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Mercoledì, 09 Settembre 2015 20:24

Sermone di domenica 6 settembre 2015 (Luca 17,11-19)

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Testo della predicazione: Luca 17,11-19

Nel recarsi a Gerusalemme, Gesù passava sui confini della Samaria e della Galilea. Come entrava in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, i quali si fermarono lontano da lui, e alzarono la voce, dicendo: «Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!» Vedutili, egli disse loro: «Andate a mostrarvi ai sacerdoti». E, mentre andavano, furono purificati. Uno di loro vedendo che era purificato, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce; e si gettò ai piedi di Gesù con la faccia a terra, ringraziandolo. Or questo era un Samaritano. Gesù, rispondendo, disse: «I dieci non sono stati tutti purificati? Dove sono gli altri nove? Non si è trovato nessuno che sia tornato per dare gloria a Dio tranne questo straniero?» E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato».

Sermone

«Gesù, Maestro, abbi pietà di noi», i dieci lebbrosi pronunciano queste parole a voce alta, gridano, da lontano. Sono persone rispettose delle norme sociali, della legge di Dio contenuta in Levitico 13,45-46. Il lebbroso era un impuro, e l’impuro, secondo la legge doveva avvertire a gran voce chiunque gli si avvicinasse: «Impuro, impuro» gridava, perciò era costretto a vivere solo, lontano da tutti, alla larga per evitare di contagiare qualcuno.

Il lebbroso viveva già come un uomo morto, non poteva avere relazioni, legami con nessuno, era del tutto escluso dalla società umana. Era anche riconosciuto che qualcuno guarisse, e per la loro guarigione, erano i sacerdoti preposti a constatarla e a rilasciare il certificato di avvenuta guari­gione, e dopo i rituali sacrifici di purificazione, l’ex lebbroso era riammesso nella comunità e poteva tornare a casa da cui alcuni erano stati persino scacciati via perché i malati erano ritenuti colpevoli di gravi peccati che Dio puniva con la malattia.

I dieci lebbrosi, da lontano, gridano a Gesù di avere pietà. Hanno i vestiti stracciati quale segno di riconoscimento, hanno il capo scoperto ma il viso nascosto. Sono mescolati, galilei e samaritani, che normalmente sono divisi perché hanno una diversa interpretazione della Bibbia, perciò non si parlano, non si trattano: questo nella società civile, ma fuori da essa le barriere e le divisioni saltano, non hanno senso, una cosa li accomuna e li unisce: la sofferenza, il dolore, la malattia.

I dieci lebbrosi chiedono che Gesù abbia pietà del loro peccato, gli domandano che il loro peccato venga rimesso, per potere ricevere la guarigione. Hanno quindi fiducia in Gesù, riconoscono in lui un “maestro” cioè una per­sona che ha autorità; come tanti altri malati che, nei racconti biblici,

Gesù risponde alla loro richiesta: dà l’ordine di presentarsi ai sa­cerdoti affinché questi constatino l’avvenuta guarigione. Tutto accade da lontano, i lebbrosi non osano avvicinarsi e neppure Gesù lo fa, non accade come nell’episodio del lebbroso o della donna che aveva perdite di sangue, nei quali c’è un contatto fisico tra Gesù e i malati.

Un toccare che indicava contagio, quello della malattia, un diventare impuro, come l'altro. Gesù in altri casi preferisce toccare perché toccando un impuro si diventava impuri, e quindi emarginati dalla società, reietti, si diventava come l’altro, il gesto di Gesù era quindi un gesto di solidarietà e di amore così come Dio, per amore, si è fatto come noi, essere umano.

È la stessa logica. Chi ama non può dire al povero: “vattene in pace e saziati”, ma condivide con l’altro la sua povertà. Comodo pronunciare parole di conforto, di fiducia e di gioia da parte di chi sta bene. Dio chiama a piangere con chi piange, a essere stra­nieri con chi è straniero e povero con chi è povero, nei fatti! Dio chiama alla solidarietà e all'accoglienza concreta.

Gesù dà l’ordine di presentarsi ai sacerdoti. Ma è una guarigione che ancora non è avvenuta, ed è perciò, ancora una volta, un atto di fiducia in Gesù quello di ubbidirgli, proprio quando sembra inutile. I dieci lebbrosi sono tutti accomunati dalla speranza, infatti nessun cambiamento di salute era ancora avvenuto quando Gesù raccomanda loro di andare dai sacerdoti. La loro speranza proveniva dalla fiducia ripo­sta in Gesù; una fiducia che li guidava a seguire la parola di Gesù perciò riceveranno guarigione.

La guarigione è improvvisa, silenziosa, non è appariscente e fra­gorosa. Cammin facendo, i lebbrosi si accorgono di non essere più malati, né loro stessi sanno quando e come sia successo; ma questi particolari non importano al narratore, l’accento è posto sulla con­statazione che il miracolo è avvenuto.

Qui avvengono due cose importanti:

1) da una parte c'è chi prosegue la sua strada per andare dai sacerdoti per essere reinserito nella società civile, è un ritorno alla vita e (2) dall'altra chi, prima di ciò, si ferma e torna indietro per ringraziare Gesù.

C’è chi pensa soprattutto a se stesso, alla propria salute e alla propria vita, e c’è invece chi ritiene prioritario riconoscere nel Signore la fonte della propria salute e della propria vita.

Quindi c’è chi ritiene più importante recarsi prima dai sacerdoti per riceverne il riconoscimento legale, e c’è invece chi si cura meno di questo aspetto tecnico della legge: è il samaritano, egli ritiene fondamentale testi­moniare immediatamente la sostanza di quello che gli è accaduto.

Come molti protagonisti dei racconti biblici quest’uomo infrange le norme sociali, infrange la legge, per ringraziare Gesù e la legge è severa al riguardo, ma a lui non importa, la sua priorità è chiara.

La domanda di Gesù “dove sono gli altri nove?” suona retorica perché dopotutto essi hanno ubbidito a Gesù e se il lebbroso non fosse tornato indietro nessuno avrebbe pensato ai nove come a degli ingrati.

È chiaro che nel racconto emerge un messaggio che va oltre l'ingratitudine dei nove: esso pone l’accento sul fatto che più dell’ubbidienza letterale alla Parola di Gesù e più della guarigione fisica conta quello che è avvenuto nel cuore e nella mente dei dieci lebbrosi risanati.

Non serve ubbidire ciecamente alla Parola di Gesù, non serve a nulla e se la guarigione o il miracolo di Gesù non cambiano il nostro cuore, la nostra mente, la nostra vita, allora tutto ciò non è servito a nulla. Ad uno solo Gesù dice: «La tua fede ti ha salvato»

Il racconto ci interroga proprio sulla nostra fede. È una fede come quella dei nove lebbrosi che ubbidiscono scrupolosamente alla parola di Gesù e così hanno la coscienza tranquilla? ma una fede che non cambia la loro mente e il loro cuore? Oppure è una fede su un guaritore, un taumaturgo la nostra? Oppure la nostra è una fede su Colui che è venuto per guarirci da malattie ben più grandi di quelle fisiche: dal nostro egoismo, dalla nostra avidità, dal nostro chiuderci dentro la cerchia del nostro clan, della nostra casa, della nostra chiesa; Gesù è venuto a guarirci dalla nostra incapacità di accogliere, di essere solidali, di aprire le nostre mani verso l'altro, verso chi non ha nulla, verso chi è diverso, verso chi è costretto ad emigrare, verso chi è malato ed è discriminato, allontanato. Ci sono tanti esseri umani oggi allontanati dalla società umana e di cui nulla vogliamo sapere.

Impariamo a riconoscere le ferite dell'anima da cui il Signore vuole liberarci e, con riconoscenza e gioia, scopriamo il volto del Signore stesso in coloro che attraversano il nostro cammino. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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