Culto domenicale:
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Lezione 3 - La sentenza liberatoria come promessa

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Gesù Cristo è la promessa della giustificazione da parte di Dio, una giustificazione non solo vissuta nel presente della nostra vita, ma pure come promessa di redenzione futura. Il Nuovo Testamento distingue nettamente tra quello che noi già siamo in Cristo e quello che saremo.

«Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è» (I Giovanni 3,2).

 Il discorso relativo al futuro non si esaurisce nella storia, come la diffusione dell’evangelo sulla terra o che le «porte dell’inferno» non prevarranno sulla comunità dei credenti, ma lo scopo finale, il telos, va oltre la storia umana.

Tuttavia, la chiesa ha sempre trovato difficile accogliere, nella sua essenza, l’eschaton, l’attesa della redenzione al di là della storia; al posto di esso subentrò il concetto dell’al di là, del paradiso e invece della risurrezione dei morti si parlò di immortalità dell’anima.

 D’altra parte, l’attesa prossima della parousia, il ritorno di Cristo, era stata vista come una delusione dal momento che, l’attesa non aveva dato alcun risultato.

Aprirsi alla promessa del futuro rivolta da Dio al credente, significa rendersi conto che ci è data la possibilità di un futuro. L’eschaton ha il suo fondamento nel messaggio del Cristo crocifisso che è anche il Risorto. A partire dalla morte e dalla risurrezione di Cristo, è stata presa la decisione sul nostro futuro e su quello di tutto il mondo.

Vanno distinte a questo punto le tre opere dell’unico Dio:

  1. Dio chiama la creatura alla vita e la mantiene in vita.
  2. Dio riconcilia in Cristo il mondo, chiuso verso di lui.
  3. Dio redime e perfeziona il mondo e lo riconcilia a sé.

In effetti l’apostolo Paolo distingue tra creaturalità, figliolanza ed eredità.

La Bibbia parla di un già e un non ancora, l’esistente attende di essere completato, perfezionato. Ciò è essenziale al messaggio di Cristo.

«Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto» (I Corinzi 13,12).

Quando accadrà ciò?

Quando l’amore di Dio, rivelato in Cristo, sarà evidente e completo, allora il peccato, la ribellione umana, diventeranno impossibili. Il peccato sarà il “non esistente”. Ora, il credente è simul justus et peccator, non è ancora nello stato di non essere peccatore. Dunque, la possibilità che l’essere umano lodi Dio senza peccato è oggetto della speranza che risiede nel futuro, nell’eschatos.

Se la morte è il “salario del peccato”, allora con l’abolizione del peccato non ci sarà più la morte. L’essere umano, amato da Dio e che è nella condizione di amare Dio pienamente, ha la vita. Dio, infatti, è un Dio dei viventi e non dei morti.

«Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore» (Romani 6,23).

«Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo. Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l'ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo.
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora?
Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza»
(Romani 8,18-25).

Il sì di Dio alla creazione è totale e promette un’esistenza in comunione con lui. In questo senso ci è detto che anche la mancanza di fede, cioè ogni opposizione e negazione della verità dell’evangelo, non è una possibilità permanente, ma limitata. Il fatto che la verità troverà la sua conferma universale e che, nella fede, non esistano limiti invalicabili, è cosa che rientra nella speranza cristiana.

Ovviamente, il compimento atteso nell’eschaton non può essere adeguatamente espresso con parole e concetti del nostro mondo umano, così come accadde per la risurrezione di Gesù dai morti. I racconti pasquali del N.T. e lo stesso Paolo sono consapevoli della nostra inadeguatezza umana a comprendere ciò che sta oltre.

Ma qualcuno dirà: «Come risuscitano i morti? E con quale corpo ritornano?». Insensato, quello che tu semini non è vivificato, se prima non muore; e quanto a ciò che tu semini, non semini il corpo che deve nascere, ma un granello nudo, di frumento per esempio, o di qualche altro seme; e Dio gli dà un corpo come lo ha stabilito; a ogni seme, il proprio corpo». (I Corinzi 15,35-38).

La risurrezione, soprattutto quella del Crocifisso, cioè la realtà divina in azione, si può esprimere solo attraverso un linguaggio paradossale. Questo vale per il linguaggio escatologico e per tutte le affermazioni teologiche.

Così può dire l’apostolo Paolo:

«La conoscenza verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito» (I Corinzi 13,8c-10).

 

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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