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Domenica, 01 Dicembre 2019 18:19

Sermone di domenica 1 dicembre 2019 (Romani 13,8-12)

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Testo della predicazione: Romani 13,8-12

«Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso». L’amore non fa nessun male al prossimo; l’amore quindi è l’adempimento della legge. E questo dobbiamo fare, consci del momento cruciale: è ora ormai che vi svegliate dal sonno; perché adesso la salvezza ci è più vicina di quando credemmo. La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, siamo alla prima domenica d’Avvento dunque il testo biblico di oggi ci parla della salvezza (più vicina di quanto potevamo credere), ci parla della luce (delle armi della luce), di diventare operanti (svegliatevi dal sonno!), ma soprattutto di debito: «Non abbiate altro debito con nessuno se non quello di amarvi gli uni gli altri». Perché il vero debito, quello del nostro peccato, della nostra incapacità di amare, l’ha pagato Gesù sulla croce, per noi. Per questo è venuto nel mondo. Non avere debiti significa “essere perdonati” ed “essere perdonati” significa riconoscere l’impegno che ci è affidato: quello di perdonare. «Rimetti i noi nostri debito come noi li rimettiamo…».

In pratica, questo testo biblico, proposto dal lezionario “Un giorno una Parola”, si adatta perfettamente alla domenica della diaconia di oggi, durante la quale pensiamo al Servizio di accoglienza per minori stranieri non accompagnati gestito dalla Diaconia valdese, in particolare, quella fiorentina, a cui la nostra colletta di oggi sarà destinata.

Ma si tratta anche di un brano biblico legato al periodo dell’Avvento, del prepararsi alla festa del Natale, di aprirsi all’amore di cui il Natale è annunciatore: l’amore di Dio per tutti e tutte noi, l’amore nostro per Dio e per il prossimo. Vivere l’Avvento ci offre la grande occasione concreta di vivere un amore che parte da Dio, che ci coinvolge, ci attraversa e raggiunge poi anche gli altri nella concretezza dei nostri gesti, delle nostre convinzioni, della nostra prassi, della nostra etica, del nostro agire. Qui, è di questo che parla l’apostolo, di un amore che è azione, non semplicemente un sentimento, ma l’azione di Dio che lascia il cielo per venire nel nostro mondo, in mezzo a noi, in Gesù, per vestirsi della la nostra fragilità e della nostra debolezza, per guarirci, per annunciarci il suo perdono e la sua grazia, ma a caro prezzo, pagando con la sua stessa vita, per noi, la sua scelta e il suo gesto dettati dalla necessità di amare.

Quindi l’Avvento è l’annuncio all’azione, a vivere una fede non assopita e sonnecchiante, ma attiva e operante. «È ormai ora che vi svegliate dal sonno» ci scrive l’apostolo, non si tratta di pensare che i credenti di allora fossero più addormentati di noi e avessero bisogno di una voce più grossa che urlasse loro «Svegliatevi!», si tratta invece dell’impegno a esserci personalmente nella storia e nella realtà sociale in cui viviamo, si tratta di essere semi di giustizia e di pace, frutti appunto dell’amore che abbiamo ricevuto e che si manifesta come azione, opera, in modo concreto e non semplicemente come un sentimento affettivo.

«È ora che vi svegliate» significa vivere l’Avvento, l’attesa del Natale, con l’impeto e l’animo di chi ha una meta davanti a sé da raggiungere a tutti i costi: molti camminano sì, ma girando attorno, senza una meta, mantenendo tutto così com’è senza che accada nulla di nuovo; ma andare in direzione di una meta significa affrontare tutto il nuovo che durante il nostro viaggio incontriamo.

Diversi credenti vivono oggi di rendita, del loro percorso spirituale di quando erano giovani e credono che il loro punto d’arrivo dell’epoca si perpetui per sempre, temendo il proseguire, l’andare avanti, il nuovo, come un elemento disturbante di quella fede ritrovata, un giorno, tanto tempo fa. Ma l’apostolo sa che la fede non si appoggia sulle esperienze del passato, ma unicamente sul Dio che l’ha data e che impegna con passione a ritrovare modi sempre nuovi e diversi perché sia davvero autentica.

Perciò continua a ripetere ai credenti: «È ormai ora che vi svegliate dal sonno» affinché la vostra esperienza di fede quotidiana non sia legata al passato, ma all’amore di Dio che non passa mai, che resterà sempre, che ha una dimensione di eternità, una dimensione divina, e non verrà mai meno anche quando il mondo e la chiesa, la teologia e la spiritualità, la pratica e l’azione, saranno cambiate al punto da non riconoscerle più. «Svegliatevi», significa impara a vedere dentro le cose, non nell’esteriorità, ma nella genuinità e nell’autenticità della fede.

«Non abbiate altro debito» quindi diventa un elemento di collegamento all’interno di noi stessi rispetto al nostro passato e al nostro presente, poi un elemento di collegamento con gli altri e le altre e un elemento di collegamento con Dio. «Non abbiate altro debito» non significa che non abbiamo debiti, significa piuttosto che un debito ce l’abbiamo, sì uno solo: un debito di riconoscenza al Signore per l’amore di cui siamo da lui amati, per la sua salvezza, per la sua grazia, per il suo perdono, per la guarigione della nostra anima ferita e per la libertà che ci ha donato.

Tutto ciò ci permette di essere veramente vivi, liberi e non sottomessi alla pesantezza della nostra colpa, sottomessi all’oppressione del rimorso, alla stanchezza del cammino accidentato dalle prove, alla nostra incapacità di amare e di ritrovare noi stessi nell’aridità del nostro deserto e della nostra vita.

Il debito di amore che abbiamo nei confronti del prossimo, in realtà ci restituisce a noi stessi, alla dignità, alla fraternità, perché ci permette di costruire solidarietà e condivisione, di gettare ponti perché nessuno sia più escluso, emarginato, respinto perché straniero, di un’altra religione, colore della pelle, cultura.

Non tutti accettano che il proprio debito di amore gli uni per gli altri abbia un carattere lenitivo, di guarigione, di accoglienza, di fraternità. Pensano che l’amore sia confinato e delimitato da un filo spinato; per questo dicono: «Prima gli italiani», per escludere, perché in fondo hanno paura degli altri, non sono, dunque, perfetti nell’amore perché «nell’amore non c’è paura, anzi l’amore perfetto caccia via la paura» (I Giov. 4,18).

Vale la pena citare qui il motto della Diaconia valdese che ribatte invece: «Prima gli ultimi» che dà uno spessore formidabile al senso del nostro debito e al nostro svegliarci dal sonno.

Così, «l’amore non fa nessun male al prossimo»: a partire da questo versetto, Sant’Agostino diceva: «Ama e fa’ ciò che vuoi». Certo non si tratta del nostro proprio amore, ma dell’amore che abbiamo ricevuto dal Dio che ci ha creati per esser l’oggetto del suo amore. Ecco, in ogni circostanza della vita, ricordiamo di essere amati e allora non ci sentiremo mai soli o abbandonati.

Allo stesso modo, ricordiamo che ciascuno di noi diventa debitore di tale amore che ci impegna a guardare il prossimo con gli occhi con cui Dio guarda noi: come persone fragili, sempre in difficoltà che hanno bisogno di un sostegno, una mano per rialzarsi, ogni giorno.

Ecco, svegliamoci dunque, anzi risvegliamo quell’impeto di Dio in noi che trasforma in gesti concreti, rivolti verso il prossimo, quel sentimento di riconoscenza per fare di noi ciò che siamo. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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