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Domenica, 13 Dicembre 2015 23:36

Sermone di domenica 13 dicembre 2015 (I Corinzi 4,1-5)

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Testo della predicazione: I Corinzi 4,1-5

«Così, ognuno ci consideri servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Del resto, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele. A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, non mi giudico neppure da me stesso. Infatti non ho coscienza di alcuna colpa; non per questo però sono giustificato; colui che mi giudica è il Signore. Perciò non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio».

Sermone

La prima pagina del romanzo di Pirandello, “Uno, nessuno e centomila” comincia così:

«”Che fai?”, mia moglie mi domandò vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio. “Niente”, le risposi, “mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino”. Mia moglie sorrise e disse: “Credevo ti guardassi da che parte ti pende”. Mi voltai come un cane a cui hanno pestato la coda: “Mi pende? A me? Il naso?”. “Ma sì, caro, guardatelo bene: ti pende verso destra”. Avevo ventotto anni e sempre fin allora avevo ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno decente… Vide forse mia moglie più addentro di me?...

E che altro? Eh, altro, altro! Le mie sopracciglia parevano sugli occhi accenti circonflessi, le mie orecchie erano attaccate male… il mio dito mignolo… le gambe… non diedi alcuna importanza a quei lievi difetti, ma una grandissima e straordinaria al fatto che per tanti anni ero vissuto senza mai cambiar di naso, sempre quello, e con quelle sopracciglia, quelle orecchie, quelle mani, quelle gambe; e dovevo aspettare di prender moglie per aver conto che li avevo difettosi.

E non si sa, le mogli? Fatte apposta per scoprire i difetti del marito».

Pirandello, nel suo romanzo, cerca di riflettere sull’identità di ciascuno, come ognuno si vede e si giudica e come lo vedono e lo giudicano, invece, gli altri. Qual è la verità? Ma la domanda che emerge è: conosci te stesso? Chi sei veramente? Cosa credi di essere…. In fondo si tratta di un mistero da cui non ne verremo mai fuori se non avendo la forte coscienza che ogni giudizio, nostro e degli altri su noi stessi, è comunque e sempre un giudizio relativo.

Così, l’apostolo Paolo, nel brano biblico alla nostra attenzione, parla dell’identità dei credenti e in particolare di chi predica. Chi si crede di essere colui che predica?

Ma anche: chi sono i credenti che ascoltano la predicazione?

Bisogna dire che nel capitolo precedente il nostro (capitolo 3), l’apostolo Paolo si occupa del rapporto tra predicatori e comunità spiegando che il fondamento sta nella libertà dei credenti, una libertà che si fonda nella comunione tra loro e con Dio. Così, nella chiesa non c’è posto per il culto delle singole persone, non c’è l’accentramento di alcun potere su pochi eletti, ma tutta la comunità esercita e vive, nella libertà, la sua testimonianza. Come dire che la chiesa non è proprietà di chi predica; quindi la comunità non appartiene a Paolo, Apollo o a Cefa, ma sono loro, Paolo, Apollo e Cefa che appartengono alla comunità: sono proprietà della comunità, e la comunità tutta appartiene a Cristo.

Con questo modo di intendere la chiesa, non c’è giudizio da esprimere, «il giudizio appartiene a Dio», né critica circa il fatto di chi detenga un potere o un diritto particolare. Perciò, la critica rivolta a Paolo circa la sua controversa apostolicità non ha ragion d’essere perché, dice Paolo, «Non giudicate prima del tempo, finché sia venuto il Signore» (v. 4). Piuttosto «Ciascuno sia trovato fedele» (v. 4). Ovvero, questo è il metro di giudizio: la propria fedeltà a Dio.

Ma neppure questa fedeltà è sufficiente a giustificarci, neppure il nostro “non giudicarci” ci assolve, perché ogni giudizio spetta al Signore Gesù che viene e «metterà in luce quello che è nascosto» nei misteri e nei segreti più reconditi del nostro cuore e della nostra anima. «Lì ciascuno avrà la sua lode da Dio».

Quello che siamo veramente apparirà nel kairòs, che è, cioè, il tempo ben preciso, che sta nel futuro davanti a noi, un futuro che sarà riempito dalla venuta del Signore. Prima di allora ogni giudizio è prematuro e nessuno, oggi, può anticiparlo. Quello che possiamo pensare di noi stessi e degli altri sono solo delle verità parziali; dunque, nessuno ha il potere di giudicare, neppure noi stessi possiamo auto-condannarci o auto-assolverci. Possiamo solo cercare di essere fedeli alla Parola di Dio e accoglierci reciprocamente così come ognuno di noi è.

Oggi celebriamo la terza domenica di Avvento, proclamiamo cioè di vivere nel tempo dell’attesa. Attendiamo il Natale, che è per noi oggi, il ricordo della venuta al mondo di Dio, un Dio che si incarna in un fanciullo, ma il Natale è anche la prefigurazione di un nuovo Natale, in cui il ritorno del Signore sarà caratterizzato dall’avvento del suo Regno. Un regno di giustizia e di pace.

Noi tendiamo verso questo nuovo Natale, verso questo futuro che ci sta davanti, verso il ritorno di un Signore che darà a ciascuno di noi «la sua lode».

Tutto questo siamo chiamati a viverlo qui e ora nell’attesa, un’attesa vigile e riempita di senso. Mentre, oggi, viviamo in un mondo che vuole tutto e subito, che non ha più il tempo per l’attesa; si dice che il tempo è denaro! L’iper-attivismo non lascia più spazio alla lettura, alla meditazione, allo studio, all’approfondimento. Si esprimono giudizi senza conoscere, senza sapere, per sentito dire; ciò genera frustrazioni, conflitti affanni, sofferenze; un mondo che, troppe volte, lasciamo entrare anche nella chiesa, un mondo che mina la comunione fraterna e ci allontana gli uni dagli altri.

Qui e ora, nella nostra realtà umana, ci giunge il monito dell’apostolo Paolo: “non giudicate”, ma aspettate il ritorno del Signore, perché solo allora ci verrà rivelato chi veramente siamo. Solo allora la sua luce metterà in evidenza le nostre ombre che assumeranno contorni precisi. Allora scopriremo le nostre infedeltà, scopriremo tutte le volte che abbiamo creduto di fare bene, mentre abbiamo agito male; ma scopriremo anche l’infinita misericordia di Dio e il suo perdono.

Ci si aspetterebbe che Paolo, a questo punto, dicesse che Dio pronuncerà il suo duro giudizio su di noi, invece dice: “ciascuno avrà la sua lode da Dio”, per sottolineare quanto abbiamo potuto fare di bene, anche nella nostra debolezza e incapacità.

In fondo ci è richiesto soltanto la semplice coerenza con la fede che abbiamo ricevuto in dono da Dio, una coerenza che è fedeltà, lealtà, dedizione, amore.

Ma torniamo al naso che pende a destra del personaggio del romanzo di Pirandello, che la moglie gli ha fatto notare: quel naso gli ha permesso di intraprendere un percorso di conoscenza di se stesso; questo è, in fondo, quello che accade a tutti noi: una ricerca che diventa attesa della verità su chi noi siamo davvero.

Allora concludo con una poesia del pastore Ditrich Bonhoeffer:

Chi sono? Spesso mi dicono…
Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?…
Chi sono? Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci o Dio, io sono tuo!

 

Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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