Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Domenica, 15 Marzo 2015 12:16

Sermone di domenica 15 marzo 2015 (Giovanni 12,20-26)

Scritto da

Testo della predicazione: Giovanni 12,20-26

«Tra quelli che salivano alla festa per adorare c'erano alcuni Greci. Questi dunque, avvicinatisi a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, gli fecero questa richiesta: «Signore, vorremmo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea; e Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro, dicendo: «L'ora è venuta, che il Figlio dell'uomo dev'essere glorificato. In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna. Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l'onorerà».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, Gesù pronuncia queste parole nella consapevolezza di ciò che lo attende, la sua morte in croce. Cerca di rivelarlo ai suoi discepoli e qui ricorre all’immagine del seme, un seme che è secco, senza vita, è morto quando lo si sotterra, ma poi produce il suo frutto, un frutto abbondante.

Gesù vuole rendere attenti i suoi interlocutori sul fatto che la sua morte è necessaria perché essi vivano, perché l’umanità viva di una vita vera. Gesù annuncia la vita per tutti attraverso un gesto gratuito con il quale si fa dono di sé, un gesto sul quale sembra prevalere solo la morte e la distruzione di un corpo, mentre esso tornerà a vivere per dare speranza a tutto il mondo.

Il granello di frumento, in sé, è qualcosa di insignificante, fintanto che resta lì, solo, fintanto che non viene seppellito, dentro la terra; ed ecco che, così com’è, secco, senza vita, a contatto con la terra, porta frutto: nel portare frutto c’è sempre una relazione con l’altro, con l’altra persona, è la relazione che fa rivivere, che rende vivo anche ciò che era morto. È la nostra relazione con Dio e con il prossimo che ci rende vivi davvero.

Questa è la vita per Gesù, una vita nella quale condividiamo con l’altro/a la nostra esistenza, una vita nella quale ci può essere dialogo, comunicazione, confronto, incontro.

È tutto questo che Gesù vuole spiegare ai suoi discepoli, perché è su questa relazione con Dio e il prossimo che è possibile credere, essere cristiani autentici. Questo è il maestro che incontra i suoi discepoli, questo è il Gesù che incontra noi, il Cristo che vuole incontrare il mondo.

Nell’incontro si esprime tutto il proprio amore, il proprio donarsi all’altro/a; la vita è tale perché è portatrice di frutti, frutti che portano speranza, frutti che portano fiducia, comprensione reciproca, rispetto, diritti, solidarietà, libertà.

Si tratta di servizio vicendevole!

A questo sono chiamati i credenti, che Gesù chiama qui diakonoi, diaconi, ministri, coloro che si pongono al servizio degli altri in un rapporto costruttivo di incontro e di dialogo.

Questa è la chiesa che si fonda sulle parole di Cristo.

«Se il seme non muore…» significa permettere che abbia luogo una vita vera; una vita vera è quella di chi riesce ad uscire dal non senso della propria aridità, del proprio deserto, del proprio vuoto. Riempire di senso la propria vita significa scaldare il gelo della propria anima che si rinchiude in se stessa per paura di esporsi, di essere ferita.

È la paura della vita stessa la causa che ci fa morire dentro e non ci fa aprire verso gli altri; ma Gesù oggi ci parla di morire a noi stessi, cioè di far morire le nostre paure, le nostre angosce, le nostre preoccupazioni; Gesù ci chiede di seppellire le nostre paure per poter avere un rapporto con la terra, con ciò che ci circonda, con coloro che vivono attorno a noi, con noi. Gesù ci chiede di non aver paura.

Gesù ci spiega che la relazione con il prossimo è essenzialmente condivisione, è donarsi, e donarsi significa far morire il nostro egoismo, la nostre esigenze personali, il nostro continuo bisogno, illusorio, di auto-realizzazione o auto-affermazione; è questo il senso dell’odiare la propria vita.

L’odio di cui Gesù parla, non va inteso in senso letterale, ma nel senso che la vita di ciascuno non ha valore in sé, ma acquista valore se ciascuno esce da se stesso/a, dalla propria area protetta, dalla propria solitudine, dalla paura, per incontrare l’altro/a e il mondo intero. Diversamente, ci dice Gesù, la vita sa’ di tomba, di nulla, di vuoto, di arido.

«Se il seme non muore… rimane solo».

Gesù vuole, sen’altro, insegnarci che la vita è bella, che è meravigliosa, ma che va vissuta con lo sguardo che va oltre la vita umana, con uno sguardo rivolto alla definitiva vittoria di Dio, a una vita vera definitiva. Oggi possiamo vivere una realtà provvisoria, una vita che non va idolatrata: Gesù dice addirittura che bisogna essere anche disposti a rinunciarvi se necessario.

E non si trattava, allora, di una proposta accettabile, non era questa la visione della vita secondo l’antica Grecia, e non lo è neanche quella dei nostri contemporanei, prigionieri del consumismo o dello spasmodico desiderio di affermarsi.

Gesù ci invita a seguirlo, a seguire le sue orme, ci propone il suo ideale di vita e il suo orizzonte che era quello del servizio vicendevole che fonda le premesse per una umanità fraterna e solidale, una società in cui c’è posto per tutti e dove tutti sono accolti per quello che sono e non per quello che dovrebbero essere, secondo la teoria del pensiero unico e della cultura monolitica.

«Se uno mi serve, mi segua…».

Al servizio di Gesù lo siamo tutti, ma essere credenti, dice Gesù, significa essere discepoli, cioè porsi al suo seguito. Seguire il maestro Gesù non significa seguire un personaggio carismatico che fa audience, e neppure appoggiare una persona che afferma la verità. Seguire il maestro, ci fa protagonisti di scelte coraggiose, impopolari, che non destano approvazione perché spesso turbano la quiete e impegnano le persone.

Seguire il maestro significa diventare attori di una storia che riguarda noi e gli altri, significa proiettarsi all’interno di un orizzonte di solidarietà, di accoglienza e di fraternità e permettere che questo orizzonte coinvolga gli altri, coloro che ci circondano perché solo a partire da questa visione, il mondo può guardare avanti con speranza.

Seguire Gesù ci impegna sul piano etico, ci impegna sul piano religioso, ci impegna sul piano sociale e politico.

Dunque, non abbiamo paura, Gesù è colui che è vicino a noi per affrontare il mondo, per testimoniare l’amore che ha per tutto il mondo. Gesù è vicino a tutti, anche attraverso ciascuno di noi, nel nostro piccolo, con le nostre capacità, ma anche con le nostre incapacità.

Nessuna paura, incontriamo gli altri consapevoli che nell’incontro, nella relazione, nella comunione e nella condivisione, scaturirà la vita, una vita vera che dà senso alla nostra esistenza.

Amen!

Letto 3362 volte
Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

Mail: Per contattare il pastore via mail, clicca qui