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Domenica, 01 Febbraio 2015 12:52

Sermone di domenica 1 febbraio 2015 (Matteo 20,1-16)

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Testo della predicazione: Matteo 20,1-16

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa, il quale, sul far del giorno, uscì a prendere a giornata degli uomini per lavorare la sua vigna. Si accordò con i lavoratori per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscì di nuovo verso l'ora terza, ne vide altri che se ne stavano sulla piazza disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi nella vigna e vi darò quello che sarà giusto". Ed essi andarono. Poi, uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece lo stesso. Uscito verso l'undicesima, ne trovò degli altri in piazza e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?" Essi gli dissero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna". Fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e dà loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi". Allora vennero quelli dell'undicesima ora e ricevettero un denaro ciascuno. Venuti i primi, pensavano di ricevere di più; ma ebbero anch'essi un denaro per ciascuno. Perciò, nel riceverlo, mormoravano contro il padrone di casa dicendo: "Questi ultimi hanno fatto un'ora sola e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo". Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest'ultimo quanto a te. Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?"  Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, la parabola dei lavoratori che vengono assunti dal padrone della vigna in diverse ore della giornata percependo tutti lo stesso salario, ha sempre imbarazzato i lettori e suscitato un senso di disagio, perché la parabola non rispetta le più elementari leggi di equità. Non si può certo parlare di una le­zione di giustizia sociale. Qui, a parità di lavoro, c’è chi è pagato di più e chi di meno. Oggi noi siamo tutti contro quegli stipendi delle donne che, a parità di ore e di rendimento, sono pagate meno rispetto a quelli degli uomini.

Ma allora qual è il messaggio di questa parabola? Esaminiamola insieme.

Il padrone di una vigna al tempo della vendemmia, all’alba, verso le sei del mattino, si reca in piazza per ingaggiare alcuni lavoratori a giornata. Si accorda con loro e stabilisce la paga: un denaro. Quegli uomini avrebbero lavorato fino al tramonto, per circa 12 ore. Ma verso le nove, all’ora del mercato, il padrone torna in paese e, in piazza, vede altri disoc­cupati che manda a lavorare alla sua vigna: anche questi lavoreranno fino al tramonto per circa nove ore. Torna in piazza a mezzogiorno, poi alle tre e alle cinque, un’ora prima del tramonto, sempre trova dei disoccupati che nessuno ha preso a giornata, e li manda a vendem­miare nella sua vigna.

Al tramonto la giornata di lavoro termina, c’è chi ha lavorato per dodici ore, sotto il peso del caldo e del lungo lavoro, chi per nove ore, chi sei, chi tre e chi una sola ora. Ma tutti ricevono la stessa identica paga: un denaro.

Protestano i primi: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora sola e tu li hai considerati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo» (v. 12).

Capiamo bene e condividiamo la delusione e la frustrazione di questi lavoratori. E dal padrone ci si attenderebbe una buona parola, un ripen­samento sul salario. Invece no! Il padrone replica in modo aspro e duro: «Amico, io non ti ho imbrogliato, non ti sei accordato con me per un denaro? Ecco il tuo denaro, vattene e sta zitto». È vero, il contadino non è stato defraudato dal punto di vista monetario, ma moralmente sì. E allora, il padrone giustifica il suo comportamento dicendo: «Non posso fare quello che voglio con i miei soldi? Io voglio dare a que­sto, che è venuto per ultimo, quello che ho dato a te. O vedi tu di cattivo occhio che io sia generoso?».

Con questa risposta il padrone paga tutti. E ai lavoratori, come anche a noi, rimane il disagio di un criterio non equo.

Tuttavia, qui Gesù annuncia che il suo messaggio d’amore di perdono e di grazia, provoca un capovolgimento, un rovesciamento delle situazioni, che non penalizza nes­suno: tutti ricevono la paga pattuita. Chi si sente defraudato ha torto perché la delusione proviene da una falsa aspettativa. Ci sono persone che si illudono di ricevere di più, in modo proporzionale alle loro opere.

Ma chi sono i primi che vanno al lavoro e chi sono gli ultimi?

La vigna, nell’Antico Testamento, rappresenta Israele (Is. 5,1-7; Ger. 2,21; Ez. 19,10-14) e il suo rapporto con Dio. Il padrone della vigna rivolge a tutti il suo invito, in momenti diversi della giornata; i primi a essere convocati sono i giudei, quelli delle ore successive sono coloro che sembravano dimenticati: i peccatori, i pubblicani, le prostitute, i pagani, gli stranieri, noi!

La parabola, innanzitutto è diretta ai giudei e al loro orgoglio farisaico, essi rivendicavano, più degli altri, il privilegio di popolo eletto, e non potevano sopportare che gli ignoranti, i pec­catori e addirittura i pagani fossero eguagliati a loro e che Gesù annunciasse la salvezza non solo al popolo eletto, ma anche a chi non ne era degno.

Ma ecco il capovolgimento, la novità annunciata da Gesù considerata cosa inaudita: tutti possono partecipare alla salvezza, perché vi è parità tra giudei e pagani, Dio li considera tutti eguali.

Pensate che le scuole rabbiniche ripetevano che «Dio ha scelto Israele perché vedeva che era il solo capace di ricevere le legge» perciò ogni israe­lita è tanto importante quanto tutti i popoli messi insieme.

Il considerare uguali i primi e gli ultimi, i giudei e i pagani, feriva implacabilmente l’orgoglio degli israeliti farisei: «Li hai considerati come noi» era il rimprovero rivolto al padrone, non viene tanto reclamato un salario maggiore (anche se dentro di sé c’è la speranza di riceverlo), ma sotto accusa è l’eguale trattamento nei confronti dei primi e degli ultimi.

Il lamento di chi obietta ripete quello del fratello maggiore della parabola del Figliuol prodigo. Sia il fratello maggio­re, che i primi operai, come gli scribi e i farisei che sono «giusti», hanno sempre servito Dio fedelmente e non possono sopportare che il trattamento avuto nei loro confronti sia usato anche con altri che non hanno servito Dio allo stesso modo o per un tempo tanto lungo.

Questi giudei meritavano di più perché avevano speso tutta la vita nell’osservanza scrupolosa della legge, i loro meriti non potevano essere paragonati a quelli di chi arrivava all’ultima ora. Ma la grazia di Dio non tiene conto dei meriti di nessuno perché è un dono, gratuito. L’antico patto basato sulla legge, è ora sostituito da un nuovo patto fondato solo sulla grazia, una grazia aperta a tutti, indistintamente.

E chi ha più bisogno della grazia sono proprio i deboli, gli afflitti, gli ultimi, gli emarginati, i discriminati, i malati, gli stranieri, perché più bisognosi di cure.

Chi rifiuta la forza dell’amore di Dio, il dono della sua grazia, ma pretende ricompense da Dio perché le merita, passa da primo a ultimo, mentre la gra­zia di Dio porta gli ultimi a sopravanzare i primi. Come nella parabo­la del Figliol prodigo, il finale rimane aperto: il figlio maggiore avrà capito l’immenso amore di Dio o continuerà a lamentarsi per l’in­giusto trattamento subìto? Lo capiranno i primi lavoratori ingaggiati?

L’amore e la misericordia di Dio non rientrano negli schemi della giustizia e dell’equità umana: qui è spez­zato il collegamento tra merito e giustizia. Chi si sente defraudato non ha capito che la ricom­pensa di Dio non è mai meritata, ma è un dono, una grazia. Paradossal­mente si può parlare di ricompensa gratuita.

È questo il segreto svelato: la grazia di Dio ci chiama a servirlo e a metterci totalmente a disposizione, ma non perché saremo proporzio­nalmente ricompensati. Dio accoglie per grazia, non per meriti, Dio abbatte la presunzione umana, l’orgoglio e l’ambizione dell’autosufficienza. La grazia di Dio non è un arbitrio di Dio, ma il suo amore, un amore uguale verso gli ultimi, anche verso gli ultimi.

L’amore di Dio non aumenta man mano che passa il tempo perché ci accattiviamo il suo favore. L’amore di Dio non cambia, Dio ama con la stessa intensità tutti, sempre. In Dio vi è abbondanza di grazia e di amore, di perdono e di speranza. Si sbaglia il fratello del figlio prodigo che torna a casa come peccatore, si sbaglia nel pensare che le cure del padre verso il figlio che torna a casa, diminuiscano verso di lui; si sbaglia nel pensare che il padre lo ami di meno perché gioisce del ritorno del figlio minore.

La misericordia e la grazia di Dio non hanno misura, sono sempre piene e totali.

Questa parabola, dunque, ci insegna che siamo tutti chiamati a lavorare nella vigna, al servizio del Signore e del prossimo, a non restare accovacciati sulla piazza, ma a lavorare, ciascuno con i propri doni, riconoscenti perché ci dona tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Questo servizio potremo renderlo solo grazie alla grazia e alla misericordia sovrabbondanti che Dio ha per ciascuno di noi. Amen.

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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