Culto domenicale:
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Domenica, 16 Novembre 2014 10:35

Sermone di domenica 16 novembre 2014 (Matteo 25,31-46)

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Testo della predicazione: Matteo 25,31-46

«Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: "Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?" E il re risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me". Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui straniero e non m'accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione, e non mi visitaste". Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: "Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?" Allora risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto non l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me". Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna».

Sermone

La scena che si apre ai nostri occhi, leggendo il brano di oggi, è una scena di giudizio. In tutti i popoli orientali il giudizio inequivocabile delle divinità si esprimeva con la stessa presen­tazione mitica: appariva un trono sul quale sedeva la divinità che si preparava a esercitare la sua giustizia. Anche gli autori biblici e Gesù stesso parlano con le categorie del tempo, con gli stessi modelli. Anche il libro di Daniele contiene una scena simile: Dio siede su un trono, si tiene il giudizio e i libri vengono aperti; anche nell’Apocalisse è presentata la stessa scena. Il profeta Isaia, prima di annunciare il duro giudizio di Dio contro Israele, riferisce di vedere Dio nel Tempio, assiso su un trono.

Tuttavia, il racconto di oggi ci, comunque lo leggiamo, ci disorienta, noi che abbiamo una sensibilità biblica per la quale Dio rimane pur sempre un Dio d’amore che non infierisce alcun male a nessuno.

La Bibbia, in ogni pagina, non si stanca mai di spiegarci che  è sempre Dio che instaura un rapporto con noi, è Dio che decide di fare un patto con noi, di venire nel mondo e di offrire se stesso, in Gesù Cristo, per noi. Non si tratta mai di una nostra decisione, ma della nostra adesione a Dio che ci tende la mano e ci tira fuori dalla nostra impossibilità di riscattarci da soli.

Eppure, tante volte, non ci dice niente il fatto che Dio sia divenuto essere umano, che si sia rivelato a noi come essere umano e non come Dio, nella debolezza umana piuttosto che con miracoli eclatanti e sbalorditivi. Si tratta di una pietra sulla quale inciampiamo e che cerchiamo di rimuovere, perché ci fa problema un Dio debole, che non può difendersi, che muore sulla croce. È uno scandalo per noi che Gesù si identifichi con le persone più reiette della società: gli stranieri, i poveri, i carcerati, i malati… 

Che c'entrano le persone con Dio?

Ci hanno sempre detto che Dio è totalmente altro da noi! Che sta nel Cielo, che quella è la sua casa, che, tutt'al più, Dio è spiritualmente nel cuore degli esseri umani. Ma poi basta!

Anche a noi è difficile accettare la croce di Gesù fino in fondo, il luogo in cui Dio si manifesta con una debolezza che sminuisce la sua onnipotenza e la sua gloria.

Ma Gesù viene a rompere la nostra quiete, le nostre certezze. Ci viene a dire che la salvezza non è una realtà che rientra dentro la sfera del religioso, ma la salvezza è relazione tra gli esseri umani e con lui, con Gesù, che si è reso solidale con gli ultimi e con i «fratelli più piccoli». I salvati non sono quelli che hanno una particolare religiosità o dote morale, non sono coloro che compiono gesti eroici e straordinari, ma i salvati sono quelli che condividono la condizione di Gesù e rispondono con umiltà alle necessità degli altri esseri umani; tutto avviene nella quotidianità degli incontri umani in cui c'è necessità di cibo, di acqua, di accoglienza, di protezione.

A Gesù non importa se i credenti si astengono dal fare il male, o, per intenderci, non gli importa se leggono la Bibbia, non gli importa se vanno in chiesa, non gli importa della loro vita pacifica. Gesù considera un male imperdonabile l’indifferenza, il silenzio, la mancanza di sensibilità, di preoccupazione nei confronti di chi soffre, di chi è respinto, scacciato, perseguitato. Si tratta minimi, degli ultimi, di quelli che non contano nulla, dei senza voce, di loro non si sa nulla.

Oggi la Parola di Gesù si presenta a noi in modo tanto severa ed esigente da scuotere la nostra tranquillità con immagini del giudizio e dell’inferno, della “punizione eterna”. La Parola di Dio non ci permette di deviare lo sguardo quando i minimi si presentano davanti ai nostri occhi.

Per Gesù, il vero credente non è quello che pensa cristianamente, che si astiene dal male, che si fa i fatti suoi e non nuoce a nessuno.

Qui, Gesù ci chiama in causa e ci toglie il diritto della salvezza, ci mette in discussione annunciandoci un Evangelo esigente che non chiede di essere ascoltato e capito, ma vissuto. L’amore per Dio e il prossimo è concreto, non filosofico, si esprime nelle esigenze etiche verso gli stranieri, i poveri, i malati, i bisognosi, gli ultimi, anche quelli che sono invisibili, alla società.

Dio è stato concreto quando ha voluto esprimere il suo amore agli uomini e alle donne; Dio ha stretto un rapporto intimo con i più piccoli e disagiati, con loro si è identificato, ha fatto coincidere il suo destino con quello dei «fratelli più piccoli» e là, anche noi, troviamo questo intimo rapporto con il Signore. Per questo Gesù un giorno ci potrà dire: «Avevo fame, sete, ero nudo, straniero, in prigione, malato» perché è così che il Signore si presenta: con il volto dell'indigente, dell'indifeso e del bisognoso, del respinto.

Non si tratta di persone visibili, perché la nostra società li nasconde, non dà loro voce, visibilità, a meno che non accadano catastrofi eclatanti come le tragedie delle carrette del mare che attraversano il Mediterraneo, o un incendio in un campo Rom, o in un CIE (centro di identificazione ed espulsione) per stranieri non europei, quando un clochard muore per il freddo o per la fame. Allora ci accorgiamo che esistono.

Sappiamo che nella Bibbia il Regno dei Cieli è promesso ai poveri, la rivelazione ai piccoli, la pace e la liberazione agli oppressi e affaticati; allo stesso modo Gesù decide di condividere se stesso con il destino dei suoi «fratelli più piccoli».

I gesti di solidarietà verso questi fratelli e sorelle, per Gesù, sono una serietà estrema: sono gesti d’amore che rivelano lo stato della tua fede, della tua gratitudine, della tua fedeltà.

Gesù ci chiama alla condivisione delle nostre vite, della nostra umanità, di ciò che siamo e di ciò che abbiamo con chi non ha e non è nessuno.

Perciò vi invito ad ascoltare questo racconto cinese che non è molto lontano dal messaggio che Gesù ha voluto dare circa la condivisione, la solidarietà e l'accoglienza:

 

Un giorno, un mandarino fece un viaggio nell’aldilà.

Prima arrivò all’inferno.

C’erano lì molti uomini seduti davanti a dei piatti pieni di riso,

ma tutti morivano di fame perché avevano dei bastoncini lunghi due metri,

e non potevano servirsene per nutrirsi.

Poi andò in cielo.

Anche lì c’erano molti uomini seduti davanti a dei piatti pieni di riso,

ma tutti erano felici e in buona salute;

anche loro avevano dei bastoncini lunghi due metri,

ma ciascuno se ne serviva per nutrire il fratello che era di fronte a lui!

Crediamo nella forza della condivisione, nella forza che permette l’attenzione verso gli altri. Oggi la Parola di Dio risuona per noi in modo pressante ed esigente; chiediamo a Dio la forza e il coraggio di poter essere quelli che fino ad oggi non siamo stati capaci di essere. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

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