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Domenica, 06 Aprile 2014 13:21

Sermone di domenica 6 aprile 2014 (Ebrei 13,12-14)

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Testo della predicazione: Ebrei 13,12-14

Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori della porta della città. Usciamo quindi fuori dall'accampamento e andiamo a lui portando il suo obbrobrio. Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera agli Ebrei rivolge un lungo sermone ai suoi destinatari per incoraggiarli circa le difficoltà che vivevano nella società come credenti cristiani. Questi credenti attraversavano diverse persecuzioni che provocavano delusioni, perché si aspettavano una salvezza che li liberasse dalle sofferenze umane.

Il predicatore cerca di spiegare la realtà della fede attingendo dalle Scritture dell’Antico Testamento, scritture che diventano la prefigurazione di un nuovo Patto che Dio aveva compiuto attraverso il suo figlio, Gesù. Il nuovo Patto è perfetto perché non è stato compiuto con il sangue di animali, ma con il sangue di Cristo, Dio stesso che si offre all’umanità. Il nuovo Patto è per sempre, non servono altri sacrifici, perché è accaduto una volta per tutte.

Non bisogna temere dunque, perché siamo entrati all'interno di una nuova alleanza con Dio in cui Dio stesso decide di essere l’autore della nostra salvezza, del nostro perdono e della nostra redenzione.

L’autore riflette sul senso dell’essere Chiesa di Gesù Cristo. Fa degli accostamenti con l’Antico Testamento e in particolare con l’altare e con i sacrifici di un tempo. Accadeva, infatti, che il sommo sacerdote portava, dentro il santuario, il sangue degli animali quale offerta per il peccato aspergendo il sangue come rito di purificazione, mentre gli animali venivano bruciati fuori da santuario.

Così, anche Gesù, soffrì fuori, fuori dalla porta della città, sul Golgota, e il suo sangue è stato versato, asperso, a motivo del nostro peccato per la nostra purificazione e il nostro perdono. Ma, mentre prima era necessario che il sommo sacerdote ripetesse periodicamente il rito di purificazione attraverso il sangue di animali uccisi, ora quello di Gesù Cristo è un sacrificio per sempre; Gesù è morto una sola volta e il suo sacrificio non è ripetibile perché vale per ogni epoca e per ogni persona.

Per il predicatore della lettera agli ebrei questo deve essere un fatto chiaro a tutti i credenti che non devono lasciarsi trascinare in forme ritualistiche che fanno parte del passato. Innanzitutto il credente non deve mai confondere la grazia di Dio con le regole e i riti, con le forme e le tradizioni. Il cristianesimo è posto continuamente davanti alla tentazione di ridursi a religione ritualistica fondata su regole morali, forme cultuali, preghiere prefissate. Per l’autore biblico, i credenti cristiani devono sempre avere il coraggio di entrare a testa alta nel santuario celeste, nel luogo della croce dove possono scoprire tutto l’amore e la grazia di Dio, fuori da ogni rituale o regola morale.

L’invito è quello di uscire dalla città, dal tempio antico, dal luogo dei ritualismi e recarsi fuori, nel luogo della croce, sul Golgota, dove Gesù ha dato se stesso, per noi. È qui che ritroviamo la pura grazia di Dio. Questo è il luogo del nuovo sacrificio, da qui giungiamo a ciò che ci purifica veramente e per sempre. Chi rimane dentro la città, nel vecchio tempio, nella legge antica, nel sangue degli animali, e non esce verso il luogo del nuovo ed eterno sacrificio, non perverrà mai alla gratuità dell’amore di Dio, della sua grazia e del suo perdono, ma resterà dentro l’ottica dei suoi sacrifici per meritare il perdono.

In fondo l’autore biblico sta proponendo un altro ambito di riflessione: l’ambito della fede pubblica, quella fuori dal campo, fuori dal tempio. Diversi credenti rinunciano a farsi riconoscere come cristiani, là fuori, nel mondo. Per i credenti a cui si rivolge questa lettera c’era la persecuzione, i maltrattamenti, e manifestare la propria fede significava esporsi a tutto ciò, si preferiva, allora, tacere; qui l’autore insiste nel ricordare anche a noi oggi, che la fede cristiana è uno stile di vita, non una serie di regole prefissate o una tradizione codificata.

Noi siamo chiamati a lasciare le sicurezze della città, le sicurezze che si hanno dentro il tempio, le sicurezze che conferiscono  le regole che abbiamo sempre osservato per uscire fuori dalle mura, fuori dal sicuro recinto. Qui è in gioco il mandato di Gesù alla chiesa, la missione che la chiesa è chiamata a esercitare nei confronti del mondo. Come Gesù usci fuori per compiere il suo sacrificio, subendo violenza e maltrattamenti, allo stesso modo i suoi fratelli e le sue sorelle devono essere sempre pronti a seguirlo, anche quando dovesse accadere di subire ciò che ha vissuto Gesù.

Come fece Gesù, anche noi siamo invitati a uscire fuori dalla città per affrontare il nostro sacrificio (13,13). Ovviamente, il nostro non è lo stesso sacrificio di Gesù che è “per sempre”, “una volta per tutte”, il nostro sacrificio che portiamo riguarda la nostra lode a Dio, la pubblica testimonianza dell’amore di Dio, le nostre opere di misericordia, di solidarietà, di compassione verso tutte le creature, di solidarietà e condivisione con gli altri di ciò che abbiamo, il servizio verso chi è nel bisogno, ogni forma di generosità, tutte le manifestazioni pubbliche che annunciano l’amore di Dio, l’evangelizzazione. Questi sono i nostri sacrifici di cui Dio si compiace (13,16), non sono opere meritorie, ma segni della fede, dell’opera di Dio che non si ferma, che raggiunge, attraverso noi, il mondo intero.

Ecco, usciamo fuori dalla città, dalle nostre certezze, perché non abbiamo una città stabile, dice il versetto 14. Siamo invitati a non accontentarci di vivere “dentro le mura” della città, protetti e al riparo dai pericoli, non deve essere la città il nostro rifugio e il nostro riparo, non le nostre sicurezze, perché questo significa prendere residenza nella città sbagliata, infatti noi non abbiamo quaggiù una città stabile, ma attendiamo quella futura.

Questo non deve preoccuparci, ma deve liberarci e rassicurarci perché andiamo verso una città nuova che non potrà mai essere distrutta, verso una eredità che nessuno ci può togliere. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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