Culto domenicale:
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Domenica, 31 Maggio 2015 14:50

Sermone di domenica 31 maggio 2015 (Isaia 6,1-13)

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Testo della predicazione: Isaia 6,1-13

Nell'anno della morte del re Uzzia, vidi il Signore seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini, ognuno dei quali aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi, e con due volava. L'uno gridava all'altro e diceva: «Santo, santo, santo è il Signore dell'universo! Tutta la terra è piena della sua gloria!» Le porte furono scosse fin dalle loro fondamenta e la casa fu piena di fumo. Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il Signore dell'universo!» Ma uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, tolto con le molle dall'altare. Mi toccò con esso la bocca, e disse: «Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato».Poi udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò? E chi andrà per noi?» Allora io risposi: «Eccomi, manda me!» Ed egli disse: «Va', e di' a questo popolo: “Ascoltate, sì, ma senza capire; guardate, sì, ma senza discernere!” Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi, in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi, non intenda con il cuore, non si converta e non sia guarito!» E io dissi: «Fino a quando, Signore?» Egli rispose: «Finché le città siano devastate, senza abitanti, non vi sia più nessuno nelle case, e il paese sia ridotto in desolazione; finché il Signore abbia allontanato gli uomini, e la solitudine sia grande in mezzo al paese. Se vi rimane ancora un decimo della popolazione, esso a sua volta sarà distrutto; ma, come al terebinto e alla quercia, quando sono abbattuti, rimane il ceppo, così rimarrà al popolo, come ceppo, una discendenza santa».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, la visione del profeta Isaia è una sorta di introduzione alla sua vocazione di profeta; dà legittimità e forza alla sua predicazione. È sottolineato che Dio stesso invia il profeta ad annunciare la Parola di Dio; la visione che abbiamo ascoltato dà al messaggio del profeta una grande autorità perché mette in rilievo il fatto che non si tratta di una parola umana, ma di ciò che Dio ha detto.

Dio è presentato come Colui che riempie il mondo con la sua gloria e la sua presenza: questo stanno ad indicare i lembi del manto di Dio che riempiono il tempio dove Isaia prega. Dio è sperimentato in questa forma possente, e tuttavia Egli rimane indescrivibile, incomprensibile nella sua totalità, imprendibile.

Dio sta sopra tutti e sopra ogni cosa, a Dio è diretto il canto dei Serafini: «Santo, santo, santo è il Signore, Dio dell’universo, tutta la terra è piena della sua gloria»; questo canto mette in evidenza tutta la pochezza e la parzialità dell’essere umano. Perfino gli angeli sono costretti a coprirsi il corpo perché anche loro partecipano alla natura di creature; se così è per gli angeli, come sarà per gli esseri umani?

Questa scena rivela che la santità di Dio è possibile comprenderla solo nella misura in cui noi comprendiamo la nostra condizione umana, la nostra caducità, la nostra debolezza; nella misura in cui riconosciamo il nostro peccato allora comprendiamo la santità di Dio.

Diversamente, crederemo solo a un dio a nostra misura, un dio simile a noi, che fa solo i nostri interessi.

La Parola del Signore ci mette di fronte alla nostra realtà umana. Come a Isaia, anche noi ci rendiamo consapevoli della nostra incapacità e impossibilità di essere adeguati e adatti al servizio per il Signore, per il prossimo; ma non serve disperarsi e neppure compatirsi perché queste reazioni rendono passivi. Invece, al contrario, chi si rende conto della propria debolezza, come Isaia, si dispone a ricevere da Dio ciò che gli manca, mette a disposizione la propria vita e risponde «Eccomi, manda me».

     «Eccomi, manda me» non è la risposta di chi ha capito di essere all’altezza della situazione, di chi si è convinto che solo lui/lei è capace di mediare con il divino e di portare un messaggio dall’aldilà. No!

Il profeta Isaia sa di non poter sussistere davanti alla santità di Dio, è consapevole del suo peccato, della sua natura umana, realtà fragile, parziale, confusa, incerta… allora esclama: «Misero me, son perduto»; solo allora il profeta è riabilitato, non prima di essersi riconosciuto peccatore.

     «Eccomi, manda me» è la risposta di chi è riconoscente per essere stato oggetto di una grazia immeritata, del perdono gratuito; è la risposta alla generosità del Signore, una risposta al suo amore, alla sua misericordia.

     «Eccomi, manda me» è la voce di chi non ha più niente da perdere, la voce di chi sa di non potersi salvare da solo; è la voce di chi dice «Ci sono anch’io, anche se peccatore» incapace e inetto.

Ma a questo punto, nella scena vi è un momento d’imbarazzo.

Il profeta, dopo aver descritto tutta la potenza di Dio, la gloria di Dio e la sua santità, rivela un paradosso: Dio si rende, allo stesso tempo, impotente, ha bisogno della creatura umana. Il Dio, prima concepito in modo contrapposto, totalmente altro dalla creaturalità, ora lo si vede supplichevole e impotente, alla ricerca di una creatura che porti al mondo il suo messaggio: «Chi manderò? Chi andrà per noi?».

     Non è estranea, alla Bibbia, questa concezione di Dio che agisce attraverso gli esseri umani, sempre, inadeguati allo scopo.

La stessa scelta di Dio di venire nel mondo in Cristo fa parte di questa logica di Dio che preferisce rinunciare a se stesso, alla sua onnipotenza, un Dio che preferisce la croce piuttosto che la lontananza e il distacco dalla sua creatura che vuole sempre amare, curare, perdonare, salvare.

Si tratta di una logica che ci è estranea perché nessuno rinuncerebbe ai propri privilegi acquisiti, al potere raggiunto, alla ricchezza conquistata. Mentre Dio lo fa. Per noi!

     E ora, Dio, si presenta a noi perché il suo amore è qualcosa di traboccante, soverchiante, ma anche esigente, e ci domanda: «Chi andrà?», cioè «Qual è la tua scelta per Dio. Qual è la tua risposta all’amore che ti è donato, la tua risposta al perdono che ti è stato concesso?». Tutto è gratuito, nulla “devi”, però “puoi”; puoi scegliere nella tua libertà. Proprio perché tutto è libero e gratuito, allora tutto diventa importante, tutto diventa preghiera, domanda, impegno, risposta.

     Chi andrà? Qualunque sia la parola che Dio rivolge, essa risulta sempre una parola che ci fa scoprire mancanti e che produce ravvedimento. Infatti, le parole che Isaia è chiamato a rivolgere al popolo sono dure.

Chi andrà? In realtà la Parola di Dio è rassicurante perché l’amore e il perdono di Dio sono gratuiti e non dipendono da noi, tutto è opera di Dio. Tuttavia, quando Dio ci rivolge la sua parola, improvvisamente ci sentiamo chiamati a rispondere e ad andare. Perché? Perché l’amore di Dio per noi ci spinge ad andare incontro agli altri, come Dio è venuto incontro a noi. E nessuno potrà mai toglierci la sensazione che, restando seduti, è come se rendessimo vano l’amore di Dio, la sua grazia, la sua opera per noi.

Chi andrà? È una domanda che esige una risposta, una scelta ineludibile, pressante. È una vocazione che ci è rivolta per essere chiesa del Signore nella società in cui viviamo.

Chi andrà? È la consapevolezza che ci è data, nonostante le nostre incapacità, di donare il nostro contributo di solidarietà, di cultura della pace, del rispetto, di libertà, di onestà, di accoglienza in un mondo che risponde ai problemi respingendo e chiudendosi agli altri come un riccio.

Il Signore non cessa mai, malgrado i nostri «no!» di rivolgerci la sua Parola. Ci domanda: Chi andrà? Chi percorrerà le strade del mondo annunciando l’amore di Dio? Chi riconcilierà i divisi? Chi accoglierà i respinti? Chi sarà strumento di pace nella guerra? Chi unione nella discordia? Chi fede nel dubbio? Chi speranza nella disperazione, gioia nella tristezza, luce nelle tenebre?

Il profeta ha capito che non poteva sottrarsi a tanto amore, e ha risposto: «Manda me!».

Anche da noi, il Signore, attende una risposta. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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