ed è questo che ha determinato la loro esistenza nel tempo. In virtù dell'amore con cui egli ama il Figlio suo, gli uomini sono predestinati ad essere suoi figli.

Vi siete rivestiti del nuovo, che si va rinnovando in conoscenza a immagine di colui che l'ha creato (Colossesi 3,10).

E come abbiamo portato l'immagine del terrestre, così porteremo anche l'immagine del celeste (1 Corinzi 15,49).

In questi testi è evidente che l'uomo, tratto dalla terra, è terreno, mentre Cristo è «celeste», del cielo. Cristo è l'uomo della rivelazione. I credenti sono immagine di Adamo perché umani, ma sono immagine di Cristo perché integrati nel piano di salvezza di Dio. In questo modo essi possono essere rinnovati fino a riprendere l'immagine originaria dell'uomo, come Dio l'ha voluta. Diventare immagine di Cristo significa essere destinati a diventare uomini nuovi in Cristo.

In questo modo, i cristiani diventano partecipi dell'immagine di Dio apparsa in Cristo, è così che prendono la “forma di Cristo”.

All'uomo peccatore, immagine di Dio offuscata dal peccato, Dio contrappone una nuova creatura in cui la sua immagine è ricomposta; al vecchio uomo egli contrappone l’uomo nuovo.

Questa è la scelta di Dio, di una nuova umanità, questo è il nostro destino.

La predestinazione come storia

Dunque lo scopo della predestinazione è permettere che l'immagine di Dio, offuscata dal peccato, sia ricomposta nel nuovo uomo che può rispecchiarsi in Gesù Cristo.

Ma quando l’apostolo Paolo parla di questa immagine di Cristo a cui siamo destinati, pensa al tempo presente, storico o all'eternità?

Per Paolo il problema non si pone, perché non vi è alternativa tra presente e futuro: la vita del presente è già un’anticipazione, una prefigurazione al tempo della comunione con Dio. Per Paolo, noi siamo chiamati, qui e ora, in questa vita, a realizzare questa immagine. La piena umanità è ciò che deve emergere dalla nostra realtà di persone umane, fin da ora nel nostro tempo.

Così, la predestinazione non è un avvenimento che si colloca nella preistoria quando ancora non c'era nulla, ma nella storia umana. Non è neppure un destino ultraterreno, ma una realtà da vivere nel presente. In Cristo, oggi il nostro destino si realizza. Esso riguarda le nostre scelte e le nostre impostazioni di vita, più che al futuro lontano, guarda all'oggi.

La predestinazione esprime il nostro essere, ma soprattutto il nostro dover essere. Da una parte vi è la decisione di Dio, la scelta di Dio, dall'altra vi è tutta la realtà da costruire, c'è l'immagine di Cristo che deve essere attuata, c'è un cammino di vita sul quale camminare. In questo senso, la predestinazione è una dottrina «pratica» e non speculativa, riguarda la vita di ogni giorno. È la soluzione all'incertezza del domani, al dubbio della propria vita, agli interrogativi della propria capacità di perseverare nella prova. La predestinazione ha insegnato a vivere e a operare perché, spostando su Dio la certezza dell'elezione, ha dato ai credenti la libertà di fare guardando, così, al futuro.

La predestinazione come annunzio

La predestinazione è grazia di Dio che dà senso alla mia vita. È un messaggio che si accoglie e che si vive. È annunzio non filosofia. Questo significa che nella predicazione si può percepire la realtà della predestinazione.

È l'annuncio dell'Evangelo che cambia la mia vita provocando in me la fede. La coscienza della mia elezione, della mia salvezza, nasce dal messaggio della Parola di Dio. Per questo, nelle chiese protestanti, la predicazione è stata collocata al centro della vita cristiana, in sostituzione del sacramento. Una coscientizzazione sul problema della salvezza non può avvenire mediante il gesto sacramentale che è muto anche se comunica, secondo la dottrina cattolica, la grazia; questo può essere fatto solo dall'annuncio esplicito.

La predestinazione non è una teoria sul governo del mondo da parte di Dio, ma è una interpretazione di ciò che io sono quando ascolto l'Evangelo. Nell'ascolto io sono eletto (Conzelmann).

Devo ricevere l'annunzio di chi sono io, come sono, qual è la realtà della mia esistenza, il mio «destino». Però, l'annunzio e l'ascolto sono momenti distinti, fra predicazione e fede c'è un passaggio che si può esprimere in termini biblici: predestinazione ed elezione.

«Predestinazione» esprime l'aspetto oggettivo della grazia, mette in luce il fatto che la mia umanità è determinata dalla scelta di Dio, compiuta prima di ogni mia scelta.

«Elezione» sottolinea l'aspetto soggettivo: sono eletto nel momento in cui questa realtà mi coinvolge, si rivolge a me: quando prendo coscienza della mia predestinazione e l'accetto essa diventa per me elezione. La predestinazione non è un possesso, è grazia di Dio che deve essermi costantemente annunziata; deve essere riscoperta ogni giorno, nell'impegno di vita, nella santificazione.

L'oggetto della predestinazione

Chi sono gli eletti? Sono solo i credenti o tutti?

Il non eletto è un reprobo, un condannato?

No, il reprobo è soltanto Gesù Cristo, in quanto è il solo uomo su cui si sia effettuato il giudizio di condanna divino, è il condannato per i peccati; la reiezione esiste, è il giudizio di Dio, la condanna, la maledizione, il rifiuto da parte di Dio di accettare il peccato umano.

Predestinati sono tutti gli uomini in quanto la salvezza è stata annunziata a tutti, ma eletti sono coloro che ne hanno preso coscienza. I non eletti sono coloro che sono stati predestinati, ma non ancora eletti, che non hanno, cioè, ancora preso coscienza della propria destinazione, che non hanno ancora scoperto di essere destinati a diventare immagine di Gesù Cristo.

La predicazione è dunque il solo mezzo per comunicare e rinnovare l'elezione.

Come può accadere però che, malgrado la predicazione, vi siano persone che non accolgono la loro elezione?

Questo è il problema della fede, dello Spirito Santo, non della predestinazione. L'incredulo non è uno che non crede, ma uno che non crede ancora; la possibilità di scoprire il messaggio dell'Evangelo resta aperta dinanzi a lui fino il termine della sua vita.

La dialettica non è fra due categorie di uomini: eletti-reietti, ma è nella storia fra eletti e non ancora eletti.

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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