Culto domenicale:
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Domenica, 26 Ottobre 2014 15:06

Sermone di domenica 26 ottobre 2014 (Esodo 34,4-10)

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Testo della predicazione: Esodo 34,4-10

«Mosè, dunque, tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò la mattina di buon’ora, salì sul monte Sinai come il Signore gli aveva comandato, e prese in mano le due tavole di pietra. Il Signore discese nella nuvola, si fermò con lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, e gridò: «Il Signore! il Signore! il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà, che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente; che punisce l’iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!» Mosè subito s’inchinò fino a terra e adorò. Poi disse: «Ti prego, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dal collo duro; perdona la nostra iniquità, il nostro peccato e prendici come tua eredità». Il Signore rispose: «Ecco, io faccio un patto: farò davanti a tutto il tuo popolo meraviglie, quali non sono mai state fatte su tutta la terra né in alcuna nazione; tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del Signore, perché tremendo è quello che io sto per fare per mezzo di te».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, senz’altro sarà capitato a tutti noi di rompere un’amicizia perché gli amici si sono comportati in modo scorretto, perché hanno tradito le nostre attese, le nostre riservatezze, le nostre confidenze, o hanno parlato male di noi o agito in modo sconveniente o irrispettoso.

La stessa cosa è accaduta nel rapporto tra Dio e Israele, suo popolo, quando Mosè scese dal monte Sinai con le Tavole della legge, i dieci comandamenti.

L’attesa del popolo era diventata lunga, troppo lunga, snervante, e il popolo si convinse che Mosè, salito sul Monte, non sarebbe più tornato e che si fossero sbagliati circa l’identità di quel Dio che li aveva liberati dall’Egitto dove erano stati schiavi per 400 anni. Così, costruirono un dio da onorare e dal quale farsi accompagnare verso il lungo cammino che li attendeva: un vitello d’oro.

A noi fa sorridere tutto questo, è davvero singolare, quanto contraddittorio, che la fiducia di un popolo fosse riposta sulla figura di un animale.

Ciò vuole semplicemente indicare a quale punto di stoltezza e stupidità possa arrivare l’essere umano riguardo alla sua fedeltà verso chi gli ha fatto del bene, a chi lo ha salvato, verso chi deve riconoscenza e amicizia.

Mosè rompe le Tavole della legge perché reputa che, a questo punto, la fedeltà a Dio e di Dio sia compromessa, che si sia rotto il forte cordone che teneva legato il popolo a Dio.

Ora, Mosè torna sul Monte.

Non ha parole per giustificare l’infedeltà di tutto il popolo.

Ora è di nuovo davanti alla presenza di Dio e deve spiegare perché Dio dovrebbe ancora perdonare un popolo che ha la testa dura, che non capisce, che non è ancora entrato nell’ottica di Dio, della libertà che vuole per il popolo, dell’amore che gli ha dato. Mosè stesso si sente infedele e dice a Dio: «Perdona la nostra iniquità, il nostro peccato e prendici come tua proprietà».

Certo ciascuno di noi, si commuoverebbe se un nostro conoscente venisse a dirci di perdonare un’altra persona, un nostro amico che ci ha traditi, che ci ha lasciati nel momento del bisogno, che ci ha rinnegato pubblicamente, che ci ha messo in cattiva luce, o che ha detto di non conoscerci. Però ci sentiremmo anche presi in giro per il fatto che quello invii un conoscente di provata correttezza: perché non viene lui di persona, l’amico che ci ha traditi e rinnegati?

«È fatto così il nostro amico, ha la testa dura, non ci può fare niente, è la sua natura, bisogna accettarlo così com’è! Tutto qui!» ci dice il nostro amico. E noi dobbiamo decidere cosa fare. Probabilmente diremmo che non ci piace essere feriti ogni volta che l’amico dalla testa dura ci fa un torto e lo lasciamo andare per la sua strada, abbiamo bisogno di stare in pace perché la vita, già di suo, ci dà tante sofferenze.

Così, allo stesso modo, Mosè si rivolge a Dio: spiega che Israele è fatto così, come lo sono gli umani, è un popolo dal collo duro, lo stesso termine usato per spiegare che il Faraone non si sarebbe piegato per lasciare andare gli schiavi israeliti.

Mosè si presenta a Dio per chiedere non solo il suo perdono, ma anche la presenza di Dio stesso lungo il cammino che il popolo deve ancora compiere. La sola presenza di Dio lo annienterebbe senza il suo perdono e il solo suo perdono non lo condurrebbe verso il suo futuro, verso la terra promessa.

Dio prende, dunque, una decisione.

Non si tratta di una decisione momentanea, in vigore per un certo tempo, ma Dio fa una promessa e dice a Mosè: «Ecco, io faccio un patto: farò meraviglie che non sono mai state fatte sulla terra». Dio fa una promessa proprio a motivo del peccato degli esseri umani, il loro futuro non dipenderà più dalla loro bontà, ma dalla promessa di essere sostenuti dalla bontà e dall’amore di Dio. Dio promette di stare con il mondo, non perché lo meriti, ma proprio a motivo del peccato del mondo. Israele avrà sempre bisogno di Dio per muoversi verso il suo futuro. E così, tutti noi.

In questo brano, Dio si rivela come colui che decide di agire per il mondo, per la sua creazione, per le sue creature, non per i loro meriti, ma solo per amore. L’amore e il perdono di Dio, qui emergono come una caratteristica fondamentale di Dio, che diventa vitale per tutti i credenti e per il mondo.

Ora Dio ha una relazione nuova con le sue creature, a partire da questo patto che fa con Mosè al quale dice: : «Ecco, io faccio un patto: farò meraviglie». È così, Dio fa meraviglie e lo promette a se stesso, a Mosè, a noi. Non attende la nostra risposta a questo patto, è una sua decisione, è lui che la vuole, non dobbiamo dare il nostro consenso, ma è un’opera sua, meravigliosa.

Dio agisce in nostro favore e il nostro peccato è perdonato, questo è Israele per il mondo: l’annuncio a tutti della promessa di Dio; questa è la nostra missione: la testimonianza del perdono, dell’amore di Dio e della presenza di Dio lungo il nostro cammino, verso il nostro futuro.

Questo ci promette il Signore, che non saremo mai lasciati soli a noi stessi, nel nostro deserto, nella nostra aridità, nella nostra incapacità di perdonare e di amare, ma egli verrà per soccorrerci e darci la forza e la capacità di amare e di perdonare.

Questa è la libertà di Dio per noi; una libertà che è anche giustizia, egli non ritiene innocente colui che è colpevole, ma non si nega, non nega la sua presenza, il suo aiuto, il suo perdono.

Davanti a tanta gratuità di Dio, noi stessi restiamo sconcertati e disorientati perché Dio resta fuori dalle nostre logiche relative alla giustizia. Allora forse potremmo anche rivedere le nostre posizioni verso coloro che ci hanno tradito o ci hanno fatto del male e avere, anche noi, come Dio, un atteggiamento di accoglienza e di perdono come Dio ha fatto con noi.

Non significa cancellare il torto subito, ma semplicemente non negarsi, non rifiutare, non sottrarsi a una mano tesa, quella che Dio tende a noi ogni volta che gli siamo infedeli con la nostra mancanza di coerenza. Il Signore promette di fare meraviglie e tante volte queste accadono attraverso di noi, attraverso il nostro perdono, le nostre mani aperte, il nostro abbraccio, i nostri piedi che si dirigono verso la riconciliazione e la pace. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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