Culto domenicale:
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Domenica, 20 Ottobre 2013 02:00

Sermone di domenica 20 ottobre 2013 (Giovanni 15,9-17)

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Testo della predicazione: Giovanni 15,9-17

«Come il Padre mi ha amato, così anch'io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa. «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi.». 

Sermone

Il nostro brano del Vangelo di Giovanni riflette sul versetto del cap. 13 che dice: «Io vi do un comandamento nuovo» (v. 34). In realtà, il comandamento dell’amore non è certo nuovo perché le parole “Amerai il prossimo tuo come te stesso” sono già contenute nell’Antico Testamento (Lev. 19,18). Ma è nuovo perché riflette la rivelazione con cui Dio si presenta al mondo in Gesù, suo Figlio.

Gesù, dunque, si presenta a noi come uno spazio nuovo nel quale possiamo vivere concretamente la nostra realtà di fede e di cittadini del mondo. Il legame tra il Padre e Gesù, suo Figlio, è un legame d’amore, la relazione tra il Padre e il Figlio è caratterizzata dall’amore. Così questo legame può determinare anche le relazioni tra i credenti che vivono dell’amore di cui Gesù li ama.

Sentirsi amati da Gesù permette il nostro amore; è l’amore di cui Gesù ci ama che ci rende capaci di amare a nostra volta. Dunque, amarsi gli uni gli altri è possibile perché Egli ama noi.

La sfera d’azione di Dio è l’amore, egli crea per amore, si avvicina alla sua creatura per amore, si relaziona ad essa a partire dal suo amore, invia suo Figlio per amore e ora (Giov. 3,16), questo Figlio ci dice: «dimorate nel mio amore».

Qual è il senso di questa frase?

Dimorare nell’amore di Gesù significa che vi è un solo ambito nel quale noi possiamo essere restituiti a noi stessi, alla nostra dignità di esseri umani, c’è solo un ambito in cui i rapporti umani possono fondarsi sulla pace e sulla giustizia, reciprocamente, sulla solidarietà, sulla condivisione della propria storia, della propria vita e così portare buoni frutti, sulla comunione che produce amicizia vera fino al punto di dar la propria vita per gli altri: è l’ambito dell’amore.

È qui che dimora Gesù, non altrove, non nei surrogati conseguenza di vuoti esistenziali determinati dall’assenza dell’amore, del sentirsi amati e dell’incapacità di amare. Noi siamo invitati a entrare all’interno di questo orizzonte, e qui a vivere la nostra vita, la nostre relazioni umane, il nostro impegno, le nostre responsabilità.

Tutto ciò però non è semplicemente fine a se stesso, Gesù indica uno scopo un orientamento, un orizzonte, una meta che sta sempre davanti a noi: «Vi dico tutte queste cose affinché la mia gioia dimori in noi e la vostra gioia sia completa». Dunque il nocciolo del discorso di Gesù è la gioia. L’amore di Dio per noi e la nostra capacità di amare gli altri non genera stanchezza, vuoto, aridità, ma gioia.

La Bibbia è piena di inviti alla gioia, sono molti di più di quelli relativi al cordoglio, alla tristezza, alla malinconia; anzi proprio perché queste cose tendono a prevalere nella nostra vita, tanti più la Bibbia insiste sulla felicità e sulla gioia che Dio vuole per noi.

Gesù, nel Vangelo di Giovanni non esprime soltanto la necessità per una gioia da vivere nella reciprocità e nelle relazioni umane, come pure nella chiesa e nella società in cui si vive, ma esprime il concetto di una gioia completa, compiuta, perfetta, come dire che tutta quella che possiamo provare non è mai sufficiente, mai adeguata a quella che dovremmo provare di fronte all’amore di Dio per noi, al suo perdono, alla sua grazia, alla sua gratuità che ci offre se stesso senza chiedere nulla in cambio.

È qui che acquista senso il nostro vivere quotidiano, nella consapevolezza che la gratuità dell’abbraccio amorevole del Signore non chiede nulla in cambio e che non è necessario vivere la serietà di questo Vangelo della grazia e dell’amore nella tristezza e nella compunzione.

Essere credenti, ci dice il Gesù di Giovanni, significa essere felici, significa avere la capacità di ridere di se stessi e di gioire della vita, di non prendersi mai troppo sul serio. Per questo dice Gesù: «Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto».

Il frutto dell’amore è dunque un dono stesso del Signore, un dono che passa attraverso di noi affinché raggiunga il nostro prossimo. Dunque, l’amore di Gesù per noi è quello che ci permette di amarci reciprocamente.

L’amore ci impegna ad amare, non certo del nostro amore, ma di quello che riceviamo e che ci permette di orientare la nostra vita, le nostre giornate nell’orizzonte della gioia.

La gratitudine, la solidarietà, la condivisione di ciò che siamo e di ciò che abbiamo, quando sono vere e autentiche, non ci impoveriscono, ma ci arricchiscono e generano in noi gioia, felicità, riconoscenza.

Erich Fromm, nel suo libro “L’arte di amare”, scrive: «Chiunque sia capace di donare se stesso è ricco». Questa capacità ci è donata dall’amore, nient’altro può essere il luogo che produce in noi gioia e allegrezza.

Viviamo, dunque, riconoscendo che l’amore di Dio per noi, ci orienta verso il nostro prossimo e crea relazioni autentiche, legami profondi, amicizia vera, getta ponti di condivisione e di riconciliazione, tutto ciò, questa dimensione sarà per noi la gioia che caratterizza la nostra fede e il nostro discepolato autentico.

Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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