Culto domenicale:
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Domenica, 03 Maggio 2015 12:13

Sermone di domenica 3 maggio 2015 (Matteo 11,25-30)

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Testo della predicazione: Matteo 11,25-30

In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero».

Sermone

     Cari fratelli e care sorelle, il brano alla nostra attenzione è un vero e proprio inno di riconoscenza dedicato all’o­pera che Dio compie nei confronti dell’umanità.

     Tutto parte da una spontanea esternazione di Gesù che prende in considerazione la realtà del suo messaggio per il mondo.

     Chi riceve il messaggio di Dio? Chi ha compreso veramente la natura di Gesù e la sua missione? In questo inno il mondo viene diviso in due parti: da una parte vi sono i sapienti e gli intelligenti e, dall’altra, i bambini che non sono ancora sapienti, e non hanno ancora sviluppato le loro doti intellettive al meglio.

     Però è strano che la rivelazione di Dio non sia capita dai sapienti, da chi per primo dovreb­be intuire e comprendere meglio un messaggio, un ideale, un pensiero pro­fondo. No! La rivelazione di Dio non passa attraverso i canali ufficiali, o attraverso chi è capace di capire e di trasmettere filosofie antiche e nuove; qui i saggi e gli intelligenti diventano come un muro di gomma, dove la Parola di Dio rimbalza, non è assorbita, accolta, perché troppo diversa, non rispetta quei criteri minimi della logica umana.

     Perciò, la predicazione di Gesù è pazzia per chi cerca di capire con le proprie forze, con la propria logica umana, con i criteri filosofici più seri e rigorosi.

     Nella Bibbia, la consapevolezza dell’opera di Dio e della sua rivelazione, sono spesso raccontati con canti, come quello di Miriam, la sorella di Mosè (Esodo 15,21ss) che canta la liberazione dalla schiavitù egiziana, quello di Anna, la madre di Samuele, che canta per la nascita del figlio (1 Sam. 2,1ss); la stessa Maria, madre di Gesù (Luca 1,46), esprime la sua gioia a Dio con il Magnificat. Anche la chiesa canta, intona inni a Dio.

     Il canto va oltre le parole dette, va al cuore; l’intelligenza esige invece razionalità, chiarezza: “credo se vedo, se quello che dici è fondato”.

     La Parola di Dio, il “lieto annuncio” non risponde ai canoni della saggezza umana: Dio non ci dimostra nulla, non legittima la sua Parola attraverso dati straordinari che ci inducono a credere. L’apostolo Paolo lo ribadisce più volte che “La predicazione è scandalo… e pazzia… (...)” (1 Cor. 1,23-24) e ancora: “se qualcuno presume di essere sapiente in questo mondo, diventi pazzo per essere sapiente” (3,18). Gesù ha detto la stessa cosa quando ha affermato: “Se non diventate come questi piccoli fanciulli…” (Marco 10,15).

     Il messaggio dell’amore di Dio va al di là della nostra logica umana, è quello del Dio che si fa dono per tutti, in Cristo, senza chiedere nulla in cambio. È un gesto di gratuità assoluta che ci lascia perplessi, sconcertati. Per noi invece vale la logica del “Non si fa niente per niente” e davanti ai gesti di gratuità pensiamo: “Dove sta il trucco? Quando arriva il conto da pagare?”.

     Oggi più che mai è così: qualunque nostra esigenza comporta un prezzo da pagare, un costo da affrontare, a partire dall’acqua. Questa è la nostra logica, la nostra cultura, la nostra filosofia. E così facciamo fatica a pensare che Dio ci dà gratuitamente il suo amore, il suo perdono senza chiederci di pagare o, quantomeno, di ricambiare. Crediamo che tutto ciò ci impegni, ci renda obbligati in qualche modo nei confronti di Dio, ci catturi dentro una rete. E allora misuriamo la distanza quando Dio si fa troppo vicino e ci coinvolge troppo nel suo progetto di amore.

     Gesù è consapevole di ciò, perciò spiega che da Dio si può solo ricevere come fa un bambino quando riceve un dono: non pensa a ricambiare, prende il suo regalo e scappa via con i suoi occhi che brillano e piedini che corrono veloci in cerca di un luogo appartato in cui godersi il regalo. I bambini non possono dar nulla in cambio; un bimbo tende la mano e basta, prende il regalo senza pensare di contraccambiare.  Gesù però ci chiede di imparare da lui.

     Quando Gesù annuncia la gratuità del dono di Dio, è consapevole che i suoi ascoltatori vivevano il fardello insopportabile della legge ebraica secondo l’interpretazione dei farisei; essa era diventata un tormento: le persone, anziché sentirsi libe­rate dalla colpa e condotte a Dio rimanevano schiacciate sotto il peso del legalismo. La Legge di Dio, così intesa, non dava più alcun sollievo, ma stanchezza, affaticamento, abbattimento.

     Allora, al quel giogo così pesante, Gesù propone il suo giogo: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me”. Andare a Gesù significa mettersi al suo seguito, andare alla sua scuola; la nostra traduzione recita: “imparate da me”, mentre letteralmente bisogna leggere: «diventate miei discepoli» (gr: màthete àp’emoù). Presso Gesù, presso la sua scuola, tutti possono trovare il sollievo e il riposo cercato inutilmente altrove. Presso Gesù possiamo imparare a liberarci della nostra logica del tornaconto, della difesa a denti stretti dei nostri privilegi, del dover corrispondere all’amore di Dio con il nostro fare e agire.

     Imparate da me, dice Gesù, imparate la logica della gratuità e dell’amore. Questo rende il vostro peso più leggero. Non più ansie e affanni, ma semplicità di vita, sobrietà, nella consapevolezza che il Signore si prende cura della vostra esistenza e la conduce.

     È questo il giogo di Gesù, dolce e leggero.

     Impariamo a guardare con lo sguardo di un bambino, impariamo ad accogliere come un bambino accoglie un dono, impariamo a donare senza chiedere nulla in cambio: sarà una gioia pura. Impariamo a vivere la nostra quotidianità guardando oltre il nostro orizzonte, dove non ci siamo più noi al centro di tutto, ma il mondo, l’umanità, il prossimo con il suo giogo pesante: i suoi drammi, le sue guerre, i suoi respingimenti, le sue discriminazioni, le sue vittime, i suoi carnefici. È là il posto di quei discepoli che sono stati alla scuola di Gesù, ed è là che fanno dono della propria vita, perché altri vivano. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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