Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

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Lezione 3

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v. 6: «Beati quelli che sono affamati e assetati della giustizia, perché saranno saziati».

In Luca 6,21 sono detti beati quelli che hanno fame, e viene loro promesso che saranno saziati.

Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.

Che Matteo parli insieme di «affamati e assetati», come in certi passi dell'Antico Testamento, non è determinante; lo è invece la sua precisazione: «della giustizia». Il termine “giustizia”, in Marco è del tutto assente, mentre ricorre in Matteo sette volte, e in Luca lo si trova una volta sola (1,75), all'interno di un inno di forte impronta veterotestamentaria.

Egli usa così misericordia verso i nostri padri e si ricorda del suo santo patto, del giuramento che fece ad Abraamo nostro padre, di concederci che, liberati dalla mano dei nostri nemici, lo serviamo senza paura, in santità e giustizia, alla sua presenza, tutti i giorni della nostra vita. (Luca 1,72-75)

Vi sono dunque buone ragioni per ritenere che questa espressione sia un'aggiunta propria di Matteo. Già nell'Antico Testamento si fa volentieri ricorso alle immagini della fame e della sete per significare il desiderio della Parola di Dio (Amos 8,11).

«Ecco, vengono i giorni», dice il Signore, Dio, «in cui io manderò la fame nel paese, non fame di pane o sete d'acqua, ma la fame e la sete di ascoltare la parola del Signore».

Il desiderio della grazia di Dio (Isaia 55,1 s.)

O voi tutti che siete assetati, venite alle acque; voi che non avete denaro venite, comprate e mangiate! Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte!

Il desiderio della presenza di Dio (Salmo 42,3)

L'anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente; quando verrò e comparirò in presenza di Dio?

I poveri e gli umili ricevono la promessa che la loro fame verrà placata (1 Samuele 2,5)

Quelli che una volta erano sazi si offrono a giornata per il pane, e quanti erano affamati ora hanno riposo.

Salmo 107,36-41

Là fa risiedere gli affamati ed essi fondano una città da abitare. Vi seminano campi e vi piantano vigne e ne raccolgono frutti abbondanti. Egli li benedice perché crescano di numero e non lascia diminuire il loro bestiame. Ma poi, ridotti a pochi, sono umiliati per l'oppressione, per l'avversità e gli affanni. Egli getta il disprezzo sui potenti e li fa errare per deserti senza strade; ma solleva il povero dalla miseria e rende le famiglie numerose come greggi.

Salmo 146,7

Il Signore rende giustizia agli oppressi, dà il cibo agli affamati.

Nel giudaismo dell'epoca di Gesù, la fame è stata intesa come salutare castigo divino. Secondo Baruc 2,18 (libro deuterocanonico) soltanto l'«anima affamata» può rendere gloria e giustizia a Dio.

L’anima colma di afflizione, chi cammina curvo e spossato, e gli occhi languenti e l’anima affamata, ti renderanno gloria e giustizia, Signore. (Baruc 2,18)

La beatitudine di Gesù non è rivolta a un gruppo precostituito di persone pie, oppure di affamati veri e propri, come troviamo in Luca. Il detto è una parola di salvezza, che è diretta agli ascoltatori e li invita ad aderire alla salvezza di Dio. Sulla base di 5,20 si può affermare che Matteo è interessato soprattutto a che la giustizia di Dio diventi realtà anche nel comportamento concreto della sua comunità:

Io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel Regno dei cieli (Matteo 5,20).

La tradizione ha offerto a Matteo un detto che parla di fame (e di sete), ed egli vi ha aggiunto il termine «giustizia». Il nostro passo si riferisce dunque in primo luogo, sullo sfondo dell'Antico Testamento, al desiderio ardente del Regno e della giustizia di Dio che in esso si compie; si riferisce al grido che si leva verso Colui che renderà giustizia a quanti patiscono la violenza (Salmo 146,7, collegato alla regalità di Dio del v. 10), verso «i nuovi cieli e la nuova terra, nei quali abita la giustizia (II Pietro 3,13).

Seppur, in Matteo, l'accento cade sull'attuazione di questa giustizia da parte dei discepoli, nessun giudeo, formato alla scuola dell'Antico Testamento, può dimenticare che il vero adempimento della giustizia sarà opera di Dio alla fine dei tempi. Esso è descritto come un venire saziati. Per Gesù, parlare del mangiare e del bere al banchetto del Regno di Dio (22,1ss.; Luca 22,30), è una immagine talmente forte e potente che rischia il pericolo di una concezione letterale e materiale della speranza.  Meglio così che una immagine del Regno di Dio troppo sbiadita che non desta alcuna gioia autentica.

v. 7: «Beati i misericordiosi perché a loro misericordia sarà fatta».

Con questo versetto comincia un nuovo gruppo di beatitudini, proprie soltanto a Matteo. Esse si distinguono dalle prime, perché non si riferiscono a persone che vivono in uno stato di privazione e di sofferenza, ma descrivono un atteggiamento positivo: Beati i misericordiosi, i puri di cuore, i facitori di pace. Esse non mirano, almeno direttamente, a indicare quali sono le condizioni morali necessarie per entrare nel Regno di Dio, ma annunciano la gioia del Regno alle persone che sono in quelle disposizioni.

L'aggettivo «misericordioso» si trova soltanto un'altra volta nel Nuovo Testamento, ed è riferito a Gesù, «misericordioso e fedel Sommo Sacerdote» (Ebrei 2,17). L'osservazione è significativa, perché la «misericordia», nell'Antico Testamento, è anzitutto una virtù divina: basti ricordare Esodo 34,6:

«Il Signore! Il Signore! Il Dio misericordioso e pietoso».

e il Salmo 86,15:

«Ma tu, o Signore, sei un Dio pietoso e misericordioso...».

Il verbo corrispondente si trova nella benedizione aronnica:

«Il Signore... ti sia propizio».

La misericordia degli uomini esprime, nei rapporti umani, lo stesso atteggiamento del Dio misericordioso: è un atteggiamento di longanimità compassionevole, pronto a perdonare e ad aiutare nel bisogno.

Il principio che la, misericordia di Dio è concessa a coloro che esercitano la misericordia è presente nell'Antico Testamento, esempio: Proverbi 17,5 (traduzione greca dei LXX):

«Colui che ha compassione troverà misericordia».

È facile vedere l'affinità di questi testi con note espressioni del Nuovo Testamento:

«Il giudizio è senza misericordia per colui che non ha usato misericordia» (Giac. 2,13).

Questa espressione non si trova però testualmente nei Vangeli; ma una corrispondenza tra la misericordia esercitata dagli esseri umani e quella concessa da Dio, è espressa nel comandamento “non giudicare” (Mt. 7,1-2)

«Non giudicate affinché non siate giudicati»

nella quinta domanda del Padre nostro (Mt. 6,12)

«Rimettici i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori»

e nel commento che l'accompagna (vv. 14-15),

«Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.»

come pure nella parabola del servitore spietato (Mt. 18,23-35). Questa parabola spiega in quale senso si possa parlare di correlazione tra misericordia divina e misericordia degli esseri umani: è perché il servo spietato è stato oggetto di una immensa misericordia che dev'essere misericordioso, la sua durezza di cuore dimostra soltanto che non ha capito nulla della generosità paterna di cui è stato oggetto.

In che cosa consista la misericordia divina e quella umana che deve ispirarsi ad essa, Gesù stesso lo dimostra con il suo atteggiamento verso i peccatori: egli accetta di sedere a mensa con loro (Mt. 9,10ss., chiamata di Levi); in quella occasione Gesù replica ai Farisei che lo criticano, citando Osea 6,6:

«Voglio misericordia e non sacrificio».

Ma lo stesso detto di Osea torna in un'altra parola polemica contro i Farisei (Mt. 12,7) a proposito delle spighe raccolte di sabato, e ancora, in Mt. 23,23, Gesù accusa i Farisei di «pagare la decima della menta, dell'aneto e del comino», e di trascurare le cose più importanti della Legge: «il giudizio, la misericordia e la fede».

Se teniamo conto di questo contesto, si può sentire nella quinta beatitudine una lontana risonanza polemica: coloro che riceveranno misericordia, non saranno gli stretti osservanti dei riti della legge, ma coloro che sono pronti a perdonare sapendo che sono stati largamente perdonati. Questa è la giustizia migliore di quella dei Farisei.

Ma la misericordia non si limita al perdono delle offese. L’aggettivo di “misericordia” ha un senso molto più ampio di un soccorso ai bisognosi. La parabola del giudizio finale ci ricorda che la misericordia ha anche delle estrinsecazioni pratiche, come nutrire gli affamati, dar da bere agli assetati, coprire gli ignudi, e visitare gli infermi e i carcerati (Mt. 25,31ss.); e nella parabola del Buon Samaritano, il prossimo del ferito è «colui che gli usò misericordia».

Da qui non dobbiamo necessariamente dedurre che i misericordiosi non sono poveri, poiché possono fare l'elemosina, e che ad essi è promessa la retribuzione divina. Il termine qua significa che ai misericordiosi «sarà fatta misericordia» da Dio, cioè che essi troveranno, nel giudizio, un giudice misericordioso.

Dove Matteo indica la perfezione di Dio ai discepoli: «Voi dunque siate perfetti come il Padre vostro celeste» (5,48), Luca ha: «Siate misericordiosi com'è il Padre vostro celeste» (6,36). La misericordia è dunque la perfezione di Dio che ci viene proposta come esempio da seguire. E di essa Gesù ha dato la dimostrazione perfetta sulla croce, pregando: «Padre, perdona loro...» (Lc. 23,34).

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

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