Culto domenicale:
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Domenica, 27 Luglio 2014 15:32

Sermone di domenica 27 luglio 2014 (I Pietro 2,4-10)

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Testo della predicazione: Prima Pietro 2,4-10

Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Infatti si legge nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa
e chiunque crede in essa non resterà confuso». Per voi dunque che credete essa è preziosa; ma per gli increduli «la pietra che i costruttori hanno rigettata è diventata la pietra angolare, pietra d'inciampo e sasso di ostacolo». Essi, essendo disubbidienti, inciampano nella parola; e a questo sono stati anche destinati. Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli,

è notizia di questi giorni che i cristiani di Mosul (Iraq) sono stati costretti a abbandonare la città, come nel 1687 i nostri antenati presero la via dell’esilio da queste vallate. Si tratta di una decina di famiglie, a Mosul i cristiani erano una piccola minoranza. Non ci occupiamo di coloro che li hanno spinti o costretti a cercare accoglienza fuori dalla loro terra. Vogliamo concentrarci proprio sugli esiliati. Ci chiediamo: è tutto perduto? Può la chiesa vivere nella dispersione?

L’immagine che l’autore della prima lettera di Pietro ci trasmette è quella della pietra. Un’immagine di solidità, di insensibilità (la pietra non sente il dolore), un’immagine di eternità (da quanto tempo certi edifici di pietra sfidano il tempo). La pietra però è in questo testo, soprattutto un materiale di costruzione. Il Signore costruisce la comunità di coloro che pongono in Lui la loro fiducia, utilizzandoli come pietre di costruzione. Noi delle pietre? Noi che siamo tutt’altro che solidi, eterni, insensibili? Già proprio noi possiamo essere quel materiale da costruzione, perché Dio ci trasforma da materia inerte e per giunta fragile, in materiale da costruzione vivente e solido. Pietre viventi, una contraddizione in termini che sottolinea che quando si parla di chiesa, si parla prima di tutto della azione di Dio. Dio agisce in modo non riconoscibile da tutti, certamente, ma agisce e  infonde la vita che viene da Lui in noi, trasformandoci, rendendo possibile il nostro concorrere all’edificazione di quel tempio che è la chiesa. 

Ma di quale edificio, di quale tempio si sta parlando? Non certo di muri inerti, fotografabili, opere dell’arte umana. Qui si sta parlando di un tempio spirituale, dove i muri che contengono, chiudono, che possono essere abbattuti o scossi dal terremoto, sono sostituiti dalle persone vivificate da Dio. E’ la casa dove abita lo Spirito Santo, che non ha muri inerti, ma si va costruendo senza confini.  Questa casa spirituale che possiamo chiamare chiesa intendendola come la comunità mondiale di coloro che Dio chiama, è per noi il segno della presenza e dell’azione di Dio nel mondo. E’ il luogo mondiale dell’annuncio di questo evangelo della grazia e della misericordia di Dio.

Abbiamo detto che questo costruire non è evidente, non è sotto gli occhi di tutti, non tutti lo possono constatare. L'azione di Dio infatti appare affidata a queste pietre che siamo noi che sembriamo come tutti gli esseri umani, deboli, fragili, non parte di un grande movimento positivo. I cristiani di Mosul che abbandonano la loro città, i nostri antenati che presero la via dell’esilio, appaiono come sconfitta più che come movimento che sta affermando la solidità, l’eternità del progetto di Dio.

In realtà, sottotraccia, contro ogni apparenza o giudizio umano, Dio continua a costruire la sua casa, proprio utilizzando quello che l’umanità con il suo giudizio e buon senso, con la sua ferocia, scarta e getta via. Afferma questo anche il fondamento che Dio ha posto nella costruzione della sua casa: Gesù Cristo. Anche Gesù Cristo è stato visto come pietra da scartare, inutile o troppo debole per  essere preso in considerazione come parte fondamentale  del progetto di Dio, eppure reso da Dio fondamento vivente, della costruzione che Dio fa del Tempio dello Spirito Santo.  Gli umani scartano, Dio pone al centro ciò che è scartato, giudicato inutile o dannoso. Il fondamento della chiesa è quindi l’opera trasformatrice  di Dio, e Cristo, per chi si affida a Dio è terreno sicuro. Ricorda ogni giorno che la chiesa vive solo per questa continua opera di Dio che ci trasforma da pietre inerti, in pietre viventi. Per chi valuta le cose solo col proprio occhio umano, il fondamento diventa una pietra che fa inciampare: un intoppo, un ostacolo. Quando ci inciampiamo possiamo ancora fare molte cose: arrabbiarci e scagliare via l’ostacolo, oppure riflettere perché siamo inciampati, osservare che cosa ci ha fatti inciampare. Gesù Cristo, in questo secondo caso, diventa la domanda posta alla nostra vita, l’offerta a mutare il nostro sguardo, a vedere l’offerta che Dio ci fa nella sua grazia. 

Nella stessa logica, e solo su questa base  noi siamo elevati ad un rango che da soli non ci possiamo dare. Riferendosi al culto del tempio ebraico di Gerusalemme (all’epoca non più esistente), l’autore della prima Pietro, afferma che i credenti sono non solo, materiale di costruzione del tempio spirituale, ma sono anche in esso i servitori umanamente  più importanti di quell’antico edificio: niente di meno che sacerdoti. Questo non perché umanamente per purezza, perfezione siamo riusciti a fare meglio, a essere meglio di quegli antichi sacerdoti, ma perché Dio fa di noi dei sacerdoti.

Nella stessa logica diventiamo una comunità umanamente transnazionale, un’enorme diaspora, una grande raccolta anche nella dispersione, dal momento che Dio chiamandoci dai quattro angoli del mondo, fa di noi il suo popolo, una nazione a lui consacrata, indipendentemente dalla cittadinanza umana che abbiamo. 

E’ umanamente condannabile, che ancora oggi, come già nel 1687, dei cristiani debbano prendere la strada dell’esilio per un futuro incerto. E’ il segno del fallimento dei pensieri e degli atti di tolleranza e convivenza delle diversità. Tuttavia proprio le vie dell’esilio, delle diaspore cristiane, ci rimandano al fondamento della chiesa di Gesù Cristo che sta nell’azione sotto traccia eppure potente di Dio. Noi che siamo  garantiti nei diritti civili da leggi statali, noi che viviamo sicuri, che abbiamo per chiese, edifici di pietre che sfidano ormai i secoli, siamo parte di quel movimento transnazionale, aperto, resistente creato dall’azione di Dio. Senza questo, siamo solo un’opera umana destinata a scomparire proprio perché umana. Senza questo, siamo condannati a chiuderci nelle nostre piccole appartenenze e nazionalità. Oggi mentre preghiamo per i cristiani di Mosul, siamo in comunione con loro, degli sconosciuti, perché Dio fa di coloro che ripongono in lui la loro fiducia e speranza, una casa comune, una testimonianza del suo progetto di salvezza. Amen

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Erika Tomassone

Consacrata nel 1984, è pastora a Rorà e a Luserna San Giovanni dal 2011.

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