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Domenica, 12 Febbraio 2017 12:16

Sermone di domenica 12 febbraio 2017 (Luca 17,7-10)

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Luca 17,7-10

Se uno di voi ha un servo che ara o bada alle pecore, gli dirà forse, quando quello torna a casa dai campi: "Vieni subito a metterti a tavola"? Non gli dirà invece: "Preparami la cena, rimbòccati le vesti e servimi finché io abbia mangiato e bevuto, poi mangerai e berrai tu"? Si ritiene forse obbligato verso quel servo perché ha fatto quello che gli era stato comandato? Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: "Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare"

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, per gli antichi copisti della Bibbia, i commentatori o i predicatori, ma anche per noi, questo testo suona molto severo. In fondo ci dice di essere dei buoni a nulla, delle persone inutili. Per questo si è spesso ritoccato il testo per attenuare la sua severità. Lo fa anche la TILC traducendo «Siamo soltanto servitori» omettendo "inutili".

Invece, la frase «Siamo servi inutili» dovrebbe dare a tutti molta gioia.

Certo, ci indisponiamo quando qualcuno ci dice che siamo inadatti al nostro compito, ma se ci pensiamo bene, tutti noi sappiamo di essere peccatori e peccatrici e siamo ben convinti che nessuno al mondo è giusto.

Eppure ci sono tanti «buoni» cristiani che si sono arresi perché si credevano adatti a un compito speciale, ma… quando hanno visto la loro debolezza, e quella degli altri, sono crollati.

Perciò dobbiamo provare molta gioia e riconoscenza per il fatto che Gesù ci tratti già in partenza da «buoni a nulla». Qui, Gesù ci vuole liberare da quel personaggio tanto orgoglioso che è dentro di noi. Gesù ci rimette al nostro posto, al nostro vero posto, e dà la miglior definizione che mai sia stata data della Chiesa: «Una compagnia di buoni a nulla».

Non si tratta di una condanna che ci infligge, ma di una constatazione; non è un punto d'arrivo, ma un punto di partenza; non è detto per abbatterci, ma per sollevarci.

Gesù qui non si fa nessuna illusione sul nostro conto, e ce lo dice; e quello che ci propone, sa bene di proporlo a delle persone «inutili». Ma è qui che avviene il miracolo: Gesù ci propone lo stesso di fare qualcosa.

Il Signore, nonostante le nostre incapacità, vuole ugualmente chiederci di metterci all’opera. Ci chiede di servirlo a tavola dopo che abbiamo arato per tutta la giornata. Come dire che non ci affida poco perché siamo incapaci, ma ci affida tanto, se non in termini di quantità, in termini di qualità. Questa è la sua grazia: Gesù accetta di utilizzare pienamente delle persone inutilizzabili.

Per Gesù non sono le nostre goffaggini, non sono le nostre deficienze che contano, ma per lui conta la sua volontà di utilizzarci, la sua grazia che ci assegna un compito.

Il suo amore verso di noi sopravanza la nostra incapacità. Gesù non si fa illusioni su di noi, non chiude gli occhi dicendosi: «Dopotutto valgono qualcosa». No!

È che il suo infinito vince il nostro zero.

La sua grazia sopravanza il nostro peccato.

Per questo Dio ci chiede di porci al suo servizio, con le nostre mani tremanti, le nostre scarpe rotte, i nostri gesti maldestri. Dio ci ama, ma non vuole che c'inganniamo su questo amore: non ci è dovuto, ma ci è donato, ci è totalmente donato, gratuitamente, non perché l’abbiamo meritato.

Ecco cosa significa: «Voi siete servi inutili», significa che non siamo stati noi capaci di meritarci tutto quanto Dio ci dona, ma ce lo offre lo stesso, gratuitamente.

In questa parabola, Gesù non intende legittimare un sistema sociale basato sulla schiavitù, ma prende il sistema sociale del suo tempo, in cui il padrone pensava di non dovere nulla all'infuori del salario pattuito a un servo. All'epoca era normale.

Gesù allora si rivolge ai credenti della sua epoca (e Luca ai padroni presenti nella Chiesa) per dire loro: «Voi, pensate che Dio vi debba qualcosa? Non capite che siete ancora suoi debitori e che la grazia è ancora da lui che viene, quando vi richiede qualcosa, quando vi assegna dei compiti, quando vi chiama a lavorare con lui e per lui? Voi non capite che la grazia viene ancora da Dio quando ci affida la sua vigna e ci ordina di lavorarvi».

È così, Dio ci ama talmente da avere più fiducia nel suo amore che nelle nostre incapacità, e ci dà un vero futuro, un vero compito, a noi che non avevamo altro futuro che essere inattivi e insignificanti. Dio ti pone al suo servizio, e ti affida un incarico che non potevi neppure sperare, un lavoro al quale non potevi credere.

Ciò nonostante, Gesù non dimentica che siamo incapaci, non ignora che le nostre mani sono maldestre, il nostro cuore meschino, la mia lingua feroce. Sa che faremo tanti danni e tanti errori, ma noi dobbiamo sapere che egli lo sa. E ciò significa due cose:

1) che egli continua a darci fiducia. Nessuno dei nostri passi falsi intaccherà la fiducia che ha riposto in noi;

2) che anche noi dobbiamo avere fiducia che egli non dimenticherà mai che noi restiamo degli incapaci.

Ma possiamo andare oltre e riconoscere che possiamo servirlo con grande serenità perché la sua fiducia in noi è fondata nel suo amore per noi. Il più inetto degli incapaci può entrare nella vigna e mettersi a lavorare: quel padrone non è un incapace.

Il suo rapporto con i suoi servitori è un rapporto di gratuità. Possiamo distenderci e metterci tranquillamente al lavoro. Sappiamo che l'errore verrà perdonato, la mancanza cancellata: così svaniranno il nostro orgoglio, la disperazione, la paralisi. Cominceremo a darci da fare gratuitamente, poiché ci sentiamo amati gratuitamente.

Sapendo che questo padrone non ci deve nulla, allora cominceremo ad agire e a smettere di preoccuparci di noi stessi, di cercare di sapere se siamo utili. Invece renderemo grazie per il fatto che Dio ci vuole utilizzare. E pur restando degli incapaci (ma questo non ha importanza!) ci mettiamo a lavorare con Colui che può tutto, anche renderci... utili.

Questa parabola ci insegna a non misurare la nostra abilità e neppure la nostra incapacità, non sono queste le cose importanti. È importante invece «fare quel che dobbiamo fare» sapendo di essere servitori inutili, perché non lo dobbiamo a Dio, ma a noi stessi.

È questa la sola strada per cominciare a fare bene le cose. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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