Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Erika Tomassone

Consacrata nel 1984, è pastora a Rorà e a Luserna San Giovanni dal 2011.

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Testo della predicazione: Efesini 5, 22-33

«Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa. Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l'acqua della parola, per farla comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso. Infatti nessuno odia la propria persona, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche Cristo fa per la chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa. Ma d'altronde, anche fra di voi, ciascuno individualmente ami sua moglie, come ama se stesso; e altresì la moglie rispetti il marito.»

Sermone

Care sorelle e cari fratelli,

questa domenica è quella più vicina alla giornata di mobilitazione mondiale contro la violenza sulle donne. Ascolteremo perciò l’evangelo di Gesù Cristo che ci interpella in ogni situazione della vita, avendo in particolare nella mente e nel cuore le relazioni tra uomini e donne quando la difficoltà diventa conflitto e violenza.

Essere credenti in Gesù Cristo non appartiene solo ad una parte della nostra vita e della nostra persona: quella che va in chiesa, che si impegna nella chiesa, quella che prega o legge la Bibbia; una parte per così dire spirituale, mentre la materialità dei nostri corpi, le nostre emozioni, pensieri ed azioni nella vita di tutti i giorni seguirebbero la loro logica. Dio salva tutta la tua vita e il servizio a cui ci chiama è per la vita quotidiana. Anche la nostra vita privata è il terreno del vivere la fede: proprio quella vita che non vede nessuno, che si vive nel segreto delle nostre case, dietro le porte chiuse, dietro finestre protette da tende. L’autore della lettera agli Efesini dice una cosa abbastanza normale per il suo tempo, ma non così ovvia per il nostro tempo. La fede non si ferma alla soglia della casa privata. La fede che si mostra nel riunirsi della comunità in sottomissione reciproca, in buone parole di incoraggiamento, mossi dallo Spirito Santo (Efesini 5,18-21), continua il suo agire oltre le soglie delle case, arriva fino alla vita privata.  La vita privata è il terreno di relazioni quotidiane dove tra le mura domestiche si relazionano un io e un tu, un uomo e una donna, in un  legame particolare spesso invisibile agli occhi degli altri. Oggi sappiamo che dietro le porte chiuse si celano la maggior parte delle violenze sulle donne, le case che a volte progettiamo per proteggere la vita di chi vi abita da eventuali violenze esterne, è il luogo segreto di violenze interne.

Testo della predicazione: Prima Pietro 2,4-10

Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Infatti si legge nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa
e chiunque crede in essa non resterà confuso». Per voi dunque che credete essa è preziosa; ma per gli increduli «la pietra che i costruttori hanno rigettata è diventata la pietra angolare, pietra d'inciampo e sasso di ostacolo». Essi, essendo disubbidienti, inciampano nella parola; e a questo sono stati anche destinati. Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli,

è notizia di questi giorni che i cristiani di Mosul (Iraq) sono stati costretti a abbandonare la città, come nel 1687 i nostri antenati presero la via dell’esilio da queste vallate. Si tratta di una decina di famiglie, a Mosul i cristiani erano una piccola minoranza. Non ci occupiamo di coloro che li hanno spinti o costretti a cercare accoglienza fuori dalla loro terra. Vogliamo concentrarci proprio sugli esiliati. Ci chiediamo: è tutto perduto? Può la chiesa vivere nella dispersione?

L’immagine che l’autore della prima lettera di Pietro ci trasmette è quella della pietra. Un’immagine di solidità, di insensibilità (la pietra non sente il dolore), un’immagine di eternità (da quanto tempo certi edifici di pietra sfidano il tempo). La pietra però è in questo testo, soprattutto un materiale di costruzione. Il Signore costruisce la comunità di coloro che pongono in Lui la loro fiducia, utilizzandoli come pietre di costruzione. Noi delle pietre? Noi che siamo tutt’altro che solidi, eterni, insensibili? Già proprio noi possiamo essere quel materiale da costruzione, perché Dio ci trasforma da materia inerte e per giunta fragile, in materiale da costruzione vivente e solido. Pietre viventi, una contraddizione in termini che sottolinea che quando si parla di chiesa, si parla prima di tutto della azione di Dio. Dio agisce in modo non riconoscibile da tutti, certamente, ma agisce e  infonde la vita che viene da Lui in noi, trasformandoci, rendendo possibile il nostro concorrere all’edificazione di quel tempio che è la chiesa. 

Testo della predicazione: I Corinzi 9,16-23

Perché se evangelizzo, non debbo vantarmi, poiché necessità me n'è imposta; e guai a me, se non evangelizzo! Se lo faccio volenterosamente, ne ho ricompensa; ma se non lo faccio volenterosamente è sempre un'amministrazione che mi è affidata. Qual è dunque la mia ricompensa? Questa: che annunciando il vangelo, io offra il vangelo gratuitamente, senza valermi del diritto che il vangelo mi dà. Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero; con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni. E faccio tutto per il vangelo, al fine di esserne partecipe insieme ad altri.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli,

scelta o costrizione? Siamo qui per una libera scelta o perché ci sentiamo obbligati? Oggi se ponessi così l'alternativa e dovessimo esprimerci per alzata di mano, ci schiereremmo dalla parte della libera scelta.

Non è il precetto domenicale, non è il mio senso del dovere, non è un obbligo che mi ha portato qui, ma liberamente ho scelto di essere qui. Secoli di “oppressione religiosa”, di  una religione di precetti ed  obblighi ci fanno dire con forza: liberamente scelgo, nessuno mi può costringere. A lungo andare però questa legittima affermazione della libertà di scelta finisce per diventare la nostra fragilità.  La libertà diventa un atto puro e ideale e nel concreto si traduce così: sono qui perché oggi mi prendeva bene, sono qui perché io sono di chiesa, non vado in chiesa perché ho altro da fare. Nella pur legittima libera scelta, la mia persona con le sue decisioni, diventa il centro di ogni cosa e alla fine posso anche dire: come siamo bravi a fare le scelte giuste. Come sono bravi coloro che utilizzano la libertà per fare le scelte giuste. Siamo proprio persone di buona volontà.

Lo dice anche Paolo: se il mio impegno di apostolo è una questione di buona volontà è giusto che io sia ricompensato e anche elogiato. Nel caso di Paolo la questione era letteralmente essere mantenuto dalle chiese dove predicava.  Ma continua Paolo il mio impegno di apostolo, di annunciatore della buona notizia   non è una questione di buona volontà, per me è un obbligo, una costrizione (letteralmente, un destino).   Avete presente lo schiavo che alcuni di voi hanno in casa? A lui affidate dei compiti che deve svolgere, non sceglie di svolgerli. Ecco il mio apostolato, lo leggo così. Non ho scelto io di viaggiare per il mediterraneo predicando e mantenendomi con il mio lavoro di tessitore. L'orizzonte delle mie scelte, quello che potevo immaginare secondo la mia educazione e la mia storia personale, era fare il tessitore ed essere un buon ebreo. Poi è arrivata una forza irresistibile, la buona notizia che mi ha cambiato i piani. Devo fare quel che faccio perché mi muove la forza della buona notizia che viene da Dio.

Testo della predicazione: Esodo 32,7-14

Il Signore disse a Mosè: «Va', scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è corrotto; si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro ordinato di seguire; si son fatti un vitello di metallo fuso, l'hanno adorato, gli hanno offerto sacri? ci e hanno detto: "O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto"». Il Signore disse ancora a Mosè: «Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro. Dunque, lascia che la mia ira s'in? ammi contro di loro e che io li consumi, ma di te io farò una grande nazione». Allora Mosè supplicò il Signore, il suo Dio, e disse: «Perché, o Signore, la tua ira s'in? ammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande potenza e con mano forte? Perché gli Egiziani direbbero: "Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per sterminarli dalla faccia della terra!" Calma l'ardore della tua ira e péntiti del male di cui minacci il tuo popolo. Ricordati di Abraamo, d'Isacco e d'Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: "Io moltiplicherò la vostra discendenza come le stelle del cielo; darò alla vostra discendenza tutto questo paese di cui vi ho parlato ed essa lo possederà per sempre"». E il Signore si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo

Sermone

 

Care sorelle e cari fratelli,

quante preghiere riceverà in media, Dio in una qualunque giornata della settimana? Sicuramente centinaia di milioni. Sono spesso preghiere per altri e altre, le “preghiere di intercessione”. Presentiamo a Dio le persone che conosciamo, a volte preghiamo per persone che non conosciamo affatto, ma che immaginiamo vittime o carnefici, delle piaghe del mondo: la fame, la guerra, la violenza ad esempio.

Questo pregare per gli altri e le altre rivela il nostro amore per gli umani e dichiara però a volte anche il nostro limite umano. Chiediamo a Dio di fare lui qualcosa per quelle persone, qualcosa che noi non riusciamo a fare: guarire gli ammalati, dare acqua e pane per i poveri, fede agli increduli. Una lista più o meno lunga che a volte ci lascia incerti.

Oggi impariamo qualcosa della preghiera per gli altri/e alla scuola di Mosé. Mosé prega Dio a favore del suo popolo in un momento grave:

  • Davanti alla fabbrica del vitello d’oro, momento in cui il popolo volta le spalle al Dio della sua liberazione.
  • Davanti alla decisione di Dio di volersi liberare di quel popolo piagnucoloso, incerto e infedele.
  • Davanti alla decisione di Dio di ripartire da zero: ricomincerà a crearsi un nuovo popolo da Mosé il fedele e la sua discendenza. Dio separerà Mosé dal suo popolo infedele.

Ci aspetteremmo due tipi di preghiere da parte di Mosé:

  • Signore devi capire quelle persone. Io sono qui sul Sinai vicino a te da molto tempo e loro sono laggiù nella pianura, desiderano ripartire per la terra promessa. Io non posso camminare davanti a loro e te non ti si vede; hanno fabbricato solo un simbolo di guida. Hanno sbagliato, ma bisogna capirli, poverini.
  • Signore, hai proprio ragione! Anche io non ce la faccio più con questo popolo; eccomi sono a disposizione. Ordinami qualunque cosa e io come Abramo mi affido a te a alla tua promessa per la mia discendenza. Poi non hanno solo voltato le spalle solo a te. Anche a me: non sono forse qui su questa montagna per raccogliere le tue parole? Mica sono qui per gli affari miei!

Testo della predicazione: Isaia 40,25-31

«A chi dunque mi vorreste assomigliare, a chi sarei io uguale?» dice il Santo. Levate gli occhi in alto e guardate: Chi ha creato queste cose? Egli le fa uscire e conta il loro esercito, le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo potere e per la potenza della sua forza, non ne manca una.  Perché dici tu, Giacobbe, e perché parli così, Israele: «La mia via è occulta al Signore e al mio diritto non bada il mio Dio?» Non lo sai tu? Non l'hai mai udito? Il Signore è Dio eterno, il creatore degli estremi confini della terra; egli non si affatica e non si stanca; la sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli,

sono stata molto fortunata: ho visto volare l’aquila. Volava molto in alto, se non avessi avuto un binocolo non sarebbe stata altro che un puntino nel cielo. Planava con le ali stese, mi sembrava senza fatica, sfruttava le correnti dell’aria, faceva grandi giri nel cielo. Là dove osano le aquile. Coloro che sperano nel Signore, dice il profeta, sono come quell’aquila.

Ho anche osservato le galline. Sempre chinate sulla terra, alla ricerca di qualcosa da becchettare. Hanno ali ma le usano pochissimo, più che volare, svolazzano per breve tempo e non certo in alto. Il loro orizzonte è limitato. Guardando le galline senza volo, mi è venuto in mente il popolo di Israele in esilio a Babilonia. Con l’orizzonte stretto attorno a loro stessi , vedono solo le loro difficoltà, i loro problemi e si lamentano con Dio. “Il Signore non vede che vita faccio? Come mai Dio non difende la mia causa?” In una parola: Dio mi ha abbandonato in preda alla mia vita qui sulla terra. Non vede quanto devo tribolare.

Testo della predicazione: Marco 6,30-44

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: «Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco». Difatti, era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure il tempo di mangiare. Partirono dunque con la barca per andare in un luogo solitario in disparte. Molti li videro partire e li riconobbero; e da tutte le città accorsero a piedi e giunsero là prima di loro. Come Gesù fu sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore che non hanno pastore; e si mise a insegnare loro molte cose. Essendo già tardi, i discepoli gli si accostarono e gli dissero: «Questo luogo è deserto ed è già tardi; lasciali andare, affinché vadano per le campagne e per i villaggi dei dintorni e si comprino qualcosa da mangiare». Ma egli rispose: «Date loro voi da mangiare». Ed essi a lui: «Andremo noi a comprare del pane per duecento denari e daremo loro da mangiare?». Egli domandò loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Essi si accertarono e risposero: «Cinque, e due pesci». Allora egli comandò loro di farli accomodare a gruppi sull'erba verde; e si sedettero per gruppi di cento e di cinquanta. Poi Gesù prese i cinque pani e i due pesci, e, alzati gli occhi verso il cielo, benedisse e spezzò i pani, e li dava ai discepoli, affinché li distribuissero alla gente; e divise pure i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e furono sazi, e si portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane, ed anche i resti dei pesci.  Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

Sermone

Gesù nel suo ministero in Galilea, attira molte persone. Con le sue guarigioni, con le sue parole, con la sua attenzione ha  incontrato le necessità spirituali  e materiali di quella popolazione che soffre molte cose: l’occupazione romana, malattie, povertà, disorientamento e esclusione dalla vita religiosa. Per molti così Gesù era qualcuno in cui sperare per un cambiamento della propria situazione.

Forse la sinagoga, il catechismo imparato, i consigli dei rabbini, quando ancora li potevano ascoltare, non erano più in grado di parlare alle loro persone e al loro cuore. Proprio come a volte temiamo noi, che la nostra predicazione, il nostro  annuncio non raggiunga chi ne ha necessità.

Gesù con la sua pratica di parole e fatti attirava; per questo vediamo nel testo una folla disordinata e in continuo movimento, gente che viene e che va, ognuno con le sue necessità. Una grande confusione. Tante ricerche di Dio, tante domande sulla propria vita in una grande confusione. Così è in fondo il campo del nostro annuncio dell’evangelo. Sappiamo, come lo sapeva la chiesa dell’evangelista Marco, che c’è gente che cerca Dio, ma cosa cerca ci sembra confuso e disordinato: un via vai senza soffermarsi, senza prendere il tempo per ascoltare, per sostare.

L’assedio della folla avviene però in un momento apparentemente inopportuno per quel giorno. Gesù infatti ha già un programma: prendersi del tempo per i discepoli, un tempo di isolamento dopo il grande lavoro missionario da cui sono appena tornati. Una barca lontano dalla folla, per approdare lontano dalla confusione.  I discepoli e il loro maestro.

Testo della predicazione: Atti degli Apostoli 16,6-15

Poi attraversarono la Frigia e la regione della Galazia, perché lo Spirito Santo vietò loro di annunciare la parola in Asia; e, giunti ai confini della Misia, cercavano di andare in Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro; e, oltrepassata la Misia, discesero a Troas. Paolo ebbe durante la notte una visione: un macedone gli stava davanti, e lo pregava dicendo: «Passa in Macedonia e soccorrici». Appena ebbe avuta quella visione, cercammo subito di partire per la Macedonia, convinti che Dio ci aveva chiamati là, ad annunciare loro il vangelo. Perciò, salpando da Troas, puntammo diritto su Samotracia, e il giorno seguente su Neapolis; di là ci recammo a Filippi, che è colonia romana e la città più importante di quella regione della Macedonia; e restammo in quella città alcuni giorni. Il sabato andammo fuori dalla porta, lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera; e sedutici parlavamo alle donne là riunite. Una donna della città di Tiatiri, commerciante di porpora, di nome Lidia, che temeva Dio, ci stava ad ascoltare. Il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo. Dopo che fu battezzata con la sua famiglia, ci pregò dicendo: «Se avete giudicato ch'io sia fedele al Signore, entrate in casa mia, e alloggiatevi». E ci costrinse ad accettare.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli,

per chi desidera annunciare l’evangelo cioè la buona notizia che da senso alla vita, percepire che c’è qualcuno che lo aspetta, che ne ha bisogno è una motivazione forte. Così è stato per noi nei decenni successivi al 1848. La missione delle chiese evangeliche in Italia era motivata dalla convinzione che oltre il ghetto valdese ci fossero persone che avevano bisogno dell’evangelo. Anche i nostri antenati avevano sognato come Paolo, un uomo, rappresentante di tutto un popolo, che diceva: “vieni a soccorrerci”.

La base di ogni evangelizzazione è la convinzione che c’è qualcuno che ha bisogno del soccorso dell’annuncio di Cristo. Paolo così parte, dall’Asia si trasferisce in Europa, in Macedonia (oggi Grecia del nord); finalmente, dopo un periodo di stasi nella missione, può ripartire, per giunta con una forte motivazione.

Ma giunto a Filippi, non si capisce immediatamente l’urgenza, l’attesa della predicazione. Dove è il popolo in attesa dell’evangelo? Per alcuni giorni Paolo e i suoi collaboratori girano per la città, vagabondano senza trovare un punto di aggancio per la loro predicazione. Non c’è nemmeno una sinagoga in città. Alla fine, di sabato (tradizionale giorno di riunione nelle sinagoghe) si dirigono fuori dalla porta della città e come in un estremo tentativo, cercano la sinagoga vicino al fiume (le sinagoghe avevano bisogno di fonti vicine per i riti di purificazione). Il macedone bisognoso della predicazione dell’evangelo rappresentava forse la comunità degli uomini ebrei di Filippi? Ma anche questa volta grande è la delusione. Lungo il fiume non c’è nessuna sinagoga. Ci sono solo delle donne probabilmente impegnate a lavorare. Il testo ci presenta una di loro, la capa, si chiama  Lidia, commerciante di porpora, una straniera (originaria di Tiatiri in Asia), simpatizzante  ebrea (il testo dice timorata di Dio). Il sogno dell’uomo macedone destinatario dell’annuncio dell’evangelo prende corpo in un gruppo di donne.