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Lezione 3 - Calvino: Dio agisce, l'uomo crede

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I caratteri peculiari della teologia di Calvino non si concentrano esclusivamente nel problema della predestinazione come molti sostengono, ma Calvino accentua la regalità di Cristo, l'opera dello Spirito Santo, la santificazione della vita cristiana e, più di tutti, la sovranità di Dio e del carattere assoluto della sua opera.

Calvino sostiene:

«Non saremo mai così chiaramente persuasi che la fonte della nostra salvezza è la misericordia di Dio, finché la sua elezione eterna non ci sia anch'essa chiara; essa infatti è il termine di riferimento per valutare la grazia di Dio».

Per Calvino, la predestinazione è la coscienza dell'elezione divina che diventa garanzia di salvezza, ma anche vocazione. Se Dio ha preso in mano la vita dei suoi figli, nessuno può arrestare l'opera che egli sta compiendo.

Bisogna ricordare che Calvino è un avvocato, cresciuto nel mondo delle leggi e non in Convento come Lutero. Per Calvino la fede non si deve solo vivere a livello di convinzione personale, ma inquadrare, definire in termini oggettivi.

Nella sua Istituzione Cristiana del 1536, Calvino accenna soltanto alla predestinazione nel paragrafo che riguarda la chiesa. Molti credenti che avevano abbandonato la chiesa romana e che si domandavano se erano ancora nel popolo di Dio o no, Calvino risponde:

«La chiesa è il popolo degli eletti di Dio, non può dunque perire. La sua salvezza è connessa con l'elezione di Dio. Coloro che Dio elegge li affida alla custodia del figlio suo Gesù Cristo... possono certo cadere e peccare, ma non possono essere perduti».

Non è dunque l'istituzione ecclesiastica che garantisce la salvezza, ma la grazia di Dio. In questo senso, la predestinazione qui indica soltanto la certezza della salvezza. Essa dipende da Dio e non da noi, è perciò sicura perché Dio non viene meno alle sue promesse.

Calvino riprenderà l'argomento nel 1537 nel suo Catechismo. Qui egli dice:

«La Parola di Dio invita tutti ad essere partecipi di Cristo, ma molti accecati e induriti dell'incredulità disprezzano la grazia di Dio. Perciò di Cristo gioiscono solo i credenti che lo ricevono... non lo respingono... In questa diversità di atteggiamenti si deve cogliere il profondo segreto della volontà di Dio. Il seme di Dio infatti mette radici e porta frutto solo in coloro che il Signore ha predestinati ad essere figli suoi... Per tutti gli altri... la predicazione della verità non può essere che odore di morte a morte (II Cor. 2,16). Perché il Signore usa verso gli uni misericordia ed esercita verso gli altri il rigore del suo giudizio? Il motivo di questo lo conosce lui solo... Gli eletti sono oggetto della sua misericordia, e i reprobi della sua ira comunque giusta».

Qui si pone però una domanda: Chi crede e chi respinge l'annuncio della salvezza agisce in base alla propria volontà? Lutero aveva risposto di no; agiamo mossi dalla nostra natura peccaminosa, siamo legati al peccato, l'alternativa della fede è possibile solo nell'azione dello Spirito.

Ma se Dio è responsabile di tutto, questo significa che l'uomo è innocente.

Nella rielaborazione del 1539 dell'Istituzione Cristiana, Calvino dedica un ampio capitolo alla predestinazione. L'elezione dei credenti non è arbitrio divino, ma è in coerenza con tutta la sua opera di salvezza. Egli scrive:

«Il fatto di credere in Gesù Cristo non è frutto di una nostra iniziativa, né deriva dal fatto che la nostra intelligenza risulti così profonda ed acuta da intendere la sapienza celeste contenuta nell'Evangelo; è invece frutto di una grazia divina ... che vince la nostra natura. Il problema aperto è questo: tale grazia è comune a tutti oppure no? La Sacra Scrittura afferma che Dio dà il suo Spirito Santo a chi vuole e queste persone sono illuminate dal Figlio suo... dunque l'origine della fede deve essere cercata più in alto, in una motivazione più nascosta, e cioè nell'elezione di Dio, gratuita, in base alla quale egli elegge a salvezza coloro che vuole».

Questa tesi è confutata sulla base di Efesini 1,4-5. Da questo testo risulta chiaramente che la fede è dono di Dio che deriva dalla scelta da lui compiuta prima della creazione.

«Da una parte stanno le opere, dall'altra il proponimento di Dio... la deliberazione che ha preso scegliendoci per sé senza alcun riferimento a ciò che è in noi e senza essere attratto o mosso a nostro favore da qualcosa di nostro. È dunque chiaro che la fede deriva unicamente dall'elezione di Dio, dal fatto cioè che egli illumina coloro che aveva scelto per sua grazia prima della creazione del mondo».

Dal testo di Romani 8,28-29 Calvino può dire:

«Si parla di "proponimento di Dio... egli infatti chiama anche gli increduli, ma questa vocazione non è sufficiente a convertirli. Non tocca il loro cuore... quando ci chiama però secondo il suo proponimento e ci conduce a sé questo deriva dal fatto che Dio ci ha eletti».

Poi, Calvino, prende in esame anche Romani 9,10ss e conclude:

«Dio ci ha eletti, non solo prima che lo conoscessimo, ma prima che il mondo fosse creato e ci ha eletti gratuitamente in virtù della sua bontà e senza cercare altre motivazioni; egli ha preso tale deliberazione in se stesso e dobbiamo prenderne coscienza»

Rendere gloria a Dio è il senso della dottrina della predestinazione, perché questo avvenga occorre che l'uomo sia «domato» nel suo orgoglio e presunzione di essere soggetto responsabile della propria salvezza, di poterne disporre e di poterla realizzare.

«Dio vuole mettere alla prova la nostra umiltà. È vero che la Scrittura mira a questo, ma non vi è dottrina più atta di questa a condurre gli uomini all'umiltà per il fatto che ci fa prendere coscienza che Dio ci ha eletti per sua bontà gratuita e in base unicamente al suo beneplacido».

Ma se Dio ci elegge, perché non lo fa con tutti? Calvino si appella alla maestà di Dio che è inconoscibile.

In realtà, Calvino non avrebbe mai voluto inoltrarsi all’interno del tema della predestinazione che arrivò a definire decretum horribile. Non avrebbe mai voluto entrare in un labirinto in cui avrebbe potuto non più uscirne, essere in pericolo di cadere in errore. Ma doveva farlo perché si avvicinava nella cultura europea un nuovo spirito che lo spaventava enormemente. Si trattava della nuova concezione dell’essere umano che prende in mano il proprio destino. Questo pensiero introduceva un malinteso e cioè che la salvezza dipenda dalla nostra libertà e non dalla decisione di Dio, che i singoli individui decidano con il proprio arbitrio una delle due sorti: alcuni credono all’Evangelo e altri rimangono increduli. Il malinteso si annidava nel credere che la salvezza non è dovuta all’elezione gratuita di Dio o al suo misterioso decreto, ma soltanto alla decisione privata di ciascuno.

Calvino reagì energicamente sostenendo che in noi non troviamo nessuna certezza della nostra elezione. Fu proprio il malinteso dell’autodeterminazione delle persone rispetto alla salvezza o alla dannazione che costrinse Calvino a parlare della «eterna predestinazione di Dio».

Calvino iniziava a capire che nella modernità si preparava una ricerca di autonomia degli esseri umani che era anche pretesa emancipazione di fronte a Dio. Ma il compito della teologia cristiana, per Calvino era quello di accentuare l’iniziativa di Dio nel rapporto con gli esseri umani. Infatti, non è l’essere umano a precedere la grazia, ma è questa a precedere sempre l’essere umano.

Sia per Lutero che per Calvino, la predestinazione è il superamento di tutti i dubbi e le incertezze nell'affermazione che ogni iniziativa per la salvezza appartiene solo a Dio, Egli agisce, l'uomo crede. Da ora in poi la predestinazione non sarà la dottrina che dice chi è Dio, ma ne inquadra l'onnipotenza e la grandezza. Essa diventa un fatto di coscienza, più che questione  teologica.

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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