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Lunedì, 11 Dicembre 2017 14:26

Sermone di domenica 10 dicembre 2017 (Isaia 63,15-16; 64,1-3)

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Testo della predicazione: Isaia 63,15-16; 64,1-3

Guarda dal cielo, e osserva, dalla tua abitazione santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo, i tuoi atti potenti? Il fremito delle tue viscere e le tue compassioni non si fanno più sentire verso di me. Tuttavia, tu sei nostro padre; poiché Abraamo non sa chi siamo e Israele non ci riconosce. Tu, Signore, sei nostro padre, il tuo nome, in ogni tempo, è Redentore nostro. Oh, squarciassi tu i cieli e scendessi! Davanti a te sarebbero scossi i monti. Come il fuoco accende i rami secchi, come il fuoco fa bollire l'acqua, tu faresti conoscere il tuo nome ai tuoi avversari e le nazioni tremerebbero davanti a te. Quando facesti le cose tremende che noi non ci aspettavamo, tu discendesti e i monti furono scossi davanti a te.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, i capitoli 63 e 64 del libro del profeta Isaia contengono un lamento, una intensa preghiera dovuta a una grande disperazione che il popolo viveva. È un periodo storico in cui Israele ha una forte crisi di identità spirituale e sociale, gravi difficoltà lo tormentano, ed egli attribuisce quelle battute d’arresto all’indifferenza di Dio.

Il profeta cerca di contribuire a sanare il rapporto fra Dio e Israele che è pericolosamente rovinato. Così, il profeta prega Dio a favore del popolo e, allo stesso tempo, confessa il suo peccato.

In questi capitoli del libro del profeta Isaia vi sono riportate le opere che Dio ha fatto a favore del suo popolo; egli ricorda la sua bontà e la sua misericordia quando nessuno le meritava; ricorda le opere di liberazione che il Signore compì attraverso Mosè, liberando il popolo dalla schiavitù dell’Egitto.

Quando il profeta scrive, Israele è tornato nella terra promessa dopo 50 anni di esilio in Babilonia, siamo attorno al 520 a.C. La gioia del ritorno deve però fare i conti con la devastazione delle terre, la distruzione del tempio e delle case. Tutta la terra è una rovina e uno squallore indicibili, proprio come l’anima di questi deportati che, tornando in patria, non trovano più nulla, ma tutto da ricostruire senza mezzi per farlo.

Nel brano emerge una tensione fra lo splendore del passato e lo squallore del presente, ma il profeta vede che questa tensione può portare i suoi frutti se porta un cambiamento che può accadere nell’avvicinarsi di Dio al popolo e nell’incontro che permette un nuovo inizio una nuova storia insieme, un futuro, un cammino nuovo.

Il profeta comprende bene l’angoscia che provocano quegli avvenimenti disastrosi e diventa interprete dello stato d’animo del popolo. Così prorompe in una domanda esistenziale: Dov’è Dio nella storia? «Dov’è colui che li fece uscire dal mare?» dice il v. 11. Ma ancora al v. 15: «Dov’è il tuo zelo, i tuoi atti potenti? Il fremito delle tue viscere e delle tue compassioni?».

Prima si ricorda un passato in cui la presenza di Dio salvava il popolo da pericoli che stavano per inghiottirlo. Il presente, al contrario, è il tempo dell’assenza di Dio, il tempo in cui la coscienza si esamina e chiede: «Dove sei, Dio?».

Tante volte, anche noi ci siamo posti questa domanda. Il dolore che l’accompagna è tornato più volte a colpire l’umanità, proprio nei momenti in cui la catastrofe sembrava invincibile. Pensiamo alle guerre e alla violenza che causano e hanno causato, migrazioni, sofferenze, dolore e morte.

Durante la Shoah della seconda guerra mondiale molti si domandarono: «Dov’è Dio?».

Elie Wiesel, nella sua opera “La notte”, un romanzo autobiografico, racconta la sua esperienza nei lager nazisti come l’esperienza dell’assenza di Dio. Wiesel racconta a un certo punto che un bambino pendeva dalla forca eretta dalle S.S. e si sente qualcuno chiedere: «Dov’è Dio? Lui dov’è?». Il bambino è lì che lotta tra la vita e la morte, e la stessa persona grida di nuovo: «Dov’è Dio, adesso?».

Wiesel scrive: «E sentii una voce, dentro di me, che gli rispondeva: «Dov’è? Eccolo… è qui, appeso a questa forca»

Wiesel non affronta il dolore con facili rassicurazioni, non lo spazza via con metodi superficiali. Così agisce il vero profeta! Il profeta accetta tutte le contraddizioni della vita e invita a riflettere demolendo le spiegazioni umane troppo comode. Così, Isaia invita il popolo a confrontarsi con le contraddizioni della vita.

Il «Dov’è Dio?» che il profeta pronuncia è doloroso, ma va oltre la domanda sull’assenza di Dio: «Dove sono il tuo ardore e il tuo amore premuroso, dov’è la tua compassione?» (TILC) afferma.

Questa domanda nasconde una grande fede, il profeta possiede la fiduciosa certezza in quel Dio che accompagna sempre e partecipa con compassione a tutti gli avvenimenti umani; il profeta è certo che il silenzio di Dio non è assenza, io silenzio di Dio è presenza di Dio, nascosta.

Perciò può dire serenamente: «Tu sei nostro padre». È il rapporto più stretto e intimo che esista al mondo, u rapporto mai interrotto, neppure dal dolore o dalle prove della vita. Il profeta sa di poter contare, come un bambino spaventato, sul proprio padre. Un padre che, anche se improvvisamente si fa notte, lo tiene per mano e gli permette di camminare con sicurezza, anche se la notte non schiarisce.

Ma il profeta non si accontenta di questo rapporto di un padre amorevole che accompagna i suoi figli. È vero che si tratta di un punto di forza e di speranza, ma il profeta va oltre e usa un’immagine forte e quasi violenta; è così che vede Dio, un Guerriero che scende in battaglia: «Oh, squarciassi tu i cieli e scendessi!» (64,1), le montagne tremano, le fiamme divampano, l’acqua ribolle. In realtà, il profeta vuole riaffermare tutta la sovranità di Dio, è qui che rinasce la speranza del popolo, affinché torni a impegnarsi nell’orizzonte del Dio che gli è Padre e che lo accompagna nel buio della notte.

Il profeta ci invita ad alzare il nostro sguardo al di sopra della debolezza umana, verso il padre celeste. Il profeta ci dice che nessun genitore rimane indifferente davanti al dolore del proprio figlio, così è Dio per noi.

«Oh, squarciassi tu i cieli e scendessi». È la preghiera del profeta che per noi cristiani, riceve la risposta di Dio nella venuta del Cristo, suo figlio. Anche questa, in forma nascosta, perché nulla è evidente nel bambino che nasce, in una stalla, a Betlemme.

La fede biblica è riposta nel Dio che non abbandona i suoi figli, soprattutto nel periodo della prova, mai, buia per quanto possa essere la notte che essi attraversano. Egli viene, squarciando i suoi cieli, e scendendo tra noi per rivelarci il suo amore di Padre. Il profeta ci chiede di essere sostenuti da questa fede nel Dio della misericordia che ha sostenuto i credenti attraverso i secoli, nei periodi più oscuri di sofferenza.

No, Dio non è assente, ma presente, sempre, in modo nascosto, perché è così che egli agisce, senza clamore, senza rumore, senza manifestazioni di potenza, ma con l’amore di un padre e di una madre. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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