Culto domenicale:
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Domenica, 24 Gennaio 2016 12:28

Sermone di domenica 24 gennaio 2016 (1 Corinzi 9,24-27)

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Testo della predicazione: I Corinzi 9,24-27

Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio, corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo. Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa; e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, per una incorruttibile. Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato.

Sermone

     Care sorelle e cari fratelli, nel brano alla nostra attenzione, l’apostolo Paolo paragona la vita dei credenti a una corsa allo stadio, non nel senso che la fatica di ogni giorno ci spossa e ci rende senza forze, ma nel senso che la vita dei credenti non può svolgersi pigramente accontentandosi di aver aderito ai principi evangelici, vivere nella mediocrità dell’esistenza e affacciarsi come spettatori per vedere altri impegnati attivamente.

     Questo stile di vita dimesso, ritirato, turba l’apostolo Paolo; perché per lui, il credente non può stare a guardare dalla gradinata o da una finestra; per l’apostolo la vita del credente deve essere come quella di un atleta; “atleta” in greco di dice agonizomai da cui deriva la nostra parola agonia. Cioè l’atleta è colui che si sottopone a sforzi molto impegnativi, a volte al limite delle sue forze, e lo fa per raggiungere una meta, per perseguire uno scopo in cui crede, raggiungerlo e riceverne il premio.

     L’apostolo, dunque, rivolge un appello: invita tutti i credenti a partecipare alla vita, alla gara, e diventa esigente, rigoroso, perché incoraggia non solo a partecipare, ma a vincere. Qui è lontana l’idea del fondatore dei moderni giochi olimpici Pierre de Coubertin: «Importante è partecipare», qui l’apostolo invita a partecipare e a vincere. La vittoria è la meta dell’atleta.

     Ma c’é una differenza: mentre allo stadio tutti corrono, ma uno solo riporta il premio, nella fede tutti noi che corriamo, insieme, otteniamo il premio, tutti. Come se fosse una squadra a vincere e non una singola persona; come nella staffetta, dove i giocatori che corrono e si passano il testimone sono diversi, ma si corre insieme e chi parte non è colui che taglia il traguardo.

     Ecco, Paolo invita a non correre da soli, ma a “fare squadra”.

     L’obiettivo, la meta non deve mai essere perso di vista, è necessario concentrarsi sulla meta e perseverare con impegno e con disciplina, malgrado la fatica della corsa, le difficoltà della vita.

     Chi ha chiara davanti a sé la meta, non va a zig-zag, non cammina in modo incerto; l’apostolo dice: «non batte i pugni per aria», ma va contro l’avversario, come fa il pugile, per vincere.

     L’apostolo Paolo vuole semplicemente dire che l’Evangelo di Gesù in cui crediamo, ci impegna, impegna tutte le nostre forze, è la nostra meta. Ci permette di vivere in coerenza con l’Evangelo di Gesù e di prendere coscienza della realtà del mondo di oggi che ha bisogno di fedeltà, di lealtà, di onestà, di integrità.

     «Io tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù» dice l’apostolo, e non intende certamente disprezzare il proprio corpo, ma vuole dire: «io non mi farò dominare dalla mia indifferenza e dalla mia pigrizia, no, perseguirò invece la meta, sarò coerente, non mi arrenderò sotto il peso della fatica della vita, anche se non sarà facile».

     È l’invito all’impegno concreto, nella società, nella chiesa, in ogni ambito della vita nel modo più rigoroso possibile; un impegno in cui esprimiamo la nostra lealtà, la nostra fedeltà al Signore, la nostra etica personale coerente con la nostra coscienza.

     Tutto ciò è espressione della nostra libertà, non di ubbidienza cieca; infatti, essere chiamati a libertà per l’apostolo significa, non certo «Fare quello che voglio», quanto piuttosto: «Libero e convinto, faccio quello che devo» per raggiungere la meta.

     «Tutto è lecito, ma non tutto edifica» (I Cor. 10,23) ci insegna l’apostolo Paolo proponendoci un’etica della libertà e della responsabilità.

     Tutto ciò accade nella società umana in cui viviamo, quello è il luogo, come nel campo dello stadio, in cui siamo chiamati a lottare, ad impegnarci concretamente, a testimoniare l’annuncio dell’amore di Dio con un’etica che ci rende credibili.

     L’apostolo Paolo ci rivolge un invito, quello di vivere fino in fondo una vita come credenti che non si isolano e non restano a guardare dagli spalti. Paolo invita a scendere in campo, ma ricorda che non si tratta di una cosa facile perché la vita del credente come, quella dell’atleta, è fatta di duri esercizi e di rinunce.

     L’apostolo Paolo, oggi, ci interroga e ci domanda se quello che facciamo come comunità di credenti ha una meta, è orientato verso una causa giusta, importante, vitale. Ci domanda se viviamo la nostra vocazione di credenti unendo le nostre forze per raggiungere i migliori obiettivi o se disperdiamo le nostre forze andando in ordine sparso. L’apostolo ci incoraggia a fare squadra, a camminare insieme ad avere una meta, come singoli, come comunità di credenti. Dove vuole arrivare la nostra chiesa? Quando facciamo qualcosa abbiamo una meta? O andiamo solo per inerzia? Per efficientismo? Quando diventa difficile spiegare la nostra coerenza all’Evangelo, rinunciamo oppure, con convinzione, facciamo quello che dobbiamo, con fatica, impegno e disciplina? Andando contro pregiudizi e indifferenza?

     Se il nostro senso di “fare squadra” è l’annuncio coerente del Vangelo della libertà, della giustizia, della pace, dell’amore per ogni essere umano, significa allora che sarà dura, a cominciare dalla chiesa stessa, perché sarà necessario farsi i muscoli contro l’indifferenza, i pregiudizi, la discriminazione, le paure, ecc...

     La nostra meta è la vittoria, siamo chiamati a vincere tutto ciò che si oppone all’amore e alla grazia di Dio.

Ecco, l'apostolo concentra i suoi sforzi, attraverso l'immagine dello stadio e dell'atleta, per far capire ai credenti della chiesa di Corinto, e a noi oggi della chiesa valdese di Luserna San Giovanni, che il dono dell'amore di Dio, il dono della sua grazia, del suo perdono, ci impegnano affinché possiamo lottare in modo che anche nella nostra realtà umana la dimensione della gratuità dell’amore per tutti, dei diritti per tutti, della accoglienza di tutti, della solidarietà e della condivisione diventino normali come il pane di ogni giorno.

L'amore di Dio ci impegna ad amare senza pregiudizi e preclusioni, il suo perdono ci impegna a perdonare, la sua grazia a testimoniare, la sua salvezza ad annunciare la liberazione.

Corriamo, dunque, nonostante la fatica. Siamo chiamati a essere presenti sulla scena umana, nella testimonianza, nell'accoglienza, nell'impegno verso gli ultimi, verso i piccoli, i poveri, gli emarginati. Non siamo chiamati a un iper-attivismo, ma ad essere credenti concreti e autentici che non disprezzano il proprio corpo, ma lo rispettano perché il Vangelo sia testimoniato attraverso un impegno rigoroso, una convinzione e una fedeltà profondi.

Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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