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Domenica, 20 Ottobre 2019 19:25

Sermone di domenica 20 ottobre 2019 (Giacomo 2,14-26)

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Testo della predicazione: Giacomo 2,14-26

A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta. Anzi uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demoni lo credono e tremano. Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull’altare? Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa; così fu adempiuta la Scrittura che dice: «Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia»; e fu chiamato amico di Dio. Dunque vedete che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto. E così Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece ripartire per un’altra strada? Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’autore della lettera di Giacomo non sta cercando di correggere la teologia dell’apostolo Paolo come alcuni hanno ritenuto nel passato. In effetti, noi protestanti siamo abituati a fondare la nostra teologia sulle affermazioni dell’apostolo che, in Galati 2,16, afferma:

«Sappiamo che l'uomo non è giustificato per le opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù … perché dalle opere della legge nessuno sarà giustificato».

         In realtà, Paolo e Giacomo, nelle loro lettere, affrontano temi diversi: Paolo affronta il tema della circoncisione nelle chiese i cui membri provengono dal paganesimo e non dall’ebraismo, mentre Giacomo riflette sul rapporto tra la fede e l’obbedienza, ritenute tutte e due essenziali. Così può affermare che l’obbedienza è una conseguenza della fede, è lei che la genera, dunque la fede soltanto sarebbe inutile senza l’obbedienza alla Paola del Signore.

Un esempio: una persona, oppure una chiesa, che pronuncia una confessione di fede, un Credo teologicamente perfetto, una dottrina pura, può naufragare miseramente davanti alle necessità di un povero, perché serve davvero a poco professare la giusta dottrina se questa non ha delle conseguenze pratiche che portano ad amare e a rispettare il prossimo.

Come si può pensare che la salvezza dipenda soltanto da una convinzione intellettuale che non produce nulla di concreto? Tutta la Bibbia ci parla della fede che riceviamo dal Signore come di qualcosa che cambia davvero tutto, che trasforma la realtà umana, e porta i frutti dell’amore di Dio.

Per Giacomo, la fede produce un parla di un atteggiamento pratico nei confronti del prossimo, atteggiamento che chiama «opere».

         La lettera di Giacomo è uno scritto tardivo, è stato scritto circa 50 anni dopo Paolo, e probabilmente, nella generazione successiva a quella di Paolo c’era chi leggeva letteralmente le sue lettere ritenendo la pratica cristiana inutile, con tutte le conseguenze che questo comportava, compreso un atteggiamento poco fraterno nei confronti degli indigenti per fame o freddo che, di fatto, si traduceva in indifferenza o disinteresse, quando non di ostilità o di razzismo. Per Giacomo, è grottesco parlare di fede e non assumersi la responsabilità del prossimo con il quale Gesù stesso si era identificato o quando aveva parlato, in concreto, del gran comandamento: amare Dio e amare il prossimo.

         La lettera di Giacomo si rivolge, dunque, a tutti coloro che vivono una fede che è ridotta a parole vuote, a semplice dottrina ripetuta stancamente, senza che accada nulla di concreto. Oggi possiamo constatare che molti, non hanno neppure questa capacità di professare la loro fede a parole, neppure stancamente. E non c’è nella Bibbia una lettera per questo atteggiamento indifferente.

Anche l’apostolo Paolo, in realtà, non ha mai parlato della sufficienza della fede, ma ha sostenuto con forza la necessità di portare il «frutto dello Spirito» (Gal. 5,22) attraverso il dono della fede.

Paolo parla della salvezza come un dono gratuito di Dio, proprio a motivo del suo amore, infatti Dio ci offre la sua grazia che potremo accogliere attraverso la fede, e avere fede significa affidarsi all’amore di Dio.

Giacomo usa la parola «fede» nel senso di professare un “Credo”, una dottrina, una convinzione teologica, sostenendo che se tutto questo non cambia nulla, se non va incontro al prossimo, ai minimi con cui Gesù si identifica, per sostenerli, allora è una fede inutile, vuota, arida, morta.

         Ecco, Giacomo nel suo scritto vuole unire tra loro i due elementi perché li ritiene facce della stessa medaglia: la fede e l’obbedienza (o le opere). Non c’è separazione tra i due, ma unità: se una persona dice di avere la fede, questa è completa e «perfetta» se si è mostrata in modo pratico, attraverso la presenza delle opere. Giacomo mette alla prova la fede quando la ritiene vuota, quindi inutile, addirittura morta, assente.

19 «Tu credi che c'è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano».

         Il versetto è ironico, infatti l’accenno ai demoni fa capire che si fa dell’ironia nei confronti di chi fonda la fede solo su una dottrina astratta, perché perfino i demoni la condividono, perché sanno bene chi è Dio e chi è Gesù, ma non per questo vivono il dono della salvezza.

         A questo punto l’accento passa a due personaggi dell’Antico Testamento, Abraamo e Raab.

In Paolo, Abramo è un esempio di fede, il tipo di credente che ripone in Dio la sua fiducia, una questa fiducia incrollabile che gli è computata come giustizia (Rom. 4,3). Così Giacomo riprende l’immagine di Abramo per proporla sotto l’aspetto dell’obbedienza e, a partire dalla sua fedele obbedienza, a meritare l’appellativo di «amico di Dio» già contenuto in testi della tradizione ebraica.

         L’esempio di Raab (Gios. 2), va nella stessa direzione: la tradizione ebraica la inserisce tra i giusti e Matteo la inserisce nella genealogia di Gesù (Matt. 1,5). La «giustizia» di questa donna prostituta proviene dai suoi gesti di obbedienza che sono stati ritenuti conformi alla volontà di Dio.                   

         Giacomo si impegna con grande passione per una «fede operante», vuole mettere in guardia noi, che viviamo a una grande distanza temporale da lui, dall’equivoco grottesco, di una fede vuota, ci mette in guardia dal banalizzare la fede riducendola a una convinzione religiosa cui aderire intellettualmente, senza che questa fede produca nulla di concreto.

         Per Giacomo la fede deve essere come la pioggia che cade sulla terra e questa produce il suo frutto. Non c’è pioggia che non porti frutti concreti, visibili e tangibili.  

         Ciascuno di noi non deve solo essere convinto della gratuità della grazia di Dio, ma anche della gratuità di una fede operante, di una fede che porta frutto, della gratuità del nostro servizio, della nostra etica e coerenza di fede, in tutti gli ambiti della vita.

L’amore di Dio non è vuoto, ma produttivo (Giac. 2,8), è un amore che produce in noi quell’obbedienza che non ci fa restare fermi e indifferenti, ma ci fa andare incontro al povero, all’indigente, al migrante senza famiglia e senza patria, a chiunque, per renderci partecipi della grazia e dell’amore di Dio.

 Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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